ALIA RISCOPERTA DEI «TETRADENTI»

ALIA RISCOPERTA DEI «TETRADENTI» LE OPERE DI CAPOGROSSI DA BIASUTTI ALIA RISCOPERTA DEI «TETRADENTI» Originale concezione dell'astrattismo che ricorda i graffiti della preistoria LA galleria di Giampiero Biasutti, nella nuova sede di via della Rocca 6/B, presenta fino al 30 novembre un'articolata retrospettiva di Giusep�pe Capogrossi. Il pittore del «tetradente»: cos�molti definiscono il celebre artista romano, nato nel 1900 e morto nel 1972. Il tetradente è il tipico segno a forma di forchetta stilizzata che dal 1949 Capogros�si inserisce in tutti i dipinti come elemento astratto replicato più volte, quasi ossessivamente, fino a campire l'intera superficie del quadro. La mostra da Biasutti ci fa tuttavia sapere che prima di quella data Capogrossi era un pittore figurativo, come provano i due deliziosi quadretti che aprono il percorso espositivo: un «Paesaggio» e una «Donna distesa con chitarra», entrambi del 1947. Nel primo è dipinta ad olio su tela una veduta di Stintino, il pittoresco villaggio della Sardegna: sul mare turche�se sono ormeggiati di fronte al molo delle barche da pesca e sullo sfondo si staglia una fila ordinata di casette dai tetti rossi, con le finestre verdi. Se questa è opera ancora squisitamente naturalistica, la donna con chitarra risulta già tratteggiata con uno stile rapido e stilizzato che sintetizza le forme corporee annullando la fisionomia del volto. E' la prova che Capogrossi orienta la ricerca pittorica alle nuove tendenze astrattiste emergenti in Europa e in USA nel secondo dopoguerra: lui che alle spalle aveva studi classici e persino una laurea in giurisprudenza, dopo essersi formato alla scuola di nudo di Felice Carena all'Accademia di Belle Arti di Roma, e dopo aver partecipato alla Scuola Romana ancora tutta improntata al cosiddetto Ritomo all'Ordine, dal 1950 in poi compie la scelta radicale di praticare un astrattismo segnico, in cui il segno-cifra è appunto i tetradente. All'inizio la decisione pare incerta, quasi informale, come si intuisce da «Superficie 460», dipinto del 1950 presente in mostra accanto a molte altre Superfici (con questo titolo generico Capogrossi denomina tutti i suoi quadri astratti, distinguendoli soltanto con un numero e una sigla); spicca la numero 326 del 1959, uno dei quadri più grandi. Vivacemente colorata e gioiosa è la Superficie AC 059 G del 1962, più tragica e quasi macabra è la CP 34, affollata di tetradenti neri su fondo bianco. Visitando la sintetica retrospettiva ci si accorge che il segno è in, apparenza eguale a se stesso, ma nell'insieme della composizione assume il valore di una nota musicale che suonata con tante altre produce un brano armonioso. Né può passare inosservato il fatto che l'uso vivido del colore e l'efficace semplificazione grafica abbiano una lonta�na ascendenza esotica e primitivista. Tanto che a volte i quadri paiono graffiti rupestri o colorate stoffe africane. Come Picasso, anche Capogrossi è alla ricerca di un nuovo linguaggio espressivo, antioccidentale e anticlassico, che in lui assume la forza e l'intensità della musica jazz. Guido Curio Le opere astratte di Giuseppe Capogrossi sono caratterizzate dal titolo «Superficie» seguito da una sigla: questa è la CP155 «Superficie 326»-è un olio su tela realizzato nel 1959

Persone citate: Biasutti, Capogrossi, Felice Carena, Giampiero Biasutti, Giuseppe Capogrossi, Picasso

Luoghi citati: Europa, Roma, Sardegna, Stintino, Usa