In un labirinto il futuro della Novara di Zeni

In un labirinto il futuro della Novara LA BANCAAI. BÌVIO DOPO LE «SVISTE» DI BILANCIO E LE ISPEZIONI DI BANKITALIA ISTITUTO VUOL TRASFORMARSI DAAPE IN GAZZELLA In un labirinto il futuro della Novara Dimissioni, nozze e tagli per la «nuova» Popolare analisi Armando Zeni 0: AZZERARE. Tagliare. Rin�novare. Di colpo, dopo l'ennesimo shock, dopo la figuraccia dei 111 miliadi di minusvalenze non contabiliz�zate nel bilancio '99 scoperte solo dopo sei mesi, dopo lo schiaffo (e non solo all'immagi�ne) dell'arrivo in banca degli ispettori di via Nazionale, quel pachiderma della Popolare abi�tuato a seguire l'antico adagio "Chi va piano, va sano e va lontano" sembra essersi sve�gliato di colpo. «Bisogna fare in fretta», ripetono, quasi a farsi forza l'un l'altro, gli uomini del vertice, il presidente Siro Bom�bardini, l'amministratore dele�gato Piero Montani, l'uomo nuovo, il quinto 0 sesto ammi�nistratore negli ultimi sei anni, l'uomo che viene dal Credito Romagnolo e che sta tentando di rivoltare come un guanto la Popolare con iniezioni di mana�ger di fiducia nei posti strategi�ci (area finanza, rete commer�ciale, informatizzazione), tagli di costi, prepensionamenti (si parla di almeno 600 su un totale di 6800 dipendenti in arrivo col nuovo piano indu�striale), interventi strutturali per fare, si dice, «una Popolare sempre ape operaia (l'ape è il simbolo della banca, ndr) ma anche un po' più gazzella». Il problema è che l'impresa, apparentemente chiara, non è affatto facile. Un po' perchè «smuovere le montagne», come dice in privato il presidente, è sempre un'impresa ardua. E poi perchè attorno alla Popola�re ài Novara, IBOmila soci, la banca cooperativa più grande d'Europa, maggior «impresa» (cos�la chiama, impresa, il sindaco diesse Gianni Correnti) della città, 1500 dipendenti della banca su centomila abi�tanti, uno ogni 70, quasi alla pari con l'altra «impresa», la De Agostini editore, essendosi ormai eclissata la stella della Pavesi, attorno alla Popolare gli interessi sono tanti: politici («Anche se gli anni del control�lo cattolico, anzi de, sulla ban�ca, gli anni di Lino Venini, di Roberto Di Tieri per intenderci confessano al sindacato ban�cari della Cgil sono ormai passati: ora il quadro politico è in evoluzione, Novara è una città sempre più terziaria e nessuno sa ancora bene per chi vota il terziario»), interessi am�ministrativi perchè a Novara tutto è Popolare: dalla riscos�sione dei tributi alla sponsoriz�zazione del teatro Coccia, im�prenditoriali perchè la banca dei fidi e dei prestiti per anto�nomasia (nonostante la presen�za in provincia di tutte le banche, grandi e piccole, com�prese le più agguerrite) resta lei. E poi c'è il nodo del control�lo, apparentemente risolto dal fatto che una popolare è una popolare, cioè una cooperativa di soci dove ognuno conta per uno, in soldoni una public company sui generis dove i manager, almeno finora, han�no avuto un'autonomia che altrove se la scordano. Ma il problema è proprio qui: nel meccanismo di cooptazione al vertice della classe dirigente che, come dire, almeno in pas�sato ha impedito un vero ricam�bio. «Si cooptavano sempre tra di loro punzecchia il sindaco Correnti e, si sa, le nozze tra consanguinei non danno vita a upa razza forte». Colpa, va detto, anche dell'eccesso di carisma di alcuni grandi vec�chi che sono passati da Palazzo Bellini, primo tra tutti l'ultranovantenne Lino Venini, padre e padrone per decenni, capace di portare la banca a risultati mai raggiunti, l'uomo che in�ventò lo slogan per i suoi azionisti («Ricordatevi che il nostro titolo vale oro: è un lingottino con cedola») ma che, volente o nolente, imped�trop�po a lungo una successione adeguata. Sarà un caso, ma proprio sull'urgenza di un ricambio di uomini, è arrivata insieme all'ispezione sui conti la ino�rai suasion della Banca d'Ita�lia, qualcosa di più insomma di un semplice invito: sfoltire il numero (eccessivo) di consiglie�ri, favorire il rinnovamento. Facile a dirsi, ma apriti cie�lo! Perchè a nessuno piace sentirsi dire: prego si accomo�di e poi per far posto a chi? Così,riecco le polemiche, nem�meno troppo sussurrate, dopo l'addio del vicepresidente Giu�lio Cesare Allegra, quarantun anni di Popolare alle spalle, e di altri due consiglieri (mentre sono attese altre dimissioni): non che abbiano pagato loro la svista dei 111 miliardi di minu�svalenze (l'ha negato e rinega�to il presidente Lombardini che ha invece promosso una azione di responsabilità nei confronti dell'ex amministrato�re Alberto Costantini e contro la Price Waterhouse) ma certo lasciare la banca quando sulle pagine dei giornali fa notizia il nuovo buco e la presenza in via Negri degli ispettori di Fazio che da queste parti non si vedevano dai tempi, era il '93 in piena Mani pulite, dello scandalo Sasea di Florio Fiori�ni, quello nel quale la Popolare ci perse la faccia e 216 miliar�di, beh, capirete che non è facile da digerire. Il problema è che adesso, a Novara, si sussurra di «nuovi arrivi eccellenti», in sostituzio�ne di chi se ne è andato e di chi è dato per partente («Perchè lo sfoltimento non è ancora fini�to», dice chi sa), consiglieri di spessore («Chissà se li sceglierà Mediobanca che è consulente della Popolare?», si chiede un ex che pretende l'anonimato, pena una querela miliardaria) e nessuno, a parte il presidente e l'amministratore delegato si sente sicuro. Tranquilli, a dirla tutta, non si sentono nemmeno i sindaca�ti che da un po' di tempo, anche se non hanno mai avuto in banca il potere (fortissimo) che hanno i colleghi della Popo�lare di Milano, hanno visto sfumare quel rapporto di paca�ta concertazione che esisteva da sempre: adesso, confessano, c'è maggior conflittualità, l'iso�la felice, se mai c'è stata, non c'è più. E chissà cosa potrebbe succedere tra un paio di setti�mane quando si sapranno i contenuti del nuovo piano in�dustriale di Montani che do�vrebbe chiudere in un quadro d'insieme quei «provvedimenti strutturali» di cui la banca ha un gran bisogno per rimettere a posto i conti ed è già un buon inizio che nei primi nove mesi dell'anni l'utile lordo consoli�dato sia triplicato: 255 miliar�di contro i 98 precedenti. Cos�già si prevede che nel piano, insieme alla cartolarizzazione delle sofferenze (qualcosa co�me 1300 miliardi) dell'ex Ince, l'ex credito edilizio, insieme al varo di una società ad hoc per lo spin-off dell'ingente patri�monio immobiliare oggi sotto�stimato, si dovrebbe dar vita a un fondo di solidarietà per favorire la fuoriuscita di quel personale cui mancano cinque anni per andare in pensione, a conti fatti circa un Ì00Zo di tutti i dipendenti. Il problema è che, di colpo, tutti i nodi sembrano essere venuti al pettine. C'era da aspettarselo, visto che nemme�no tanto tempo fa, proprio per favorire una soluzione radica�le, c'era chi aveva spinto con forza sulle alleanze. L'idea era più o meno questa: visto che da soli, chiusi nel nostro locali�smo ormai anacronistico, non ce la facciamo a tener il passo coi tempi, impediti forse anche da un sistema di connivenze che in passato ha prodotto più danni che vantaggi (i prestiti facili a Fiorini ma anche a Gianfranco Parretti, le amici�zie con Orazio Bagnasco, i finanziamenti ai vari Ciarrapico, D'Adamo, Della Valle), dia�moci da fare a trovare un alleato 'dite che ci trascini verso il futuro. Insomma, diceva una scuola di pensiero che trovava alcuni sostenitori tra gli imprenditori e in particolare nell'azienda forte di Novara, la De Agostini: gettiamo il cuore oltre l'ostaco�lo e sposiamoci a ogni costo, ci farà solo del bene. Eh no, ribattevano i sostenitori del gradualismo: un passo per vol�ta, dobbiaraotrovare il fidanza�to giusto, non uno che voglia solo i nostri beni per portarceli via e comandare lui. La storia del no alla Popolare Commer�cio Industria, la banca milane�se a favore della quale si era sprecato pubblicamente il pre�sidente della De Agostini, Mar�co Drago, fratello di Roberto, consigliere della Commercio In�dustria, è nota: dopo tanto tira e molla, il consiglio si ò diviso e ha detto no, forse per impedire è una spiegazione che circola che nel nuovo agglomerato si saldassero i poteri forti novare�si e che la De Agostini e i suoi azionisti di maggioranza, i Bo�rali, contassero troppo. Rispo�sta immediata: «Il problema è che avevano paura di perdere i loro privilegi, perchè in una public company il manage�ment fa il bello e brutto tempo, in una banca con azionisti che ti chiedono conto della gestio�ne è tutt'altra musica». Fatto sta che, adesso, aspet�tando gli «interventi struttura�li» che, fanno capire a Palazzo Bellini, «serviranno comunque ad andare a un confronto con il possibile partner con maggior appeal», sul tema alleanze tor�nano in ballo nuove e antiche fiamme. Si riparla, per esem�pio della Popolare di Milano, caldeggiata (si disse) niente meno che dall'allora presiden�te del consiglio Massimo d'Alema, ma è poco più di una voce. Si riparla della Popolare Vicen�tina, uno dei primi no, soprat�tutto da quando ha detto di volersi sbarazzare della sua quota in Bnl. Si parla di interes�se di tedeschi e di francesi, ma soprattutto di Unicredit deciso a tener testa al rafforzamento del Sanpaolo-Imi e d'Intesa: visti gli ottimi rapporti sboccia�ti tra Unicredit e Mediobanca (consulente, si diceva, della Popolare) e vista la provenien�za di Montani (dal Rolo, grup�po Unicredit), le voci si rincor�rono: «Non sempre due più due fa quattro si sente dire a volte si». Lombardini: «Non vale più il motto chi va piano va sano e va lontano, ora bisogna fare in frétta» Troppi nodi al pettine tutti insieme e la banca per cambiare cerca un «cavaliere bianco» In consiglio c'è un grande via vai e si fanno nomi di possibili partner Ci sono le Popolari ma tra i tanti spunta Unicredit Siro Lombardini presidente della Popolare e (al suo fianco) Giulio Cesare Allegra

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