La stretta finale dopo tredici anni
La stretta finale dopo tredici anni La stretta finale dopo tredici anni Breuer tenta di siglare la lunga offensiva tedesca LA STORIA DI UN BLITZ ANNUNCIATO OMILANO UANDO gli chiesero perché avesse scelto la Deutsche Bank per collocare il pacchetto azionario Fiat che il colonello Gheddafi, dopo nove anni, aveva deciso di vendere, il pjeaideflte della Fiat, Giovanni Agnelli, rispose: «Perché la Deutsche, è, l'istituto che ha il maggibr-pé^rj;"e là maggiore autorità in Europa nel settore creditizio e azionario». Correva l'anno 1986, e nello stesso anno la Deutsche sbarcava in Italia acquistando dalla Banca d'America e d'Italia la Bai. Numero uno del potente gruppo di Francoforte era ancora Alfred Herrhausen che, alla fine del 1989, sarebbe stato assassinato dai terroristi tedeschi. Sette anni dopo, nel maggio '97, il successore di Herrhausen, Hilmar Kopper, lasciava la presidenza del gruppo. Questa volta non per mano di un commando ma perché indebolito da una serie di scandali finanziari, dalla bancarotta del costruttore Jurgen Schneider al tracollo della Kloeckner fino ai mancati controlli sui fondi di investimento della londinese Morgan Grenfell, che era entrata a far parte dell'impero. Disavventure che erano costate a Deutsche la tripla A. Anche nell'era Kopper la «campagna d'Italia» era andata avanti sotto la regia di Ulrich Weiss, il membro del board che rappresentava il socio Deutsche in Fiat ed era responsabile delie attività italiane. Nel 1993 la Deutsche aveva infatti acquistato la Popò- lare di Lecco (popolare solo di nome poiché, di fatto, faceva capo a privati) e, un anno dopo, decideva non solo di fonderla con la Bai, ma di fare il grande salto, cambiando il nome Bai in «Deutsche Bank Italia». Un «azzardo» che si rivelò un successo e che era stato proposto e fortemente voluto dal nuovo amministratore delegato Gianni Testoni. Il quale era arrivato in Bai dalla «scuola» del Credito Italiano. E' del maggio '95 l'operazione che porta Deutsche Italia a rilevare dal gruppo De Benedetti il controllo, con successiva Opa, di «Finanza &■ Futuro». Un'operazione che consentì ai tedeschi di salire al secondo posto nella hit parade italiana delle società di gestione del risparmio. Da allora Deutsche Italia, o meglio Gianni Testoni, ha continuato a esplorare ogni nuova possibilità di crescita, mentre Weiss non perdeva occasione per ribadire l'interesse dei tedeschi per il Bel Paese. Un interesse che non è venuto meno, anzi si è consolidato, con l'arrivo del nuovo presidente Rolf Breuer, balzato ai vertici dopo una carriera interna nell'area Borsa e finanza. Dopo un anno e mezzo di presidenza Breuer decide uno sbarco ancor più incisivo in Italia e, con un investimento di 700 miliardi, si compera il 4,5% della Comit. Chiede anche (richiesta ngata) un posto nel consiglio di piazza Scala e fa sapere di essere contrario al matrimonio tra Comit e Bancaroma. E' l'ultima settimana del settembre '98 e, a tre mesi e mezzo esatti, ecco la seconda mossa: l'ingresso nel capitale Unicredito con lo 0,75% e il beneplacito di due grandi azionisti dell'istituto: Cariverona e Cassamarca. Una mossa per la verità non cercata, ma proposta del presidente di Cariverona Paolo Biasi. E accettata per più di un motivo, non ultima forse la «tentazione» di mandare un messaggio a chi deve decidere delle sorti di Comit & Co. La strategia italiana corrisponde del resto alla strategia più ampia di Deutsche, non solo in Europa dove è decisa a rimanere la numero uno, ma nel mondo. E' di dicembre l'offerta per l'americana Bankers Trust. Un boccone che viene considerato indigesto, ma che il «lottatore» Breuer non esista a fa suo come prezzo per entrare nel mercato Usa. [v. s.) «cpèmt Nella foto in alto la sede milanese del Credito Italiano
Persone citate: Alfred Herrhausen, Gianni Testoni, Giovanni Agnelli, Hilmar Kopper, Jurgen Schneider, Morgan Grenfell, Paolo Biasi, Rolf Breuer, Ulrich Weiss
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