MEDIOEVO non c'è santo che tenga di Paolo Mieli

MEDIOEVO non c'è santo che tenga Religione, potere, truffe: come la Chiesa ha affrontato il problema dei miracoli e del soprannaturale MEDIOEVO non c'è santo che tenga Paolo Mieli INO a un'ottan�tina di anni fa, la storiografia sul Medioevo si era presso�ché disinteres�sata ai miraco�li. Era preval�so un razionali�smo scettico che, sulla scia di Voltaire, tende�va a trascurare i fenomeni so�prannaturali, oppure ad irrider�li e a considerarli frutto di superstizione se non di impostu�ra. Gli storici positivisti guarda�vano con diffidenza alle innume�revoli raccolte di miracoli, visio�ni, profezie e sillogi di racconti meravigliosi di cui sono pieni i manoscritti medievali, lascian�do quel campo di indagine agli specialisti d�letteratura e di folklore. La svolta si ebbe nel 1924 con la pubblicazione in Francia de I re taumaturghi di Marc Bloch, un libro fondamen�tale che analizzava la credenza nella virtù miracolosa dell'impo�sizione delle mani del re in Francia e in Inghilterra nei pri�mi secoli del secondo millennio. Bloch, da vero storico, non si poneva il problema di stabilire se i miracoli del Medioevo fosse�ro obiettivamente veri o falsi, ma, partendo dalla credenza nel miracolo come un dato costi�tutivo della mentalità del tempo, cerca�va d�metterne in luce le impli�cazioni nel campo religio�so e politico. Ne venne fuo�ri un capolavo�ro. Che apr�la strada alla scuola delle Annales e ad una grande quantità di lavori che, soprattut�to nella seconda metà del Nove�cento, hanno rivoluzionato lo studio del Medioevo. Molti sono gli storici che hanno preso parte a questa rivo�luzione storiografica. Ma due principali studiosi francesi che si sono distinti in questa impre�sa sono Jacques Le Goff di cui Laterza ha pubblicato tra gli altri JZ meraviglioso e il quotidia�no nell'Occidente medievale e, da poche settimane, San France�sco d'Assisi (due libri importan�tissimi per comprendere ciò di cui stiamo parlando) e André Vauchez. Di Vauchez il Mulino ha dato alle stampe La santità nel Medioevo e si accinge ades�so a mandare in libreria Santi, profeti e visionari: il sopranna�turale nel Medioevo, un testo di grande rigore, scritto magnifica�mente come del resto quelli di Le Goff che è destinato a lasciare un'impronta in questo campo. Tema del libro è la posizione assunta dall'istituzio�ne ecclesiastica di fronte ai feno�meni soprannaturali. Fenomeni che sono «fonti di potere e non possono, in quanto tali, lasciare indifferenti le autorità tanto civili che ecclesiastiche, le quali hanno sempre cercato di inqua�drarli e, se possibile, di trame vantaggio». Lo dimostrano i ten�tativi compiuti dai chierici per «ridurre le fate al rango di benefiche e innocenti "madrine" degli umani»; lo dimostra «l'im�portanza che la Chiesa di Roma attribuisce a certe immagini sa�cre, come quella della Veronica, allo scopo di accrescere il suo prestigio e la sua autorità». Ma, in relazione a ciò, i problemi più ardui li si incontra in materia di miracoli. Già a Bisanzio, tra il V e il IX secolo, la Chiesa greca aveva tentato più volte di trasfe�rire il potere taumaturgico eser�citato in vita dai «servi di Dio» sugli oggetti materiali che, dopo la loro morte, alimentavano il culto e la devozione: «per l'istituzione, infatti, le reliquie e le effigi dei santi erano molto più facili da controllare che non l'ascendente esercitato da ima personalità inafferrabile o fervi�da». Dopo il secondo concilio di Nicea (787), che aveva assegna�to ai miracoli compiuti dalle reliquie e dalle icone uno statu�to non lontano dall'articolo di fede, nell'843 il trionfo dell'orto�dossia «insediò il miracoloso nel cuore stesso della città, ma lo circoscrisse subordinandolo al controllo della gerarchia eccle�siastica». Qualcosa del genere avvenne poco dopo in Occidente. Tra l'XI e l'inizio del XII secolo la Chiesa romana aveva cominciato con l'esaltare la figura di certi santi, monaci o vescovi ponendo l'ac�cento sui miracoli operati in vita «nel quadro dell'azione ri�formatrice, allo scopo di ribadi�re la giustezza della lotta da loro condotta contro i chierici simo�niaci e i laici corrotti o prevari�catori». Ma, verso la seconda metà del XII secolo, il successo di massa ottenuto da certi predi�catori in odore di contestazione o apertamente dissidenti, ai qua�li si attribuivano numerosi pro�digi, rivelò «quanto fosse ri�schioso lasciare il soprannatura�le a disposizione del popolo». Ad affrontare questo problema provvide Lotario dei Conti di Segni che divenne papa nel gen�naio del 1198 con U nome di Innocenzo III. Fu il pontefice che, per portare a compimento l'opera di Gregorio VII ( 1073-1085), con il quarto conci�lio Lateranense trasformò il pa�pato in una potenza in grado di guidare all'insegna dell'ordine la cristianità occidentale. Fece una pobtica di apertura agli ordini mendicanti, francescani e domenicani, che accettavano di assoggettarsi alla Chiesa e, ad un tempo, band�nel 1208 la crociata contro gb albigesi desti�nata a passare alla storia per la crudeltà con cui vennero condot�te le operazioni militari contro gli eretici. Innocenzo III riusc�ad impor�re il principio che, ben più dei miracoli, erano le virtù a dare la misura del grado di perfezione raggiunto da un essere umano. E nella nuova procedura di cano�nizzazione che si stava istituen�do prese in considerazione solo i miracoli accertati dopo la morte del «santo». Da que momento in poi, «la santità cristiana si definirà come il risultato di un giudizio espresso a posteriori dalla Chiesa di Roma sulla vita e sull'opera di un credente defun�to, e non come il ricordo lasciato da un essere d'eccezione la cui esistenza terrena sia stata se�gnata da miracoli o da prodigi». Cos�facendo, Innocenzo III e i suoi successori tendevano a riallacciarsi alla tradizione del�la Chiesa primitiva dove i santi erano non degli esseri viventi bensì, secondo la felice espres�sione del medievista Peter Brown, dei «morti eccezionali». Un ruolo di primo piano in questo processo di «disincantamento del mondo» avviatosi alla fine del XII secolo lo ebbe San Tommaso d'Aquino, il qua�le, definendo il miracolo come fenomeno «supra naturam», contribu�a delimitare con estre�mo rigore la sfera del sopranna�turale. A partire dall'XI secolo e dalla «riforma gregoriana» ini�zia la lotta della Chiesa per liberarsi dalla tutela imperiale e per svincolarsi dalle strutture temporali che la stavano soffo�cando. Il papato reagisce con durezza contro tutte le forme di sacralizzazione del potere laico e contemporaneamente moltipli�ca le azioni miranti a riportare all'interno della Chiesa istituzio�nale quel prestigio sacrale di cui beneficiavano gb eretici e gli «uomini di Dio». «Imponendo al clero secolare norme di vita ascetica di tipo monastico (casti�tà, povertà personale) e riducen�do i laici al ruolo di semplici esecutori del suo programma di riforme», afferma Vauchez, «la Chiesa romana rompeva sia con le tradizioni dell'Oriente bizanti�no, sia con le tendenze sponta�nee della devozione popolare che, in Occidente, privilegiava gli eremiti e i predicatori itine�ranti del Vangelo». Di qui l'ini�zio a uh controllo del culto dei santi che si traduce in una riappropriazione del presente ma anche della memoria e della storia. Fra il 1170 e il 1234 viene progressivamente istituita la ri�serva pontificia sul' diritto di canonizzazione: ormai solo il papa ha il potere di pronunziar�si in ultima istanza sulla santità di un servo di Dio e di autorizza�re che gli sia reso un culto bturgico. Negli ultimi anni del XII secolo, cominciano ad affer�marsi i processi di canonizzazio�ne: inchieste ordinate da Roma sulla vita, le virtù e i miracoli dei servi di Dio sulla cui santità le Chiese locali hanno chiesto al pontefice di dire una sua parola definitiva. Nel XII secolo quelle inchieste divengono un efficace strumento di selezione nelle ma�ni della Santa Sede. Questo è fondamentale, nell'impresa de�cisiva di dividere il campo degli ordini mendicanti fedeli al pon�tefice da quello dell'eresia. Ed è in questo contesto che si spiega l'estrema rapidità della canoniz�zazione di San Francesco di Assisi che, agli occhi della Chie�sa di Roma, ha il grande merito di aver associato al rischioso zelo apostolico e alla povertà (che avrebbero potuto farne un grande eretico) una perfetta or�todossia dottrinale e un'assolu�ta sottomissione all'istituzione ecclesiale. A questo punto la devozione popolare diventa sempre più sospetta. Trascorrerà qualche secolo e i decreti di Urbano Vili tra il 1625 e il 1634 stabiliranno che la santità di un uomo o di una donna poteva essere ratifi�cata dal papa solo se si accerta�va che essi non erano già stati oggetto di un culto pubblico. Da questo momento il popolo cessa definitivamente di essere creato�re di santi. I processi che avvia�no un moto spontaneo di devo�zione popolare sono guardati dalla Chiesa con grandissimo sospetto. E se ne è avuta l'enne�sima conferma nel Novecento con la complicata vicenda della beatificazione di padre Pio. Vauche;: analizza con grande effica�cia il modo in cui alcuni tra i jrimi pontefici del nuovo milennio procedettero all'epurazio�ne del soprannaturale cristiano «nell'ambito di un vasto proget�to mirante a riprendere il con�trollo sulla santità». Messi di fronte alla contestazione ereti�ca in particolare quella dei catari che opponevano la purez�za alla corruzione del clero cat�tolico i papi Innocenzo III (1198-1216) e Gregorio IX ( 1227-1241 ) tentarono di impor�re «una definizione più rigorosa della perfezione cristiana» per sottrarla alle ambiguità della dimensione magica e assogget�tarla al controllo della Chiesa di Roma. «Nell'ambito della proce�dura di canonizzazione, istitui�ta e sviluppata nella prima metà del XIII secolo, i miracoli, pur restando indispensabili perché un servo di Dio potesse essere proclamato santo dal pontefice, dovevano servire unicamente a rendere manifesti, dopo la mor�te, i suoi alti meriti e l'eccellen�za della sua vita, ormai sottopo�sta a un'inchiesta minuziosa». Contemporaneamente venne a galla il problema della «falsa santità». Problema che in realtà si era posto nel cristianesimo fin dalle origini: già l'Apocalisse parlava dell'Anticristo, un impo�store che avrebbe avuto tutte le apparenze della santità e sareb�be stato capace di sedurre anche gli eletti; alla fine del IV secolo sant'Agostino scriveva che «mol�ti sono i defunti il cui corpo è venerato in terra, mentre l'ani�ma patisce le pene dell'inferno»; ed è passato alla storia lo zelo di san Martino per distruggere la tomba di un malvivente che era stato venerato come santo dalle popolazioni rurali di Tours. Ma è a partire dal XII secolo che la questione toma prepotentemen�te d'attuabtà nel momento in cui il papato prende ad interes�sarsi più da vicino alle diverse forme di devozione popolare. Poco fiduciosi nei confronti dei vescovi, i pontefici a cavallo tra il XII e il XIII secolo introduco�no nella pratica (e in seguito, dal 1234, nel diritto) il principio della riserva papale sulla cano�nizzazione e istituiscono una procedura d'inchiesta che viene codificata in modo sempre più rigido. Con Innocenzo III si comincia a ridimensionare l'im�portanza attribuita ai miracoli e ai fenomeni soprannaturali nel�la valutazione della santità. Di pari passo si sviluppa la batta�glia contro la falsa santità che è indirizzata contro personaggi venerati dalle folle a dispetto di una discutibile ortodossia dottri�nale (se non di un evidente sconfinamento nel campo del�l'eresia). E' il caso dei «perfetti» catari che in alcune zone della Spagna erano venerati pubblica�mente, oppure di strani perso�naggi come Armanno Pungilupo e Guglielmo Boema, o ancora di contestatori come Pietro di Gio�vanni Olivi, considerato santo dagli spirituali francescani. Per distruggere la loro immagine i loro corpi vennero dissotterrati dall'Inquisizione e i loro resti furono dispersi. Nel Tre-Quattrocento la Chie�sa si trova dunque a combattere su due fronti: «per un verso», sostiene Vauchez, «contrasta l'in�vasione mistica e quasi sempre evita di pronunciarsi sui ineriti dei molti personaggi, soprattutto femminili, a cui si attribuiscono relazioni privilegiate con Dio, a meno che non le abbiano reso insigni servigi»; «Parallelamente comincia a prendere le distanze dalla santità popolare eremiti troppo ascetici che finiscono per tralignare, bambini che si dice siano stati martirizzati dagli ebrei ma senza avere la possibi�lità o forse il coraggio di opporsi all'opinione pubblica». A questo punto il clero si impegna a pro�muovere un modello di santità colto, dottrinale e clericale, fedel�mente incarnato dai grandi predi�catori osservanti del XV secolo: san Bernardino da Siena o san Vincenzo Ferreri. Cos�già alla fine del Medioevo, malgrado la prudenza di cui danno prova le autorità ecclesiastiche, «è chiaro che la vox populi non è più la vox Dei, anzi in certi casi tende piut�tosto a identificarsi, agli occhi dei chierici, con la vox diaboli». Negli ultimi secoli del Medio�evo la Chiesa muove all'assalto dell'irrazionale preferendo in ogni caso evitare il confronto diretto. La gerarchia cerca un compromesso con gli individui o i gruppi che in un momento dato si trovano investiti di un'autorità sociale o religiosa non legata a una funzione rico�nosciuta o a una carica ufficiale. «È quanto avvenne, per esem�pio, nel caso dei flagellanti italia�ni, ai quali», osserva Vauchez, «fu concesso di restare fedeli alla loro ispirazione fondamen�tale a condizione che si inserisse�ro nella struttura ben codificata e riconosciuta delle confraterni�te». Ma dal XV secolo le istituzio�ni ebbero meno riguardi e prete�sero una sottomissione senza riserve. «Visionari e pastorelle ispirate furono riconosciuti dal�la Chiesa solo nei momenti di crisi grave, quando non c'era più niente da perdere, ma passa�ta la bufera ci si affrettò a farli rientrare nei ranghi». Dopo il 1430 «il sapere empirico delle donne fu perseguitato fin nelle più remote campagne e fra i monti con il nome di stregone�ria» e Savonarola, il primo profe�ta prima di Lutero ad aver levato lo stendardo della rivolta contro la corruzione della Chie�sa di Roma, sal�sul rogo nel 1498. Sotto i colpi di quella repressione dura e sistematica, conclude Vauchez, i poteri infor�mali scivolarono progressiva�mente nella marginalità e nella clandestinità, salvo riaffiorare periodicamente sotto forma di convulse esplosioni in occasio�ne di crisi come le guerre di religione del XVI secolo. Immagini sacre, vite esemplari, reliquie fantasiose, e anche lotta dura per il controllo del mondo I culti popolari rafforzano la fede ma sono pericolosi: possono adottare eretici e banditi degni dell'inferno II disegno è di Matteo Pericoli. A sinistra Paolo Mieli.

Luoghi citati: Assisi, Francia, Inghilterra, Roma, Siena, Spagna