IL LEONE BALNEARE E IL RUMOR TRANSITIVO di Eugenio Cefis

IL LEONE BALNEARE E IL RUMOR TRANSITIVO IL LEONE BALNEARE E IL RUMOR TRANSITIVO Vuoti di potere: la disfatta del '69 TL vuoto? Il vuoto - e non solo nelle leggi che regolano l'armonia della materia - chiama il pieno. Tutte le vicende passate confermano questa regola. Anche nella storia recente del nostro Paese i periodi di vuoto di potere - nonché le fasi di transizione eccessivamente prolungate, gli estenuanti riti del passaggio delle consegne celebrati nelle stanze dei bottoni - finiscono col creare drammatiche turbolenze. Nelle memorie che il Paese porta con sé vi sono anni - come il 1943, o il 1969 - che da questo punto di vista sono emblematici. Innescano vortici impetuosi che «portano tempeste ma gonfiano anche le vele», direbbe Arkadi Strugatski autore col gemello Boris di Passi nel tempo. Tesi peraltro immediatamente contraddetta dal fratello, Boris Strugatski appunto, che nello stesso testo sottolinea come «questi venti gonfiano le vele ma portano anche le tempeste». Tuttavia, più che approfondire questi aspetti sottilmente confliggenti, è meglio fare mente locale su alcune esperienze italiane di «vuoto di t potere». Che l'8 settembre 1943 sia un esempio da manuale di «vuoto di potere» conclamato, è cosa nota. Percepito con totale e dolorosa sofferenza da tutti gli italiani che vi si sono dovuti confrontare direttamente, trova ancora il suo più sintetico e insuperabile affresco nelle parole dello storico Claudio Pavone: «Dissoltosi in poche ore l'esercito, fuggito il re al Sud con pochi brandelli di governo, chiusi i pubblici uffici e paralizzati i servizi, confusione e incertezza ovunque regnanti su chi detenesse ancora qualche parte di potere: gli italiani si trovarono come librati in una condizione che, se non era proprio lo stato di natura, appariva lontanissima da quella organizzata di cui si aveva avuta quotidiana e tradizionale esperienza». A differenza del «vuoto di potere» del 1943, affrontato in così tante ed esaustive ricostruzioni da non richiedere ulteriori notazioni, il «vuoto di potere» del 1969 è invece ancora ben lontano dall'essere percepito come tale. La connotazione di quell'anno, a trent'anni esatti dal suo scorrere, rimane generalmente quella dell'inizio della «strategia della tensione» e l'esplodere dell'«autunno caldo». In ogni rievocazione del '69 il richiamo doveroso di questi fatti - che certo colpiscono il Paese con tragico e poderoso impatto sommerge la filigrana, potenzialmente densa di implicazioni ma più difficile da afferrare, costituita dal «vuoto di potere» che riempie quel periodo. Nel 1969 non s'assiste ad un collasso improvviso e sistematico del «quartier generale» (cosa avvenuta nel 1943) quanto, piuttosto, al sommarsi e all'accumularsi di diversi e contigui «vuoti» che formano voragini nel territorio della politica e baratri nella vita economica-finanziaria. Il primo vuoto, forse il più visibile, colpisce socialisti e De, i due partiti protagonisti dell'esperienza di centro-sinistra, formazione che scandisce la sua agonia con un governo «balneare» affidato nel giugno 1968 a Leone e quindi a due go- verni di «transizione» (nel dicembre '68 e nell'agosto del '69) retti da Mariano Rumor. A questo vuoto di potere al vertice dell'esecutivo corrisponde la frammentazione degli equilibri interni ai due partiti. Il partito socialista unificato si scinde in quell'anno nei due tronconi che erano confluiti a formare il Psu: socialisti e socialdemocratici, duramente contrapposti. Peggio ancora è l'implosione interna alla De: come ricorda Paul Ginsborg nella sua Storia d'Italia dal dopoguerra ad oggi il XII Congresso della De, nel giugno del 1969, «fu lacerato da lotte intestine fra le correnti: otto gruppi contesteranno vivacemente l'assemblea; il più numeroso, quello dei dorotei, riuscì a otte- nere solo il 38 per cento dei delegati e in autunno si dissolse». Rammentare le correnti che si confrontavano allora nella De sembra oggi un funambolico esercizio di memoria ma allora quelle presenze - dorotei, morotei, tavianei, fanfaniani, centristi popolari, basisti, forzanovisti e nuova sinistra di Sullo riempivano, e con quanta forza litigiosa, quel «buco nero» che stava diventando il partito di maggioranza relativa. Ma è nell'assetto economico che il «vuoto di potere» di quei mesi si fa marcato: «Dall'ottobre 1968 all'aprile 1970, diciot¬ to mesi: tanto durò ancora Giorgio Valerio alla presidenza della Montedison dopo che il potere di comando azionario della società s'era spostato nelle mani dell'Eni» scrivono Scalfari e Turani in Razza padrona, forse il più lucido monitoraggio del sofferto passaggio delle consegne tra la vecchia guardia del capitalismo ambrosiano (Valerio, il conte Faina) e i nuovi boiardi rappresentata da Eugenio Cefis. Lo scavarsi di questo «vuoto» sotto il trono di Giorgio Valerio, incontrastato re del trust elettrico prima della nazionalizzazione e poi monarca di quella Montedison nata dall'incontro dell'Edison con la Montecatini, è narrato in questo libro, riproposto a venticinque anni dalla sua prima edizione, con pagine degne di un thriller. Appena successivo alla scalata dì Cefis alla Montedison c'è poi un gioco ancora più vertiginoso, tipico di queste fasi di transizione dove la forza di gravità degli eventi sembra obbedire a nuove logiche di cui solo alcuni riescono ad intravedere, sin dall'inizio, la forza e la direzione. Cefis, maestro di stratagemmi nella sua imboscata alla Montedison, non vuol certo cadere vittima di altri «scalatori». E quindi appena insediato in Montedison - racconta Turani in Padroni senza cuore - mette in azione un ufficio incaricato di fare la guardia alle azioni della società. E così Cefis s'accorge che è in atto una scalata, quella di Rovelli patron della Sir, benedetta da Andreotti e finanziata con i soldi dell'Eni presieduto in quel momento da Girotti. Il presidente dell'Eni scoperto da Cefis con le mani nel sacco gli deve passare - in assoluta riservatezza - il credito verso Rovelli. Cefis così spiega sempre Turani - «si trovò ad essere, sempre clandestinamente il finanziatore di Rovelli che lo stava scalando». La stessa cosa - di mani che segretamente si sovrapponevano ad altre mani, di infiltrazioni e deviazioni che preparavano prossimi e tragici smottamenti - avveniva in altri contesti. Il vuoto chiamava il pieno. E questo, in quel 1969, era foriero di tempeste che nessuno, per lungo tempo, sarebbe riuscito a governare. Oreste del Buono Giorgio Boatti Da leggere; A. e B. Strugatski Passi nei tempo Mondadori Urania 1982 Claudio Pavone Sulla continuità dello Stato Rivista di Storia contemporanea, aprile 1974 Paul Ginsborg Storia d'Italia dal dopoguerra ad oggi Einaudi, Torino. 1989 Scalfari-Turani Razza Padrona Baldini & Castoldi Milano 1998 Giuseppe Turani Padroni senza cuore Rizzoli. Milano 1980 Strategia della tensione, autunno caldo, De e Psi lacerali all'interno, voragini nell economia e scalate finanziarie di Cefis e Rovelli luoghi co vv PERSONAGGI \m F, MEMORIE j|E MLI/imUA 1*5 I!VITA Eugenio Cefis: lo «scalatore» più famoso nell'era della Razza padrona

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