Giotto & C.

Giotto & C. Giotto & C. Lo splendore del 300 padovano UN'AVVER�TENZA dovero�sa: è necessario prendere alla lettera il titolo di que�sta congiuntura di oc�casioni (più che non una vera mostra) per non rimanere delusi. Giotto e il suo tempo è appunto il tema in questione. E si tratta dun�que più dell'ambiziosa riapertura critica di un discorso storico-artisti�co sul Trecento padovano, che non di ima vera rassegna (oggi del resto irrealizzabile) sul grande rinnova�tore della pittura, che seppe «rimu�tare l'arte di greco in latino e la ridusse al moderno», importando una sorta di ispirato «volgare» dan�tesco nella rigidità ieratica della decrepita arte bizantina (lo spazio annullato in quella sorta di trascen�dente lenzuolo ultraterreno del fon�do oro). Giotto riporta in scena cos�l'illusione dello spazio, il fiato della vita, le smorfie e le rughe del dolore troppo umano. Ma appunto, men�tre la recente mostra fiorentina LA MODSETTIMarco dedicata a Giotto tentava, con pur discussi documenti, d'incentrare l'attenzione filologica sulle forme stesse del suo far pittorico, questa, che procede per sommi capi ma che può, quasi una musica da camera, rinviare alla sinfonia capitale della Cappella Scrovegni, cerca di indaga�re il ruolo che ebbe la folgore luminosa dell'artefice fiorentino, in un contesto quale Padova recetti�vo e innervato da molteplici in�fluenze (certo più dell'isolata Assi�si: Murano e Venezia e poi la Lombardia dei miniatori sono trop�po vicine ed influenti). Cos�a un catalogo Motta fin troppo, ma motivatamente, macignoso, fa da riscontro una mostra esile e contenuta, più di disloca�menti e riesame, che non di integra�zioni e scoperte (a parte quella croce astile prelevata dal Vittoriale e chiusa in una teca sagomata dallo STRA LLA ANA allora stesso Vate, che ora Valerio Terraroli ri�condurrebbe in ambi�to giottesco). Ovvero: si spostano dalle sale del museo certi pezzi illuminanti, li si pone in rinnovato confron�to, magari si cerca di ricostruire l'antica collocazione a fascia decorativa, nella cappella privata e segreta dei principi Carra�resi, un po' alla maniera degli Angiò di Napoli, di quell'incredibi�le esercito di Angeli, Cherubini, Serafini (secondo la lezione gerar�chica di Dionigi l'Areopagita e la penna finissima di Guariento) che oggi forse hanno trovato una collo�cazione filogicamente corretta ma sono assai slontanati al nostro sguardo. Insomma, si rimescolano preziosissimi tarocchi per dare ini�zio finalmente ad un discorso ragio�nevole sull'influenza di Giotto in artisti che talvolta provengono dal�la miniatura o dalla compagine più gentile, adriatica dei riminesi (co�me Pietro e Giuliano) o che già avvertono il raddolcirsi cortese del�la sinuosa linearità gotica: i primi tepori d'alba di quello che sarà il fiorito falò del gotico fiammeggian�te. E anche qui, un'avvertenza: sa�rà mutile fingere che basti questa mostra-indice, questa mostra re�pertorio, questo assaggio d'aperiti�vo, per dirsi assolti: perchè certo non può render sazi, qui una copia d'icona di Giusto de' Menabuoi, là un batufolo di guancia di Guarien�to, qui un martoriato Jacobello da Fiore o un sospetto di panneggio di Tino da Camaino. Del resto, si può con un pezzo soltanto e non capita�le evocare la profondità cangiante di un Giotto, di un Altichiero, di un Lorenzo Veneziano? (andare per credere all'Accademia di Venezia). S'intenda dunque questa rassegna (che con pochi pezzi cerca di esauri�re il vastissimo problema della miniatura e dell'oreficeria e della scultura gotica padovana e persino della musica, con delle copie di strumenti d'epoca) come uno stimo�lo, uno stuzzichino e si esca final�mente nel tessuto della città, dov'è la vera, formidabile «mostra» itine�rante, ora che alcuni solerti restau�ri (in anno di Giubileo: e Giotto arriva a Padova proprio sollecitato da quel primo evento storico) han�no restituito alla città alcuni testi sublimi, come la prodigiosa Cappel�la di San Giacomo di Altichiero nella Basilica del Santo, oppure dello stesso, ma con Jacopo Avan�zi, il fluente, meraviglioso tappeto affrescato dell'Oratorio di San Gior�gio ed infine il rutilante Battistero, cilestrina serenata narrativa del solido Giusto de' Menabuoi, che vuol raggiungere il cielo del Paradi�so e che dipinge una sorta di Decamerone religioso (ha ragione in questo il curatore Sgarbi) di contro alla Cappella Scrovegni, che è invece la Divina Commedia della pittura. Forse esagera al contrario. Sgar�bi, quando arriva a sostenere che non Roma o Firenze e meno che mai Assisi sono le vere capitali del gotico: «Nella cultura figurativa del '300 è Padova la vera Firenze». Ma certo se ti aggiri (e questo è giusto fare) tra i palazzi e i musei, le Chiese maggiori (quali gli Eremi�tani e il Santo) ma anche le minori, come San Nicolò (con quel piccolo, promettente frammento da barbe giottesche) ebbene il sospetto che Padova sia stata sottovalutata co�me centro pittorico rilevantissimo in effetti ti sorge. E se ancora suona come boutade il paradosso di Sgar�bi che sostiene Altichiero «esser molto meglio di Giotto», certo è pur vero che se non avesse la concor�renza sleale degli Scrovegni, i suoi incantati oratori, basterebbero a render Padova una meta imprescin�dibile del cammino della pittura italiana. NON UNA MOSTRA SUL GRANDE RINNOVATORE DELLA PITTURA MA UN ITINERARIO ALLA SCOPERTA DEI TESORI DI UNA CITTA' CHE E' STATA LA VERA CAPITALE DEL GOTICO IN ITALIA LA MOSTRA DELLA SETTIMANA Marco Vallora Giotto e il suo Tempo. Padova. Musei Civici agli Eremitani. Aperto tutti i giorni dalle 9 alle 19. Chiuso il lunedì. Fino al 29 aprile Gli «Arcangeli» del Guariento, dalle collezioni del Musei Civici di Padova