I profughi, incognita sulla via della pace di Fiamma Nirenstein

I profughi, incognita sulla via della pace I profughi, incognita sulla via della pace Da 52 anni una spina nel fianco di Israele e dei Paesi arabi Fiamma Nirenstein GERUSALEMME Profughi; sulla loro sofferenza e la loro rabbia, sulle immagini delle casupole addossate senz'ordine una sull'altra dentro spazi in cui manca tutto, sulla loro forza politica pre�sente anche nella gerarchia politica e militare di Arafat in modo massic�cio, sulle stellette che si sono guada�gnati pagando in termini di vite umane questa Intifada, su tutto questo rischia di arenarsi la pace mighore cui il popolo palestinese possa giungere. La pace con la sovranità su gran parte di Gerusa�lemme e la Città Vecchia, il 950Zo dei Territori, la Valle del Giordano, bastione difensivo di Israele di fron�te a tutto il mondo arabo, più vari appezzamenti nel Negev. C'è un nodo logico oltre che umanitario dentro la questione dei profughi palestinesi che è basilare, e Arafat non si decide, non può scioglierlo in queste ore in cui Clin�ton gli chiede di rispondere positiva�mente all'offerta di ricevere uno Stato palestinese con Gerusalemme come capitale, come aveva sempre promesso al suo popolo. Il nodo logico è questo: Arafat sa che nel momento in cui delimita i confini del suo Stato, tutti i palestinesi sparsi per il mondo, tutti i profughi che ancora soffrono la ferita della guerra del '48 e i loro discendenti dovrebbero agognare a vivere nel loro Stato, appunto lo Stato Palesti�nese, e non in Israele. Ma nel momento in cui un profugo impu�gna il diritto di andare a vivere a Lod, dove si trovava la sua casa, nel cuore di Israele, e nel momento in cui Arafat inserisce nel cuore della sua lotta quésto diritto moltiplicato per milioni, ecco che oltre a chiede�re uno Stato, chiede anche che Israele diventi un Paese popolato fittamente, data la demografia, dai suoi cittadini. In definitiva, non chiude il conflitto, ma ne apre uno nuovo tendenzialmente volto a so�stituire Israele. Per questo sia lo Stato ebraico sia gli americani han�no chiesto di sopperire ai diritti dei profughi pennettendo le riunifica�zioni fainiliari, ma anche usando massicciamente lo strumento degli indennizzi; di questo si era molto parlato nell'accordo Abu MazenBeilin, e poi di nuovo a Camp David. Israele non avrebbe accettato nessu�na responsabilità «legale o morale» per i profughi creatisi durante una guerra in cui era stata attaccata, ma avrebbe tuttavia aiutato la loro risistemazione in uno Stato palesti�nese o in qualunque altro punto del globo. La questione dei profughi ha vari stadi, ma comincia nel '48, con la guerra d'Indipendenza dopo la quale l'Onu votò la Risoluzione 194 su cui oggi i palestinesi basano la loro richiesta, e che comunque non attribuisce responsabilità. La storia e anche il documento sono, a un'ac�curata lettura, controversi. Oggi c'è chi parla di due milioni, chi di tre, chi di quattro mihoni di profughi. Si tratta dei discendenti di un numero di palestinesi calcolati fra 400mila e 800mila che lasciarono disperati e poveri la loro casa durante la guer�ra; gli israeliani mettono l'accento sul fatto che per la maggior parte essi se ne andarono in seguito all'in�vito pressante dei cinque Paesi ara�bi che attaccarono Israele subito dopo la partizione dell'Onu e la dichiarazione di indipendenza. Ma i palestinesi, sostenuti anche da un gruppo di storici israeliani «revisionisti» fra cui il più famoso è il professor Benny Morris, sostengo�no che comunque in svariate situa�zioni gli israeliani spinsero con la forza delle armi la popolazione ad andarsene. Israele fa notare anche che poco dopo i Paesi arabi cacciaro�no con la forza SOOmila ebrei, e considerano la tragica vicenda alla stregua degli altri tragici scambi di popolazioni successivi alla Seconda guerra mondiale; il giornalista Dan Margalit cita a favore di questa tesi le vicende dei Sudeti o dello scam�bio di popolazione Pakistan-India, lo scrittore A. B. Yehoshua sostiene che comunque si è trattato di sposta�menti minimali in termini geografi�ci, di cultura e di lingua. La. Risoluzione 194, che parla di scelta soggettiva dei profughi al ritomo «in pace» in Israele, oppure, sempre a scelta del soggetto, a ricompense da stabilire, è ormai impugnata come un'arma dai cam�pi profughi che neppure l'accordo di Oslo ha portato in alcun modo allo scioglimento, e anche dalle organiz�zazioni che tali campi hanno gestito e che sono comunque il filo rosso che lega tutti rifugiati palestinesi nel mondo. Si tramanda di genera�zione in generazione un desiderio di ritomo che, dato il numero e i sentimenti dei profughi che ne fan�no la parte più sfiduciata verso la pace del mondo palestinese, risulta in definitiva per Israele ben più intrattabile della questione di Gerasalemme. Per Gerusalemme, ne va dei sentimenti, della storia, delle radici; per i profughi, della possibili�tà stessa di continuare a esistere come Stato degli ebrei. La questione è sempre stata ma�neggiata con grande delicatezza an�che da Arafat, specie nel suo rappor�to con i Paesi arabi. Se si andasse a risarcimenti, si è calcolato che la Giordania riceverebbe 40miliardi di dollari; tanto richiede il Regno Hashemita per avere ospitato i pro�fughi dal '48. In generale, l'indenniz�zo previsto per i profughi sarebbe di 20inila dollari a testa, 100 miliardi di dollari per una risistemazione complessiva. Un piatto molto ghiot�to per chiunque lo gestisca, che però non bilancia la paura dei Paesi arabi che una comunità palestinese insoddisfatta, e definitivamente piantata nel suo fianco, potrebbe •portare seri problemi. Né placa il sogno dei profughi di tornare a casa , e anche di rappresentare la con�traddizione più esplosiva e deva�stante per una pace. li! origine erano 400-800 mila, oggi coni discendenti sono diventati tra due e quattro milioni Sono stati offerti indennizzi per cento miliardi di dollari in cambio della rinuncia al ritorno •^sai. Due poliziotti di guardia alla moschea di Gaza dove Arafat sta pregando in occasione della fine del Ramadan