Addio al gusto blasfemo dello scandalo

Addio al gusto blasfemo dello scandalo La Corte Costituzionale ha cancellato dal codice penale il reato di offesa alla religione Addio al gusto blasfemo dello scandalo ROMA. Scompare dal codice penale la norma che sinora puniva con la reclusione di un anno chi si rendeva responsabile di vilipendio della religione cattolica. Con la sentenza 508, depositata ieri, la Consulta ha infatti dichiarato illegittimo l'articolo 402 del codice penale, per contrasto con i principi di uguaglianza e di libertà di religione. Il caso era stato sollevata dalla Corte di cassazione, secondo cui l'articolo 402, accordando al solo cattolicesimo (definito dalla norma «religione dello Stato») una «tutela privilegiata», finiva per violare gli articoli 3 e 8 della Costituzione e cioè l'uguaglianza di tutti i cittadini senza distinzione di religione e l'uguale libertà di tutte le confessioni davanti alla legge. Identiche le conclusioni della Consulta: in forza dei due principi costituzionali «l'atteggiamento dello Stato non può che essere di equidistanza e imparzia�lità» nei confronti di tutte le confessioni religiose, «senza che assumano rilevanza alcuna il dato quantitivo dell'adesione più o meno diffusa a questa o a quella confessione religiosa e la maggiore o minore ampiezza delle reazioni sociali che possono seguire alla violazione dei diritti di una o dell'altra di esse». [r. i.l Filippo Ceccarell! E» alla fine, beh, alla fine 1 bisogna pure riconoscere i che il vilipendio alla rehgione più che un reato, o uno strumento oppressivo della liber�tà d'espressione, era diventato soprattutto e tristemente un accorgimento auto-pubblicita�rio, o una furbata per finire sui giornali. Insomma, nel giorno in cui sembra sparire per sempre una norma fortemente simbolica sot�to cui dovettero piegare la testa e le ginocchia grandi artisti, è naturale ricordare i grandi casi che fecero epoca: la condanna di Pier Paolo Pasolini per La ricot�ta, episodio di un film (Ro.Go. Pa.g.) in cui un affamatissimo sottoproletario romano, controfi�gura di Cristo, muore effettiva�mente sulla croce per un'indige�stione appunto di ricotta. Film condannato, tra mille sofferenze dell'autore e arroventatissime discussioni. Come pure, l'odierno «svili�pendio», quasi invita a misurare i cambiamenti della pubblica morale e la vertiginosa, a tratti anche ridicola relatività del co�mune sentire. Per cui nel 1955 con la religione ebbe i suoi problemi addirittura Diego Fab�bri con il suo «Processo a Gesù», mentre negli ultimi anni a scorrere le benemerite banche dati si scopre che sono per lo più dei comici o-dei satirici quelli che hanno dovuto fronteg�giare quel reato (e spesso facen�dola franca). Per cui il Male, o'ppùré Arbore e il suo Pap'oc�chio, o un esuberante Benigni al festival dell'Unità 1984; senza contare là bestemmia ili diretta di Mastelloni, qualche vignetta di Vauro, e Carmelo1 Bene a Macao (peraltro subito riequilibrato fantasmagorie della Rai dall'intervento di un vescovo). Nulla di spaventoso, dopo tut�to, né di irrimediabilmente drammatico. Un vincolo giuridi�co, certo, e nemmeno troppo giustificabile anche ai tempi in cui la De e prima ancora la Chiesa potevano concedersi pro�tezioni assolute e in pratica il monopolio a trattare le cose della religione. Altrimenti era quasi sempre vilipendio. Ma adesso? Da diversi anni, in fondo, gli ultimi genuini Habitué di quel reato erano rimasti i satanisti; oppure, istituzionalmente, gli animatori di esperienze tutto sommato marginali come il festi�val ateo, eretico e anticlericale di Fano, con tanto di «sbattezzo» rituale. Per il resto le occasioni del vilipendio apparivano, più che scadenti, interessate e co�munque inesorabilmente carat�terizzate dai segni dell'immagi�ne e del consumo. E cioè c'era lo stilista (Alex Palombo) che faceva sfilare una madonna seminuda, o meglio coperta solo dal ritratto di Padre Pio; oppure il pubblicitario ge�niale ma un po' scavezzacollo (Klaus Davi) che buttava l�un Gesù non solo gay, ma pure amante di Giuda. E via così, a colpi di scioccante, ma pure un po' sciocca blasfemia, fino a ieri, fino al video di Marilyn Manson con una scimmia che penzola dalla croce... E quindi bastava schiaffare qualcosa di sacrilego é aspettare che un qualche solerte moraliz�zatore professionale si attivasse facendo la denuncia, o l'esposto, o la dichiarazione indignata con l'opportuna evocazione del vili�pendio della religione, che oltre�tutto prima del rinnovato Con�cordato era pure «di Stato». Del resto, associazioni per il buonco�stume, o di genitori preoccupati, o anche personaggi come l'assi�duo viceresponsabile della Con�sulta per l'informazione di An, Michele Bonatesta, in Italia non sono mai mancati, né mancano. Pure per questo e indipen�dentemente dagli esiti giudiziari che il più delle volte hanno portato ad archiviare tutto la supposta violazione ricorre co�munque nella cronaca italiana in modo cos�vario e petulante, da «Je vous salue Marie» di Godard fino a «Totò che visse due volte» di Ciprì-Maresco, pas�sando per (.(L'ultima tentazione di Cristo» di Martin Scorsese. E se non erano film, fino a ieri potevano rientrare nel vilipen�dio anche un paio di foto di Oliviero Toscani, la canzone «A Cristo» di Antonello Venditti, il libro di Giordano Bruno Guerri su S. Maria Coretti, una tela di Herman Nitsch con paramenti imbrattati di sangue, sfoghi di ascoltatori di Radio radicale e una pubblicità con Gesù che all'ultima cena solleva un calice di'pompelmo. Come se la legge, e ancor più la religione, dovessero stare davvero appresso a tutto quanto, anche di stupido, produ�ce l'animo umano. Stilisti, fotografi e pubblicitari hanno portato la fede in passerella ma gli ultimi «praticanti convinti» del vilipendio erano le sette sataniche Con il tempo era diventato una «scorciatoia» per farsi notare dai mass-media Ma nel '62 Pasolini venne condannato per la controfigura di Cristo in croce nel film «La ricotta» ■. . Una sfilata di moda al Gay Prlde di Roma A sinistra, Pier Paolo Pasolini sul set della «Ricotta». Sotto, da sinistra, scene da «L'Ultima tentazione di Cristo» di Scorsese e «Totò che visse due volte» di Cipri e Marasco

Luoghi citati: Fano, Italia, Macao, Roma