LEONE GINZBURG ultimo eroe

LEONE GINZBURG ultimo eroe La pubblicazione degli «Scritti» ripropone la figura di un intellettuale la cui vita fu un capolavoro di coerenza LEONE GINZBURG ultimo eroe L'editore Einaudi, a trentacinque anni dalla prima edizione, ripubblica gli Scritti di Leone Ginzburg. Curato da Domenico Zucàro, con la prefazione di Luisa Mangoni e l'introduzione di Norberto Bobbio, il volume ripropone gli scritti politici, storici e letterari dello studioso morto nel '44 nel carcere romano di Regina Coeli. Di Ginzburg pubbli�chiamo una lettera alla madre dell'agosto 1943 e un ritratto di Bobbio suo compagno di classe al liceo D'Azeglio. RIMARREBBE deluso chi, approfittando dell'attesa rie�dizione degli Scritti di Leone Ginzburg, vi cercasse i segni della grandezza dell'autore. O meglio, i segni ci sono; ma solo a una lettura in profondità, che dietro lo scritto�re faccia emergere l'uomo, che ricostruisca quella straordinaria vicenda di incroci umani, intellet�tuali e politici che fu la biografia di questo ebreo-russo italiano non solo per scelta. Una biografia inten�sa quanto breve, consumata tra il 1909 e il 1944, da Odessa, dove nacque, a Roma, dove trovò la morte, a Regina Coeli, guadagnan�dosi un posto nella prima fila del martirologio dell'antifascismo ita�liano. Rimasto in Italia perché sorpre�so dallo scoppio della Grande Guer�ra, il piccolo Leone da Viareggio passò a Torino: l'approdo al «miti�co» Liceo D'Azeglio e le amicizie decisive con quell'eccezionale gruppo di giovani che, tra Umber�to Cosmo e Augusto Monti, e spe�cialmente sotto la guida di quest'ul�timo, fu un piccolo movimento di idee capace di influenzare una larga fetta della cultura cittadina. Nel gruppo Leone spiccò subito per il suo fascino soggiogatore, per una base culturale infinitamente superiore a quella dei coetanei, e per maturità umana: e da solo o con alcuni di quegli amici e compa�gni egli fu coinvolto in alcune delle più notevoli avventure della Tori�no dell'epoca, una autentica capita�le culturale d'Italia: dalla casa edi�trice in lingue estere Slavia alla Frassinelli, dove si mise in luce Franco Antonicelli, con la «BibUoteca Europea». L'esperienza della rivista La Cultura «ago calamita�to di tutta la limatura di ferro dell'antifascismo cittadino», secon�do l'Ovra e quindi la casa dello Struzzo. Il segno unificante di queste imprese fu in sostanza gobettiano (ma Gobetti aveva a sua volta importato a Torino da Firenze il modello della Voce, eliminando il cinismo di Prezzolini e dando inve�ce una salda base morale al pro�prio lavoro). Come Gobetti, del resto, Ginzburg si mosse sul bina�rio della intransingenza politica e dell'apertura culturale: U dialogo con gli omologhi fascisti, impossisi su quello culturale, nel nome del comune mestiere intellettuale. Ec�co i rapporti dunque con un Genti�le o con un Ojetti. Ma nel contem�po intanto Leone si laureava in Lettere nell'ateneo torinese, aven�do grandi maestri, da Augusto Rostagni a Ferdinando Neri egli aderiva alla cospirazione giellista, e lungi da ogni doppiezza dava un esempio di eccezionale dirittura quando rinunciò alla Libera docen�za appena guadagnata per non sottostare al giuramento al regime mussoliniano. L'arresto, la deten�zione a Regina Coeli e il confino tra le montagne dell'Abruzzo (dove la moglie Natalia, figlia del grande anatomo-patologo Giuseppe Levi, lo aveva seguito e dove nacquero due dei tre fighi non smorzarono l'impegno politico e la vogha di combattere il fascismo, ma nem�meno la passione culturale: ne è prova straordinaria il carteggio con la «sua» casa editrice, casa Einaudi, in cui emerge non solo un sicuro talento di «editor», ma altre�s�uno zelo filologico che rinvia alla grande scuola subalpina. No, non tenne in conto il consiglio di Croce, suo amico e ammira�tore, che lo invitava a lasciar perde�re la poUtica in tempi cos�difficili, specie per un ebreo ritornato nella difficile condizione di «apolide». E il 25 luglio non fu per lui occasione di fuga: nelle file del Partito d'Azio�ne in clandestinità Leone prese la via di Roma, affrontando il rischio con consapevolezza, perché «tutto è preferibile al fascismo». Benché avvertito dai compagni della possi�bilità dell'irruzione della Gcstapo nella tipografia dove si stampava il foglio L'Italia Libera (da lui diretto con Fancello e Muscetta), non vol�le sottrarsi a quello che considera�va il suo dovere: un esempio che ricorda il martirio di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht. Rispetto a un tale profilo, gli Scritti, pur rivestendo interesse per i cultori di letterature europee (dalla russa alla francese), per gli storici politici e delle idee, non sono dunque tutto per capire un uomo che più che un reahzzatore fu un suscitatore, un uomo che sacrificò le sue enormi doti intellet�tuali a quello che giudicava, con ima intransigenza etica che ha pochi riscontri nella storia del suo ceto, un dovere morale. Negli articoli, nelle prefazioni alle sue mira�bili traduzioni dal russo, nelle re�censioni, negli scritti politici della clandestinità, nei frammenti stori�ci, possiamo intuire la ricchezza multiforme di un genio che avreb�be potuto dare tanto in ciascuno di questi ambiti, ma scelse di mettere in secondo piano la sua genialità per salvare, con la propria, la dignità di tutto un popolo. Davve�ro un insegnamento gobettiano, il suo, nel senso più nobile, e ad esso dovremmo guardare tutti quando siamo tentati di mollare la tensio�ne etica del nostro «mestiere» di intellettuali, quando le sollecitazio�ni del mercato o dell'accademia ci spingono irresistibilmente verso una dimensione puramente tecni�ca del lavoro culturale. Un esem�pio altissimo quello ginzburghiano, per la stragrande maggioranza dei chierici suoi contemporanei (coetanei o deDa generazione prece�dente) inarrivabile, e oggi addirit�tura improponibile. Apparente�mente almeno: c'è da sperare che sollecitati dagli spunti preziosi di questi testi ora di nuovo a disposi�zione del pubblico, ci si interroghi sulla necessità di una nuova moralità dell'mtellettuale. Ma la vita di Ginzburg di per se stessa la sua opera migliore implica anche un insegnamento per i politici: non ci può essere serietà dell'azione politi�ca senza una forte istanza morale. Nondimeno, se guardiamo al tra�sformismo dei chierici e all'oppor�tunismo dei politici c'è da temere che la voce di questa splendida figura d'intellettuale che alle catte�dre e ai titoli accademici prefer�l'azione diretta per la libertà di tutti, fino all'estremo sacrificio del�la vita, risuoni come quella di chi grida nel deserto. a