Il 25 luglio nessuno si armò in difesa di Mussolini.

Il 25 luglio nessuno si armò in difesa di Mussolini.LETTERE AL GIORNALE Il 25 luglio nessuno si armò in difesa di Mussolini. Resistenza fuori dal revisionismo Vorrei ricordare che la Resistenza non è stata una guerra civile. Perché vi sia guerra civile occorre che entrambe le parti siano in grado di sostenere la lotta da sole, come avvenne nella Guerra di Secessione americana. Nulla del genere è invece accaduto in Italia (e nemmeno in Spagna). La «guerra civile» italiana non ha avuto inizio il 25 luglio del '43 con il crollo del Fascismo. In quei giorni nessuno prese le armi per difendere il regime di Mussolini. La guerra fra italiani inizio solo dopo l'8 settembre, quando la Germania nazista costituì lo Stato fantoccio noto come Rsi. I fascisti italiani (come quelli spagnoli) non avevano alcuna possibilità di combattere le forze democratiche. Poterono farlo solo grazie all'aiuto nazista. Senza quello la guerra sarebbe finita due anni prima. Questa è la verità storica e nessun revisionismo riuscirà a cambiarla. Claudio Giusti Forlì Meglio morire prima di pensare Paralipomeni all'articolo di Emanuele Severino «E il filosofo inventò la morte» del 9 gennaio. L'angoscia dell'uomo occidentale non e come scrive Severino il fatto «che morire significa andare nel nulla», e nemmeno il tedio di una vita interminabile, ma la tensione di dover considerare, come diceva Vilfredo Pareto, che «per gli esseri umani meglio sarebbe non nascere, e quando è accaduta la disgrazia della nascita, almeno morire prima di pensare: fortuna grande pei mortali è che almeno un terzo della vita è preso dal sonno», quindi quello che ci angoscia è esistere, essere esistiti e non esistere più. Mirabile è che, nonostante alla fine dell'articolo l'autore proclami la nostra coscienza eterna in quanto tutto quello che abbiamo vissu to non verrà mai meno, egli si contraddice e conferma la transito- rietà di ogni cosa citando all'inizio dello stesso articolo un suo libro antecedente, spinto dal fatto che i diritti d'autore non sono eterni, né i soldi o la fama, come tutto quanto ci compone, né il ricordo della felicità passata può renderci felici, né il ricordo della vita passata può renderci eterni. Edoardo Dezani, Asti L'indisponenza di certi tolleranti E' davvero indisponente il modo in cui diversi politici ed «esperti», trattando di scuola, parlano di «cultura della tolleranza». Cultura che, a loro dire, non sarebbe conciliabile con un indirizzo ideologico ben definito, come quello seguito in molte scuole non statali. La tolleranza, secondo questi «cervelloni» starebbe nel non prendere posizione. La vera tolleranza è quella di chi, avendo un suo orizzonte culturale e credendo in certi valori, rispetta chi non la pensa come lui in nome della comune dignità di persone. Bruno Iadaresta S. Maria a Vico (Ce) Non si fanno vestiti senza usare l'ago In riferimento all'articolo: «Laurea breve, lavoro sicuro?», pubblicato il 28 dicembre 1998, noi studenti iscritti al corso di diploma in «Moda e costume» dell'Università di Firenze intendiamo denunciare i molteplici e gravosi impedimenti incontrati dal momento della nostra iscrizione al suddetto D.U. L'Università ha commesso nei nostri confronti non poche scorrettezze sin dal giorno dell'esame di ammissione, rivelando solo allora che i 60 posti disponibili erano da suddividere fra 4 indirizzi (design - costume per lo spettacolo tessile - accessori), quando il bando di concorso li dichiarava invece a sezione unica «.design)). Speravamo si trattasse di un disguido iniziale, ma la situazione è andata peggiorando, tanto che la prima lezione si è tenuta in data 18 novembre 1998, con circa un mese di ritardo rispetto al giorno inizialmente stabilito. Ciò ha inevitabilmente comportato grossi disagi ai numerosi studenti provenienti da fuori Firenze. La notizia più sconvolgente è però arrivata solo adesso, con i nuovi piani di studio da cui sono state cancellate molte delle previste ore di laboratorio (soprattutto per l'mdirizzo di Costume). Come se non bastasse questa esigua parte pratica viene svolta in locali del tutto inadeguati, senza tavoli da disegno, rubinetti d'acqua, macchine per cucire o manichini. A questo punto va specificato che le tasse universitarie relative al nostro D.U. ammontano a circa cinque milioni annui (pur trattandosi di un corso statale!), giustificati proprio come spesa per i laboratori; allora ci chiediamo: dove andranno a finire, adesso che i laboratori sono stati decimati, tutti questi soldi? Abbiamo cercato di sporgere protesta al Preside della Facoltà ed al Presidente del Consiglio di Diploma, prof. Chimici, ma ci è stato risposto che il D.U. per Operatore di Costume e Moda è teso a formare dei puri «progettisti» e non dei «realizzatori». Ma non era proprio l'aspetto professionalizzante a costituire la peculiarità dei D.U.? E soprattutto: è possibile progettare ciò che non si sa realizzare? E ancora: qual è l'effettiva possibilità d'impiego nel campo della moda per chi avanza la pretesa di non maneggiare neppure un ago? Vi abbiamo informati poiché l'articolo menzionava il diploma in Moda e Costume e i D.U. in generale come dei corsi la cui validità sta proprio nella nuova spinta professionalizzante. Scrivevate anche che pur facendo capo alla facoltà di Lettere il D.U. ha poco di letterario: in realtà di letterario ha abbastanza, è con il costume che c'entra proprio poco! Iscritti al primo anno del D.U. in Operatore di costume e moda, specializzazione Costume per lo spettacolo di Firenze Prostitute e poveri ci sono sempre stati Vorrei rispondere al signor Luigi Temporini, o meglio, chiedergli se nella sua lettera pubblicata su La Stampa dell'11 gennaio, è lecito sperare di trovare tracce di velata ironia. E' giusto aiutare l'extracomunitario onesto, che non commette reati e rispetta le nostre leggi; stiamo quindi attenti a non svalutare tutti i nostri principi di onestà e dignità. A parte il fatto che si arriva paradossalmente a non elogiare chi offre pasti caldi ai diseredati, mi sembra che esporre bambini di pochi mesi violacei per il freddo, allo scopo di intenerire i passanti, sia un caso lampante di maltrattamento ai rninori. In quanto all'abbigliamento delle donne nigeriane ai bordi delle strade, così «delicatamente» descritto dal lettore, va ammesso che fa parte dello svolgimento del loro lavoro. Inoltre, il cliente occasionale disposto ad aiutarle, così romanticamente evocato, non fa altro che favorire la prostituzione. Poveri, mendicanti e donne sfortunate che vendono il proprio corpo sono purtroppo sempre esistiti. Volendo, in silenzio, senza «buonismo» sbandierato ai quattro venti, nel nostro piccolo ognuno di noi può essere d'aiuto a chi veramente lo merita. Renata Doria, Torino Le origini dell'Azione Cattolica Ringraziando per l'attenzione riservata alla nostra neo presidente nazionale Paola Bignardi e all'Associazione tutta, segnaliamo che tra i dati pubblicati sulla storia dell'Azione Cattolica italiana, a corredo dell'articolo di Liliana Madeo, pubblicato venerdì 22 gennaio a pagina 13, vi è un'inesattezza segnalataci da molti dei nostri soci che leggono La Stampa. All'inizio del box «Una storia lunga 130 anni» si legge: «L'Azione Cattolica è stata fondata nel 1868 per iniziativa di un prete, don Giussani...» L'informazione è inesatta. All'origine della Gioventù Cattolica, moderno nucleo dell'Azione Cattolica, sta l'incontro tra due giovani: Mario Fani di Viterbo e Giovanni Acquaderni di Bologna. Don Luigi Giussani è invece il fondatore di Comunione e Liberazione ed è vivo e vegeto. Presidenza nazionale dell'Azione Cattolica

Luoghi citati: Bologna, Firenze, Germania, Italia, Lettere, Spagna, Torino, Viterbo