«Bush? La partita non è ancora chiusa»

«Bush? La partita non è ancora chiusa» L'ANALISTA DELL'AMERICAN ENTERPRISE INSTITUTE «Bush? La partita non è ancora chiusa» corrispondente da WASHINGTON «Bush e i suoi mi sembrano molto fiduciosi. Alcuni nel clan del governatore già assaporano la vittoria. Ma la partita non è ancora chiusa. Il suo lieve margine di vantaggio potrebbe evaporare nelle ultime ore. La verità è che non abbiamo idea di chi vincerà. Non sappiamo chi sarà presidente, non sappia�mo chi conquisterà la Camera, non sappiamo chi conquisterà il Senato. A un giorno dal voto non sappiamo niente. E questa grande incertezza è senz'altro il daio più divertente e eccitan�te di queste elezioni». William Schneider, politolo�go dell'American Enterprise Instiluie e popolare analista poli�tico della Cnn, quasi si frega le mani dal piacere sottile di questa grande incognita. Dice che era dai tempi di Kennedy e Nixon che non si vedeva un testa a testa cos�serrato. Signor Schneider, cosa c'è dietro a tutta questa incer�tezza? «Chiaramente non esiste più la polarizzazione dell'elettorato che c'era fino a pochi anni fa, e comunque fino alla fine della Guerra Fredda. Oggi molti ame�ricani hanno un atteggiamento ambivalente. I candidati tutto sommato piacciono, ma nessu�no dei due convince. Ma l'ambi�valenza non riguarda solo Bush e Gore. Fa parte di uno stato d'animo più profondo e diffu�so». Che vuol dire? «Gli americani sono perfetta�mente consapevoli che le cose nel Paese non sono mai andate cos�bene. Ma allo stesso tempo sentono il bisogno di un cambia�mento. Vogliono un nuovo lea�der, ma non vogliono una nuo�va politica. Vogliono cambiare senza cambiare. Vogliono altri quattro anni di clintonismo, ma senza Clinton. E cos�si avviano alle urne in questo stato di profonda ambivalenza che ren�de ogni previsione da parte di noi politologhi impossibile». Eppure Bush sembra piace�re di più. Da almeno due settimane i sondaggi lo dan�no in testa con un lieve ma solido vantaggio. Perché non dovrebbe farcela? «Attenzione a quello che io chiamo "il rimorso della nuova casa". Ha presente la giovane coppia che finalmente si decide, firma l'assegno, compra la casa, e poi, prim'ancora che l'inchio�stro sia asciutto esclama "O Dio! Che cosa abbiamo fatto! Forse non è la casa giusta"? E' possibile che alcuni elettori, già impegnati per Bush la casa nuova abbiano dei dubbi dell'ultim'ora e decidano di tenersi la casa vecchia, cioè Gore». E' un fenomeno che ha influenzato altre corse? «Abbiamo visto il "rimorso della nuova casa" prendere piede nel�le ultime ore della campagna nel 1960, a favore di Richard Nixon, l'allora vicepresidente. Poi di nuovo liei 1968, a Vantag�gio del vicepresidente Hubert Humphrey. E ancora nel 1976, a favore di Gerald Ford, il presidente in carica. Questi pre�cedenti dovrebbero essere di conforto a Gore. Ma fino a un certo punto, perché in quei tre casi il "rimorso" non fu sufficien�te per strappare la vittoria. Alla fine Kennedy la spuntò su Nixon, Nixon su Humphrey e Carter su Ford». In questi giorni, storici e costituzionalisti hanno molto parlato della possibi�lità che Bush vinca il voto popolare ma Gore conqui�sti la Casa Bianca con il «voto elettorale» che è l'unico che conta. E' davve�ro una possibilità? «Noi analisti ci divertiamo a parlarne ogni quattro anni, poi non succede mai. Certo, que�st'anno la possibilità è meno remota. Ma non oso immagina�re quello che succederebbe. I repubblicani si riverserebbero nelle strade, forconi in pugno, gridando vendetta. Se davvero dovesse succedere sarebbe la fine del nostro sistema elettora�le, basato sul Collegio elettorale stato per stato. In una democra�zia la volontà popolare deve essere rispettata e se il sistema produce un vincitore diverso da quello votato dalla maggioranza del Paese significa che il sistema non funziona». [a. d. r.]

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