IL MALE A VENIRE di Luigi La Spina
IL MALE A VENIRE IL MALE A VENIRE Luigi La Spina IL pellegrinaggio natalizio di Haider fra le due sponde del Tevere, come un reagente maligno, ha provocato nella società italiana, sia quella politica sia quella civile, un pessimo risultato. Le reazioni, infatti, sono state sostanzialmente di due tipi, entrambe sbagliate e pericolose. Da una parte, si è cercato d�minimizzare il significato della sua «passeggiata romana», cal�colando il numero esiguo dei suoi seguaci, trascurando il peso delle sue parole e riducendo gli attacchi alle massime istituzioni vaticane e italiane ad esuberanti e magari un po' maleduca�te «boutade» di chi cerca, sulla passerella più lucente, una pubblicità sproporzionata. All'inse�gna di un troppo rassicurante e semphcistico appello: «Spegnete le luci e Haider sparirà». Un motto che, dopo le inaccettabili allusioni del leader carinziano ai commercianti ebrei di Roma, suona oggi non solo illusorio, persino un po' sinistro. Dall'altra, si è pensato di rispondere o con la retorica delle istituzioni o con la retorica della piazza. Come se il linguaggio dello sdegno per l'offesa o, peggio, quello della violenza potesse minimamente indurre Haider alia moderazione e bastasse a circoscrivere il contagio delle sue idee. Entrambi questi atteggiamenti nascono dal�l'incapacità di capire il «fenomeno Haider», certamente complesso, ma comprensibile come risposta irrazionale e sterile, ma non per questo meno pericolosa, ai rapidi cambiamenti della nostra vita, in Europa e nel mondo, e dal desiderio di sfruttarlo a fini di fazione. Per non ripetere le dotte spiegazioni politico-sociologi�che ampiamente diffuse in questi giorni, forse potrebbe essere utile limitarsi a due semphci domande: perché Haider cerca all'estero e so�prattutto in Italia quel consenso che, negli ultimi tempi, si sta riducendo in patria? E perché concentra i suoi attacchi sulle istituzioni, come il Presidente della Repubbhca italiana? Il localismo bigotto e reazionario di Haider si esaurirebbe in un fenomeno di folklore politico, infatti, se non si collegasse, attraverso una sapiente e moderna capacità mediatica, con tutte le paure che serpeggiano al di qua e al di là delle Alpi. Paure che in Italia, più che altrove, trovano alimento sia da un progressivo e preoc�cupante distacco dei cittadini dall'intera classe politica, sia dalla tradizionale mancanza di passione e sensibilità nazionale. Nella prima è implicita la risposta alla seconda domanda: Haider, e con lui Bossi, cercano di allargare la distanza tra il popolo italiano e le istituzioni nazionali, irridendo proprio i simboli più impor�tanti di questa rappresentanza unitaria. Ecco perché, di fronte al cerino emotivo secessionista rappresentato dalla predicazione italiana del presidente della Carinzia, non basta a Berlusconi star zitto per dimostrare quella equidistanza tra Haider e i centri sociali che, in realtà, continua a non rassicurare l'Europa sui suoi scomodi alleati. Non basta iscrivere Forza Italia al partito popolare europeo, se per questo ingresso non si vuol pagare il prezzo, anche elettorale, che i conservatori europei hanno saputo pagare. Anche la sinistra, però, si illude di recuperare la sohdarietà dei cittadini dietro a una bandiera, se si limita a recitare, dalle poltrone del potere, ipocrite giaculatorie patriottiche. O, peggio, se cerca di esercitare un ricatto a fronte delle scelte degli italiani, agitando fantasmi che non impau�riscono più. Le paure, quelle vere, sulle quali Haider volteggia come un demoniaco folletto, non sono quelle elettorali, ma riguardano la sicurezza personale, il lavoro, il futuro delle pensioni. Si affrontano offrendo ai concittadini meno algide superbie di unici garanti e deposita�ri delle virtù nazionali. I meriti di un buon governo non vengono riconosciuti per squalifica dell'avversario, nemmeno se ha cattive amici�zie.
Persone citate: Berlusconi, Haider
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