LA VOCE DELL'EREMITA di Leonardo Zega

LA VOCE DELL'EREMITA CAMALDOU, MORTO PADRE CALATI LA VOCE DELL'EREMITA Leonardo Zega PADRE Benedetto Calati, morto ieri a Catnaldoli a 86 anni, lascia un'eredità spirituale di rara beUezza e tanti orfani. Sono quelli che si arrampicavano lassù fino ai 1100 metri dell'Eremo per incontrarlo, confidargli i segreti dell'anima, ricevere il suo abbraccio. La gran barba bianca s'era fatta rada con gli anni, ma gli occhi erano ancora vivacissimi. La settimana scorsa confidava a uno dei suoi più assidui frequentatori: «Nonostante tutto io vivo, spero e amo ancora». Camaldoli è una calamita, ma Padre Benedetto ne aveva resa irresistibile l'attrazione. Lassù, a Camaldoli, da dove l'Arno e il Tèvere muovono verso il basso, miUe anni fa San Romualdo aveva raccolto i primi discepoli nello spirito di San Benedetto. I Camaldolesi sono l'unico ordine che mescola vita eremitica, cenobitica e apertura ai mondo. Originario di Pulsano, nel tarantino, padre Calati vi era giunto a 16 anni trovandovi accoglienza, gusto per lo studio, amore alla natura e agli uomini del suo tempo: la sua vocazione. Negli anni che precedettero immediatamente la Seconda Guerra Mondiale saliro�no lassù, guidati da monsignor Montini, gli universitari della Fuci e i laureati dell'Azione cattolica. Furono incontri decisivi per padre Benedetto e nacquero amicizie: Giuseppe Dossetti, Giorgio La Pira, Giuseppe Lassachi; e poi MarceUa e Pino Grisenti, Angelina e Giuseppe Alberigo, Paolo Prodi. Un po' più in ombra, ma con assiduità, cercava i suoi consigli anche Mario MeUoni, il mitico Fortebraccio dell'Unità. E toccò proprio a Padre Calati, nel cuore del ventesimo secolo, il compito di ridare vita alla tradizione camaldolese rinnovandone con audacia forme e regole di vita e soprattutto lo spirito. Fu consigliere ed «esperto» deìl'Atwentre d'Italia di Raniero Lavalle, impegnato a far capire ai laici e ai preti che stavano fuori (e anche ai vescovi e ai padri che stavano dentro) il Vaticano II come «segno profetico» del nostro tempo. Padre Calati attingeva dalla Bibbia, dai padri (soprattutto da Gregorio Magno di cui curò la pubblicazione scientifica degli scritti tuttora in corso) dalla liturgia le parole che non passano, mentre con occhio attento alla storia, agli avvenimenti del mondo e della Chiesa, insegnava dolcemente a quanti lo avvicinavano la sapienza del cuore di cui era ricco e prodigo. Critico del potere e insofferente delle incrostazioni giuridiche, libero nei giudizi come si addice a un monaco, non cercò mai la gratificazione delle gerarchie e provò spesso il morso dell'autorità, alla quale fu per altro sempre docilissimo. Amatissimo da David M. Turoldo che per i suoi 70 anni gli dedicò una poesia che ne scolpisce l'anima: «Benedetto, monaco dal volto d'argento, I fratello mio, tempi malvagi I ci sono toccati in sorte: stagioni I che non accennano a mutare. I ...E notte, fratello? Una /grande notte incombe sulla Chiesa. I II Concilio, uno scialo di speranze. I Sempre più rara, dovunque, la Parola; I mentre di inutili parole, a ondate, rimbomba il mondo.»

Luoghi citati: Italia, Pulsano