Calindri, uno splendido «Borghese»
Calindri, uno splendido «Borghese» A TEATRO Il «nonno» del teatro italiano applaudito protagonista del lavoro di Molière al Genovese Calindri, uno splendido «Borghese» Novant'anni e non li dimostra: balla e canta in scena GENOVA. La prossima settimana compirà 90 anni. Lui, però, Ernesto Calindri, mantiene lo spirito del ragazzino che ama il proprio mestiere, il pubblico, le tavole del palcoscenico. Martedì pomeriggio si è infilato al Carlo Febee a godersi «Il Pipistrello» di Strauss. E la sera, eccolo al Politeama Genovese, fresco e ironico come sempre, nei panni del «Borghese gentiluomo» di Molière (tra il pubblico, a contraccambiare la visita, il soprano Luciana Serra). Finisce naturalmente con applausi calorosi e autentiche, meritate ovazioni per il grande vecchio del nostro teatro, un lavoro che la Compagnia Torino Spettacoli ha affidato alla regìa di Filippo Crivelli e alle scene di Lele Luzzati. Crivelli (che in queste settimane ha «monopolizzato» i teatri genovesi: sue «Le 12 Cenerentole» alla Tosse, e sua l'operetta straussiana al Carlo Felice) ha offerto una simpatica se pur «sostanziale» rivisitazione di Molière. Scritto nel 1670, «Il borghese gentiluomo» è l'ultimo atto del¬ la collaborazione fra il celebre commediografo e il musicista italiano naturalizzato francese Lully, che di lì a poco avrebbe abbandonato il genere più frivolo della comedie-ballet per creare, con la tragedie-lyrique, il teatro musicale francese (è curioso notare che nel campo operistico, i francesi non hanno inventato quasi nulla: il più celebre ballet de cour è opera di un italiano, Baldassarre Baltazarini, la tragedie-lyrique di un modesto fiorentino approdato a Parigi come servitore, il grandopera e l'operetta hanno avuto come padri due tedeschi, Meyerbeer e Offenbach). La comedie-ballet era il tentativo di conciliare le esigenze di un lavoro di prosa con il crescente gusto musicale della corte parigina: ed ecco dunque preziose infarciture di danze (posizionate soprattutto nei finali d'atto) e di ariette affidate per lo più a figure minori. Sarebbe interessante, oggi, rivedere Molière accoppiato a Lully per rivivere quelle atmosfere. L'operazione di Crivelli si è mossa invece in altra direzione, con uno spirito più operettistico. A tale impostazione ha certamente contribuito, oltre all'ambientazione favolistica di Luzzati (un'impronta, la sua, inconfondibile), anche la musica piacevole di Bruno Coli che a tratti richiama alla memoria lo spirito leggero di ariette barocche, ma in generale (anche per l'utilizzo di una strumentazione non tradizionale) offre una base sonora di sapore moderno. E d'altra parte Crivelli e Coli si divertono a citare continuamente il mondo dell'opera scomodando Leoncavallo (Vesti la giubba), Mozart (Purché portin la gonnella) e Rossini (Io sono docile). Lo spettacolo funziona, pur con qualche gag di troppo, anche per la bravura degli interpreti. Citiamo Liliana Feldmann, divertente Madama Jourtamn e Mimma Lovoi, simpaticissima Nicoletta, la servitrice napoletana. Ma lodevoli anche gli altri: Esther Ruggiero, Miriam Mesturino, Raffaele Spina, Carlo Di Maio, Andrea Garinei, Gaetano Aronica, Luca Sandri, Andrea Montuschi e Umberto Cristofari. Su tutti Calindri che recita con la solita classe, accenna passi di danza, canta. E alla fine, di fronte ai saluti festosi della platea, ride felice e quasi incredulo con la gioia di un debuttante. Repliche fino a domenica. Roberto lovino Ernesto Calindri è il «borghese gentiluomo» di Molière: successo a novant'anni
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