Dini: non rispondere alle provocazioni di Giovanni Cerruti
Dini: non rispondere alle provocazioni Dini: non rispondere alle provocazioni Un duro discorso nella missione a Beirut e Damasco Giovanni Cerruti inviato a BEIRUT Sarebbe un giorno di festa, il 440 anniversario dell'indipen�denza del Libano. E sarebbe, anche, il giomo dell'inaugura�zione della nuova sede del�l'ambasciata d'Italia. Ma quando Lamberto Dini decide di parlare si fa cupo. «La situazione in Medio Oriente è esplosiva, lo scontro tra Israe�le e palestinesi cruento», dice il ministro degli Esteri in missione tra Libano e Siria. Ha appena incontrato il presi�dente della Repubblica libane�se Laboud e il primo ministro Hariri. «Questi due grandi Paesi spiega oggi hanno un ruolo fondamentale e una grande responsabilità: non de�vono rispondere alle provoca�zioni». Dini non aggiunge al�tro. Se ci sono le provocazioni ci sono pure i provocatori. La diplomazia impone giri di fra�si e cautele, ma il riferimento è a Israele. «I leaders libanesi mi hanno riferito che le viola�zioni, le "penetrazioni indovu�te nello spazio aereo e nava�le", sono di ogni giorno. E il Libano non ha mai ribattuto». Dirti assicura che «le rispo�ste sono state molto positi�ve», ma i timori non manca�no. Ricostruisce quella che chiama «escalation della vio�lenza»: «Le autorità israelia�ne non negano che sia comin�ciata con la visita del signor Sharon alla Spianata delle Moschee di Gerusalemme». Il pericolo, ora, è il contagio. «Sono preoccupato da un epi�sodio isolato che possa dar luogo a ritorsioni con conse�guenze gravi e una situazione fuori da ogni controllo». Ma�gari una nuova «penetrazione indovuta». In mattinata Dini aveva visitato il reparto italia�no dell'Unifil a Nequra, Sud del Libano, tre chilometri dal confine con Israele. «Il ri�schio di un contatto diretto tra forze israeliane da un parte e libanesi e siriane dall'altra rimane». A fine an�no scade il mandato Unifil, il Libano ha chiesto all'Italia di rimanere: «Una delle missio�ni di maggior successo», dice Dini. Sessantuno militari, 6 elicotteri «e l'apprezzamento dei libanesi». Da Israele e dai Territori palestinesi continuano ad arri�vare pessime notizie. «Io sono qui per rinnovare il mio forte appello alla moderazione», in�siste Dini. E a chi fa notare che le piazze del Medio Orien�te, anche in Libano, anche in Siria, potrebbero cedere alle tensioni o alle provocazioni, il ministro degli Esteri risponde che «è in questi momenti che si misurano le leadership». Anche a Beirut, come oggi a Damasco, Dini parlerà di una possibile conferenza di pace tra Israele e palestinesi con sede a Roma. «L'Italia non l'ha mai proposta, ma si è limitata a rispondere ad una richiesta dei palestinesi e di altri Paesi. Alla Conferenza di Marsiglia, abbiamo verificato che possono crearsi le condi�zioni affinché l'Europa svolga un ruolo preciso e deciso. La disponibilità di Roma rimane, ma non abbiamo ancora avu�to una risposta da Israele...». Anche qui la diplomazia impo�ne di non aggiungere altro. Dal Libano gli israeliani se ne sono andati il 25 maggio, dopo 22 anni di occupazione. E in Libano rimangono campi di profughi palestinesi, come quello di Rasbidieh, a 30 chilo�metri dal confine. «Qui siamo in 23 mila e in tutto il Paese 400 mila», dice Sultan Abu Ainin, 49 anni, il più autorevple rappresentante di Arafat in Libano. Condannato a morte dalla magistratura libanese per acquisto di armi, subito nominato generale da Arafat e da quel momento chiuso nel campo di Rasbidieh, Abu Ai�nin spiega che «nessuno può pensare di trovare una solu�zione se prima non viene risolto il problema dei profu�ghi. Il 67 per cento dei palesti�nesi sono rifugiati e hanno diritto a tornare». Lo dice mentre Dini si incontra con il premier Hariri. Lo dice per far sapere che anche nel campo di Rasbidieh «siamo pronti a so�stenere l'Intifada con la propa�ganda e altro». Altro cosa? «Altro...». Pronti al peggio. Il ministro degli Esteri Lamberto Dini indossa II corpetto salvagente prima di partire In eliconero per la base Unifil di Naquora, a Sud del Libano
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