Kantorowicz, il gran rifiuto

Kantorowicz, il gran rifiuto Mentre toma in libreria il «Federico II» l'America riscopre il suo polemico gesto Kantorowicz, il gran rifiuto Non giurò fedeltà anticomunista Alessandro Barbero NELLA Germania febbrile e immiserita degli anni Venti un giovane storico, della generazione che è stata allevata nei licei guglielmini ed è sopravvissuta alTordalia della Prima Guerra Mondiale, si con�sacra a una poderosa ricerca sul più grande degli imperatori te�deschi medievali, Federico II di Svevia. Pur lavorando con acu�me filologico su un'immensa mole di materiali, lo studióso non si accontenta di una rico�struzione di stampo positivisti�co, ma cerca di spiegare che cosa quell'imperatore ha signifi�cato, e può ancora significare, per il popolo tedesco. Com'è più che naturale a quell'epoca, il giovane autore ha letto il suo Nietzsche, ed è d'accordo con lui nel giudicare Federico II il più grande spirito libero espres�so dalla storia tedesca, «il primo europeo di mio gusto», come lo definisce appunto Nietzsche in Al di là del bene e del male. Date queste premesse, non c'è motivo di stupirsi se il ritrat�to dello Svevo, sotto la penna straordinariamente matura ed evocativa del biografo, acquista le tonalità carismatiche del su�peruomo. I giudizi contrastanti dei libellisti medievali, che di volta in volta l'avevano vitupe�rato come Anticristo o esaltato come «stupor mundi», si com�pongono nell'ammirazione esta�tica per un individuo capace di trascendere il proprio tempo; l'autore ne sottolinea l'energia demoniaca, l'innata capacità di comando, la superiore armonia di pensiero e azione, insomma proprio ciò che i pohtici della Germania di Weimar sembrano avere tragicamente smarrito. Quello storico era Ernst Kantorowicz, che aveva diciannove anni allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, e trentadue quando uscì, nel 1927, il suo Federico II imperatore (che ora viene ristampato da Garzanti); nelle ultime parole del libro la famosa profezia della Sibilla, per cui il sovrano non era morto ma soltanto tramontato come il sole, e prima o poi sarebbe ritornato in tutto il suo splendo�re, diventa una metafora della notte in cui è sprofondato il -'popolo-tedesco, ^"Egtìf^vivee non vive". ..-Non più all'impera�tore, xtìà'al suo" popolo si merfsce il detto della Sibilla». Bene, che un libro del genere abbia potuto piacere ai nazisti, e sia stato ripubblicato nel 1936 per intervento personale di Go�ebbels e con una svastica sulla copertina, non stupirà probabil�mente nessuno. Ed è forse inevi�tabile che da allora in poi que�sto monumento della storiogra�fia novecentesca sia stato consi�derato con sospetto, al pari del suo autore; cui è stata rivolta ancora di recente l'accusa d'aver fatto, magari senza sa�perlo, della storiografia nazi�sta. Ma la vicenda storiografi�ca, e umana, di Ernst Kautorowicz è di quelle che sfidano qualunque generalizzazione, e incitano a ripensare la storia del Novecento con quel senso della complessità e della con�traddizione che nella violenza della polemica ideologica ri�schiavano finora di perdersi. Giacché Kantorowicz era ebreo, e nel 1938 emigrò dalla Germania nazista negli Stati Uniti, dove rimase fino alla morte nel 1963. Come molti altri esuli europei, protagonisti di una delle più grandi migrazio�ni intellettuali di tutti i tempi, trovò rifugio all'Università del�la California a Berkeley, dove, come ricorda un suo allievo, andare alle sue lezioni «era come mettere piede in Europa»; e dove il suo insegnamento è ricordato ancor oggi per la sua straordinaria modernità e ric�chezza interdisciplinare. Perciò Kantorowicz ha trova�to difensori agguerriti: a ogni lettura che sottolinea il coté nietzschiano, nazionalista e ad�dirittura razzista del suo Federi�co II, è possibile oppome un'al�tra che ritrova invece in lui l'ortestà intellettuale del grande borghese tedesco, conservatore s�e tutt'altro che ostile a un illuminato autoritarismo, ma pronto a tener testa a qualsiasi prezzo alle degenerazioni ditta�toriali. Ma non finiscono qui le sorprese nella biografia intellet�tuale di Kantorowicz, ^ giacché K.:nel.,1950; sull'onda della guerra fredda e.dell'incombente caccia alle stre'ghè, Berkeley decisa di imporre a tutti i suoi docenti un giuramento di lealtà, con l'impe�gno di non aderire al partito comunista. Kantorowicz, che tutti conoscevano come un uo�mo di destra e senza nessuna inclinazione libertaria, fra la costernazione generale dichia�rò che non avrebbe mai lavora�to per un'istituzione che gli chiedeva un giuramento. «Ci sono tre professioni che hanno in comune la toga, o la tonaca, e sono il giudice, il prete e il professore; in tutt'e tre la socie�tà deve avere tacitamente fidu�cia, sta a loro mantenersi all'al�tezza di quella fiducia», affer�mò lasciando la sua cattedra. Egli aveva già veduto in Germa�nia e in Italia, aggiunse, quel che capitava quando si comin�ciava a imporre giuramenti ai professori. La ferita aperta da quella vicenda non si è ancora rimargi�nata nell'Università americana, dal momento che gli Stati Uniti, diversamente dall'Italia, sono un paese consapevole della pro�pria storia, e della forza con cui il passato plasma il presente. Proprio in questi mesi, il cin�quantesimo anniversario del Giuramento di Berkeley sta ani�mando un'accesa discussione nella comunità accademica sta�tunitense, e in particolare cali�forniana. Nello specifico, a gua�dagnarci fu l'Università di Prin�ceton, che si affrettò a offrire una cattedra a Kantorowicz, strappandolo definitivamente alla West'Coast; mentre la dia�spora dei molti che seguendo il suo esempio rifiutarono di giu�rare metteva fine per molto tempo al predominio di Berke�ley nel campo delle scienze umane. Relativamente poco no�ta in Italia, questa parte della vicenda accademica di Kanto�rowicz colloca definitivamente l'autore di Federico II imperato�re, con tutte le sue contraddizio�ni, fra i protagonisti dell'avven�tura intellettuale e poUtica del Novecento. La sua biografia sull'imperatore piacque a Goebbels e ai nazisti ma lui, che era ebreo, se ne andò negli Stati Uniti Conosciuto come uomo di destra, stup�tutti lasciando la cattedra a Berkeley: perche i professóri, come ipreti e i giudici, devonogodere e meritare fiducia Il senatore Joseph McCarthy, simbolo della crociata anticomunista degli Anni 50 a