Fuoco alle sinagoghe così parlò Lutero di Elena Loewenthal

Fuoco alle sinagoghe cos�parlò Lutero Alle radici del moderno antisemitismo: l'invettiva del Riformatore Fuoco alle sinagoghe cos�parlò Lutero Elena Loewenthal PAROLA reduce di una sto�ria che è stata dettata dal suo contrario, «tolleranza» è tutto sommato un concetto equivoco che invita non tanto al rispetto di chi sta dall'altra par�te, piuttosto a un astratto cordo�ne sanitario posto per mantene�re le distanze. In fondo anche una buona parte di quella trava�gliata coesistenza fra ebrei e cristianità nell'Europa degli ulti�mi duemila anni potrebbe legger�si nello spettro di una «tolleran�za», acida e stentata finché si vuole, ma pur sempre tale. .Non è una provocazione: gli ebrei sono stati «tollerati» dal resto del mondo che, per secoli, e generazioni, non ne ha propu�gnato l'eliminazione dalla faccia della terra ma ne ha stabilito i confini dell'identità. Per secoli e generazioni, gli ebrei hanno do�vuto riflettersi contro uno spec�chio che mandava a loro di ritomo immagini varie e multi�formi, in cui non si riconosceva�no affatto. L'ebreo è stato il reperto ar�cheologico a vista dell'epoca e del mondo in cui era vissuto Gesù, è stato il popolo deicida la cui ineffabile colpa ricadeva su figli e discendenti. È stato taccia�to di empietà ma anche di un cocciuto attaccamento alla pro�pria fede, assimilato a un perver�so Satana ma anche beffato per la sua vile codardia, accusato di essere idolatra ed eretico verso la propria tradizione ma anche ritenuto inutilmente legato a una fede formale fatta di divieti insulsi. Meschino sognatore non�ché povero illuso in attesa di un Messia che la sua cecità gli impedisce di vedere già sceso in terra, il popolo d'Israele è a tratti persino l'incarnazione della più molesta carnalità: «come scrisse un dotto biblista cattolico, gli ebrei erano da commiserare per�ché avevano come un velo sugli occhi che consentiva loro di vedere solo le cose corporee». Cos�spiega Adriano Prosperi nella lucida e illuminante prefa�zione a uno scomodo ma certo non sconcertante scritto di Mar�tin Lutero intitolato Degii ebrei e delle loro menzogne (Einaudi, E 18.000). Questa nuova traduzio�ne italiana è stata condotta sul testo tedesco pubblicato per la prima volta a Wittenberg nel 1543, e preparata con cura da Adelisa Malena; essa fa seguito a una recente versione del testo latino uscita per i tipi dell'Asefi, per mano di Attilio Agnoletto. Il saggio di Prosperi una settanti�na di pagina dotate di un equili�brio esemplare che non cede né alla condanna senza appello né a revisionismi gravidi di secondi fini (il che, in momenti come questi, è cosa più rara e preziosa che mai) si pone davvero come un contraltare ai toni virulenti, infiammati del Riformatore. La sua invettiva contro gli ebrei si articola in diversi punti, con un denominatore comune che è la sfida all'impresa missionaria più difficile: la conversione del popolo dalla proverbiale, ingua�ribile cocciutaggine. Gli ebrei erano i perfidi per eccellenza, la cui cecità era cau�sa d'ogni male. Questo «spiega» i toni accesi di Lutero, applicati a un catalogo di argomentazioni anti-ebraiche non certo inventa�to da lui. Nulla di nuovo dichiara infatti il fondatore del Protestan�tesimo sugli e contro gli ebrei, e Prosperi a sua volta ci invita a pensare che questa lunga invetti�va fosse rivolta più ai cristiani che ai figli d'Israele, a quei cristiani che non si rendevano conto di portare in seno difetti e rischi paragonabili a quelli della miserevole stirpe ebraica relega�ta dietro le proprie colpe. «Se è vero che forse noi con gli ebrei faremmo una fatica inutile infatti ho detto prima che io non voglio disputare con loro tutta�via noi vogliamo, per rafforzare la nostra fede e mettere in guar�dia i cristiani deboli contro gli ebrei, e soprattutto per onorare Dio, discutere tra noi della loro assurda follia». Dopo tre «para�grafi» l'opera si conclude con «le misure da adottare», che esordi�sce cosi: «Io voglio dare il mio sincero consiglio. In primo luogo bisogna dare fuoco alle loro sina�goghe o scuole; e ciò che non vuole bruciare deve essere rico�perto di terra e sepolto, in modo che nessuno possa mai più veder�ne un sasso o un resto.» Al processo di Norimberga, apertosi poco dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale con l'odore dei forni crematori anco�ra stagnante nell'aria sopra l'Eu�ropa, tra gli imputati c'era anche Lutero. Quanto il nazismo colse di questo messaggio nell'avviare e poi perpetrare lo sterminio degli ebrei d'Europa? Prosperi ci invita a valutare fatti e parole usando «la fatica del conoscere e del comprendere». Per tutta la cristianità la tradizionale avver�sione per il popolo ebraico è un fardello ancora in gran parte irrisolto. Su ciò che diffuse e propugnò il periodico La Civiltà Cattolica in quegli anni bui-ma anche prima nel nostro paese, c'è ancora molto da dire e da spulciare fra archivi e carta in�giallita. Un blando revisionismo co�mincia, C[uasi per paradosso, an�cora prima che una certa storia sia scritta e spiegata a posterio�ri: forte di un rapporto sentimen�tale con il passato, l'Italia prefe�risce, a volte, restare ancorata ai propri romanticismi piuttosto che mettersi al lavoro sui docu�menti e i lasciti del tempo tra�scorso. Lutero è un anello in una catena interminabile che parte dal disconoscimento della radi�ce, passa per il disprezzo, l'anti�giudaismo, l'odio per l'ebreo e approda a quell'antisemitismo moderno e razzista i cui frutti sono stati quelli che sono stati. Queste pagine di Lutero, fastidio�se, brutali e intrise di astio, puntellano con il loro livore una storia lunga e disgraziatamente coerente. Martin Lutero

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