Aboliamo il Medioevo: è un'invenzione moderna

Aboliamo il Medioevo: è un'invenzione moderna Aboliamo il Medioevo: è un'invenzione moderna STORICO di ran�go, e uno dei massimi studio�si della civiltà merovingia e carolin�gia, Karl Ferdinand Werner (ha insegnato neUe università di Heidelberg e Mannheim), appare da noi, a breve distan�za dall'edizione francese, con un testo destinato probabilmente a insidiare l'ottica di non meno illu�stri coUeghi: Nascita della nobil�tà. Vero è che il sottotitolo «Lo sviluppo delle élite politiche in Europa» allarga e contestualizza le finalità della ricerca durata circa mezzo secolo, ma ugualmen�te K. F. Werner si preoccupa di anticipare e sterilizzare i mugugni della platea: «Il vocabolo "nobiltà" provoca un senso di rifiuto in qualcuno, di nostalgia in qualche altro e di entrambe le cose in altri ancora; eppure, ima buona volta, non sarà arrivato il momento di capire l'evoluzione di un fenome�no che ha dominato per più di un millennio la storia sociale e pohti�ca del vecchio continente?». E a più riprese picchia sul perdurante razzismo storico, sul�la distorta figura del «nobile», prevaricatore e spesso cultural�mente rozzo, ozioso e lezioso, arroccato nel suo feudo; suh'insul�sa triade: Antichità, Medioevo, Età moderna, sulla necessità di rettificare i confini, di risalire alla nobilitas romana, al significato RECEN.'Gius IONE ppe teocratico delprinceps, alla presunta fine dell'Impero Romano nel 476. In proposito, dopo aver citato una fonte autorevole, Alexan�der Demandt, e i due�centodieci fattori rite�nuti in grado di spiegare il declino di Roma (passando per l'apatia, l'edonismo, la prostituzione, l'in�flazione, lo sconquasso provocato da un meteorite gigante e il thril�ler ipotizzato da André Piganiol secondo cui «la civiltà antica non è morta di morte naturale: è stata assassinata»), ironizza sull'epilo�go in sé e sulla data funesta che lo ha reso universale: «Ma questo spettacolare evento ebbe luogo davvero?... Accecati dall'idea del�la fine di Roma, che veniva confu�sa con la fine del paganesimo, si è negato al mondo europeo dei secoh V-Xlo statuto di erede deUe tradizioni latine e bibliche»; e si è trascurata l'importanza delle tito�lature femminili e il ruolo della donna ducissa o comitissa a partire da Hermelinda, duchessa di Spoleto, e da Scaumberga, du�chessa di Benevento. E dove metteremo gli anacroni�smi relativi al fascino del cavalie�re fiancheggiato dall'angelica da�ma, con le sue armature scintihanti, i coloratissimi stemmi, i tomei, le solenni assemblee? Immagini tipiche del Medioevo? Niente af�fatto, dice Wemer. Esse apparten�gono in gran parte all'Età moder�na: il cavaliere per ecceUenza è quello dipinto da Diirer, le armatu�re da parata risalgono ai secoli XVI-XVIII; furono riservate ai principi e non servirono per la guerra. Né risparmia i filologi che segui�tano a travisare la collocazione di taluni generi letterari. Ad esem�pio, le septem artes, indiscutibil�mente antiche, diventano «medievah»; oppure i panegirici, i carmi�na triumphalia presentati come «esclusivi» dell'Antichità, che so�pravvivono allegramente alla cor�te dei sovrani «barbarici». Non c'è dubbio: Wemer è per l'abolizione radicale del medium aevum inventato nel Seicento dal�l'olandese Georg Hom e dal tede�sco Christoph Keller; tuttavia non può nascondersi le difficoltà del percorso. Sebbene largamente no�ti e condivisi sia i limiti cronologi�ci, sia i contenuti dell'epoca inda�gata, lo stereotipo sembra ben più forte di ogni scandaglio critico. Finanche Jacques Le Goff, quan�do si apprestava a ^ pubblicare Pour un autre Moyen Àge, scrive a Wemer, quasi scusandosi: «Salvo solo la parola». Il colpo più duro viene comun�que infetto agli umanisti, e in particolare ai nostri splendidi umanisti accusati di ignoranza (per quel che riguarda il valore complessivo dei secoli VI-XII) e di sciovinismo, là dove leggiamo: «Affinché tutto il merito della rinascita restasse all'Italia, la fitti�zia visione degh umanisti preten�deva che Roma fosse stata comple�tamente distrutta dai barbari, in�sieme con la sua civiltà, le sue istituzioni, la sua nobiltà». La sfida non potrebbe essere più aperta. E forse sollecita gli addetti a fomirci qualche lume sull'umanesimo incriminato. Lo storico Werner ricostruisce «La nascita della nobiltà» risalendo all'antichità romana e spingendosi fino al secolo XVIII, contesta le tradizionali cronologie, accusa gli umanisti «ignoranti e sciovinisti» Il cavaliere di Dùrer, celebre emblema medievale, secondo Werner è In realtà un significativo esempio di anacronismo dell'Età moderna Karl Ferdinand Werner Nascita della nobiltà trad. di Stefania Pico e Sabrina Santamato, Einaudi, pp. 575, L. 65.000 SAGGIO RECENSIONE .'Giuseppe

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