Getto, il maestro di stile che osò ripudiare Croce

Getto, il maestro di stile che osò ripudiare Croce Getto, il maestro di stile che osò ripudiare Croce Gian Luigi Beccaria CHI negli anni CinquantaSessanta arrivava all'Uni�versità per studiare le lette�re, vi giungeva perlopiù guidato da una manualistica letteraria che poneva l'accento esclusivo sui sentùnenti ispiratori, sulle passioni, e riduceva le analisi dei testi a una casistica psicologica, a mdagini sulla cosiddetta «perso�nalità» dello scrittore. Oppure era ferrato in mi tipo di critica contenutistica e storica, adatta per connessioni tra «civiltà» e «opera d'arte». Oppure, esteta in erba, si affidava al gusto e alla sensibilità personale, amava la lettura lirica, degustava il fram�mento. All'Università di Torino incontrava mi professore di lette�ratura itahana, Giovanni Getto, autore di mdagini profondamen�te innovative in anni di crociane�simo imperante: ad esempio su scrittori «impuri» e fuori del cano�ne, perché considerati più «orato�ri» che «poeti», i religiosi (Santa Caterina da Siena, Jacopo Passavanti), o si trovava di fronte a rivendicazioni della «poesia» del Paradiso dantesco dopo anni di valutazione privilegiata del più realistico Inferno. Getto ci legge�va anche Marino e marinisti, aprendo orizzonti nuovi negli studi sull'età barocca: corregge�va definitivamente la vulgata che aveva condannato il Seicento come età bizzarra, priva di «buon gusto», ridondante esercizio di virtuosismi vuoti, senza apertu�re sui grandi sentimenti umani. E si impegnava sul vicino e sul presente, avventurandosi nel No�vecento, e ricomponendo cosi, tra i primi, lo iato tra critica accademica e critica militante. L'aria nuova che mtomo alla sua scuola si respirava contribu�a liberarci dai metodi che risolve�vano ogni attività umana, e quin�di anche l'artistica, nelle ragioni della Storia, nelle sue obbhgate direzioni, neUe sue monocordi motivazioni. A Torino c'erano maestri che,, sin dagli anni Cin�quanta (Getto tra questi), ci mo�stravano invece che il problema fondamentale per capire la lette�ratura era quello di riuscire a scovare ciò che tiene uniti gh elementi che compongono l'ope�ra artistica, dando a ciascuno un posto significativo, anche in rap�porto con un complesso di presen�ze, di influssi, per rispondere alla domanda su che cosa sia quel smgolo testo, quale il significato, che cosa lo tenga insieme e lo renda entità autonoma. Autono�ma ma non isolata, perché da riallacciare sempre ad idee, a temi, a una bibhoteca di scrittori, a quel patrimonio mentale insom�ma che ogni scrittore si crea frequentando libri altrui. Lo si cap�bene quando Getto pubblica�va Manzoni Europeo, dove Shakespeare, Cervantes, Lope, Calderón, Diderot, Schiller sono visti come gli autori la cui opera ha esercitato il peso di una «fon�te» importante per i Promessi sposi. Getto, forse per la collegan�za con Benvenuto Terracini, fu anche uno tra i primi a farci il nome decisivo di Leo Spitzer e di quella «stilistica» capace di costruire un ponte fruttuoso tra linguistica-filologia-letteratura, perché privilegiava gli elementi analitici e formali, ma per porta�re infine alla sintesi espressiva ed interpretativa. Non è un caso che la rivista Cratilo prima, e Sigma poi, che ebbe un certo peso nella cultura degh anni Ses�santa seguenti, si fosse posta come programma principale le indagini sullo «stile» letterario, e che gran parte dei redattori fosse�ro allievi di Getto. La sua è stata una scuola di pluralismo e di tollerenza, di apertura verso sempre nuove pro�spettive critiche. Tra i suoi allie�vi troviamo personalità diversis�sime, un neoavanguardista come Sanguineti, poeta e critico, un Bàrberi Squarotti sperimentato�re, aperto alle più diverse espe�rienze e metodologie, un Guglielminetti o un Cerniti studiosi della storicità della letteratura, un interprete di umanità e stile come Stefano Jacomuzzi, un Os�sola affascinante cercatore di av�venture della parola, critici militanti come Mondo, Portinari, molti specialisti di teatro come Davico, Tessali, Alonge, Livio, e altri ancora, filologi o raffinati interpreti, come Picara, come Do�glio o Zandrino. Anche Magris ed io fummo suoi indiretti allievi. Il pluralismo e la vastità di interes�si e di modi di lettura della sua scuola abituarono chi allora si affacciava agh studi a non imboc�care comode scorciatoie, a non adottare un «metodo» per pontifi�care e sdraiarsi su di esso, dormi�re sonni tranquilli, tanto ormai c'era il passe-partout per aprire tutte le porte. Getto ci insinuava l'inquietudine, con la sua opera di critico che nasceva da motiva�zioni di profondo impegno spiri�tuale (preferiva le grandi anime inquiete come Tasso, Manzoni, Leopardi, Pascoh). Ci insegnava, in anni di trascinanti avventure metodologiche, che per commen�tare testi occorreva stare alla larga da apriorismi, e che era bene invece abbandonarsi alla pagina, non nel senso vago del piacere della lettura, ma con un lucido abbandonò che nel labirin�to della composizione lasciasse ad un certo punto scovare una chiave di lettura suggerita inter�namente, dal testo stesso. Fu cos�che ci mostrò il paziente puntiglio del leggere (non erano tempi di «crediti» in cui per superare un esame bastava studiare su un esiguo manualetto da pagina 180 a pagina 230; Getto ci diceva che di un autore bisognava leggere semplicemente tutto, tutta inte�ra l'opera, anche le lettere, i minimi appunti). E ci insegnò il piacere d'inseguire e valutare la pregnanza dei dati verificabili. La sua fu una operante esortazio�ne verso una critica non impres�sionistica, intuitiva. Ci fece disa�morare della cosiddetta «critica pura», della lettura che degusta�va l'episodico e dilapidava l'infini�ta ricchezza dei grandi classici. Ci insegnò a diffidare d�astratti�smi e dogmatismi soffocanti. Nes�suno dei suoi allievi ebbe difatti interesse esclusivo per i feni del mestiere, a scapito dell'esperien�za unica suggerita da un testo.

Luoghi citati: Siena, Torino