ARRIVANO I MAGNIFICI INGLESI di Leonardo Osella

ARRIVANO I MAGNIFICI INGLESI STAGIONE RAI ARRIVANO I MAGNIFICI INGLESI Elgar, Britten e Vaughan Williams diretti daJeffrey Tate al Lingotto ARRIVANO gli inglesi. La musica d'Oltremanica rappresenta un capitolo strano, per lo meno discontinuo. Dopo i virginalisti a cavallo tra '500 e '600 e il sommo nome di Henry Purcell (morto nel 1695), stiracchiando alquanto si può considerare inglese Georg Friedrich Haendel, che dal 1711 alla morte nel 1759 visse quasi sempre a Londra e ottenne anche la cittadinanza di quel Paese, ma in realtà rimane un tedesco. Poi, una lunga pausa senza che dall'isola pervengano prove significative dell'arte musicale. E' a cavallo tra '800 e '900 che si registra un rinascimento musicale, legato soprattutto ai nomi di Charles Hubert Parry, Edward Elgar e Charles Villiers Stanford, che era di origine irlandese. A questi sono da aggiungere Frank Bridge, John Nicholson Ireland, Gustav Theodor Holst e Ralph Vaughan Williams, oltre alla figura singolare di Frederick Dehus. Da questo rinnovato fervore ha poi preso le mosse Benjamin Britten, sicuramente il genio musicale inglese più fervido del nostro secolo. Gli ambienti concertistici torinesi hanno cominciato a considerare questa produzione piuttosto tardi, e precisamente da quando direttore artistico dell'Orchestra Rai di Torino era Enzo Restagno e quello musicale Frank Shipway. Il suo successore Sergio Sablich ha tenuto ben aperto questo cammino, al punto che il complesso torinese, diventato nel frattempo Orchestra Sinfonica Nazionale, ha accolto come prin- cipale direttore ospite l'inglese Jeffrey Tate. E proprio Tate (foto) segna il suo ritorno sul podio del Lingotto con un magnifico programma che accomuna Elgar, Britten e Vaughan Williams. Gli appuntamenti sono per giovedì 28 alle 20,30 e venerdì 21 alle 21. C'è da sperare che la bravura del maestro pungoli il pubblico torinese, conservatore come pochi e restio a considerare qualcosa che vada al di là dei soliti sette o otto sia pur sommi nomi. Si inizierà dunque da una sorta di sigillo dell' «inglesità» o meglio della «londinesità»: quel «Cockai- gne» di Elgar che nacque in reazione al doloroso fiasco del «Sogno di Geronzio» e, come suggerisce il sottotitolo «Nella città di Londra», assorbe scene, suoni e rumori della capitale. Segue il «Nocturne op. 60» di Britten, che richiede un tenore (in questo caso Anthony Rolfe Johnson), sette strumenti obbligati e archi. Infine la «Sinfonia n. 5», che Vaughan Williams costruì con temi tratti dal suo «Pilgrim's Progress» e concluse con una Passacaglia, seguendo l'illustre esempio della «Quarta» di Brahms. Leonardo Osella

Luoghi citati: Londra, Torino