Confesso non so l'inglese
Confesso non so l'inglese In difesa di questa nostra Babele Confesso non so l'inglese Michele Ferriera «Si sta ftroppper saC'È qualcosa di raccapriccian�te, lo so, nella confessione che sto per fare, ma sarebbe ancor più deprimente per me tacere la cruda verità. Eccola, dunque: io non conosco la lingua inglese. A suo tempo, scelsi e studiai molto il francese e successivamente, viag�giando nei Paesi anglosassoni, me la cavavo parlando la lingua parigi�na o il latino addirittura. Ho vissu�to insomma un'intera vita che non può definirsi breve con que�sta deficienza, che sempre' più appariva un handicap. E ho visto più di una persona guardarmi di traverso per il fatto che, facendo lo scrittore e il teatrante, io avessi la volgare impuden�za di non conosce�re l'inglese. Ora questa drammati�ca verità non fa più neanche scan�dalo. Lascia tran�quillamente crede�re che sono pazzo, le linguche ho perso per 0 sempre il treno del tempo. Del resto la crescente eufo�ria europeica e la dilagante menta�lità americana rendono oggi l'igno�ranza della lingua inglese un im�menso foruncolo mentale che, se�condo l'opinione diffusa rende il pensiero penosamente zoppicanteRifletto spesso su questo mio lìmite, die ancora tuttavia non mi vieta di scrivere libri, di inviare lettere, di comunicare a parole e a gesti con migliaia di persone, di ottenere qualche importante pre�mio letterario, di sentirmi direcon affetto: «Come parli bene!»Tuttavia, mentre parlo con traspor�to il mio appassionato italianovedo talvolta un deserto all'oriz�zonte o una sua stregata profeziaDel resto perché non dirlo? La logica che sta prevalendo rende sempre più ragionevole credere che, nelgiro di cento anni, le lingue nazionali politicamente subordinate (come l'italiano, per esempiodiventeranno ciò die sono oggi dialetti. E le opere letterarie, tea acendo o poco lvare diverse» trali, saggistiche scritte in italiano, subiranno ima feroce selezione. Esisteranno alla luce del sole solo le opere tradotte in inglese e saran�no oscura competenza dei filologi le opere che, non tradotte in lingua inglese, saranno considerate «imeriori». E' dunque possibile che fra non molto, gli scrittori itahani si mettano a scrivere i loro libri in inglese. Non è ima questione da nulla: in questo momento io starei scrivendo in una lingua morente o vicina ad appassire nei loculi più reconditi delle biblioteche più ra�re. Del resto, non sto forse scriven�do in toscano? Non fu la potenza economica e commerciale di Firen�ze a togliere prestigio alle altre lingue che si parlavano in Italia? Siete davvero certi che Bonvesin de la Riva (che ' scrisse nel Medioevo un immaginifico poe�ma in veneto) fos�se meno rilevante di Guido Guinizelli e Cecco Angiolieri? Non è sempre av�venuto qualcosa di simile? Le più forti potenze economiche e militari non hanno sempre finito per fagocitare le lingue dei più deboli? Negli ultimi anni questo pensiero mi ossessio�na e una parte di me progetta di imparare l'inglese, con lo stesso spirito di chi si fa vaccinare per evitare la peste e la morte. Ma un'altra parte di me vorrebbe che riflettessimo sulla necessità di non cedere: di insistere sulla prepara�zione di ima Europa, di un mondo, che conservi, potenzi e sviluppi le lingue più diverse. La patria del�l'uomo è Babele. La mia impressio�ne è che si stia facendo troppo poco per salvare il prestigio e la natura delle lingue più diverse. E che si lasci avvicinare il tempo della loro fagocitazione. Quanto a me, forse tenterò di imparare la lingua ingle�se, ma voglio maledire fin da ora il mondo che permettesse ancora una volta la dittatura del linguag�gio del più forte. La dignità della parola non si paga in dollari. «Si sta facendo troppo poco per salvare le lingue diverse 0
Persone citate: Cecco Angiolieri, Guido Guinizelli, Michele Ferriera, Riva
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