Pacchi, pacchetti, pacchettini ormai è l'abito che fa il prodotto di Gianfranco Marrone

Pacchi, pacchetti, pacchettini ormai è l'abito che fa il prodotto Pacchi, pacchetti, pacchettini ormai è l'abito che fa il prodotto TORNANDO a casa, dopo la spesa, le fatiche non sono finite. Per poter mettere in frigo e in dispensa i prodotti acquistati, è necessario un lungo, paziente lavoro di spacchettamento, come alla ricerca degli oggetti effettivi con i quali prima o poi bisognerà nutrirsi. Innanzitutto, via le buste del supennercato. E poi, soprattutto, via la scatoletta che impacchetta gli yogurt, via il cartone che tiene insieme le botti�gliette, via la plastica che riveste i fonnaggi, via la busta che contiene il caffè. Ma non è sufficiente: al momento di preparare il pranzo, occorrerà ancora tirare fuori ta pasta dalla busta, il sugo dalla lattina, il parmigiano dal dispen�ser, l'acqua dalla bottiglia e cos�via. Sembra insomma che non vivia�mo più in un mondo di cose, come sostenevano i filosofi materialisti d'antan, ma in un palcoscenico di pacchi e pacchetti, bombolette e lattine, casse e cassette, tubetti, vasetti, taniche, scatole, sacchi, di�spenser, reticelle, fascette, buste, custodie, guaine, stick, fiaschi, da�migiane, cartocci, tetrapack, brik, fiale, flaconi, bidoni, vaschette, vas�soi, cartoni, pallet, containers. Non molto diversamente da quel che accade ai nostri corpi, ben poca cosa senza l'abbigliamento che li rende presentabili, tutto quel che consumiamo passa per il suo imbal�laggio, per quella pellicola che sem�pre più avvolge gli oggetti e vistosa�mente li mette in scena. E cosi come l'abito non risponde soltanto alle nostre esigenze di protezione, pudore e ornamento, poiché si fa carico di complesse simbologie sociali, allo stesso modo quello che i tecnici del settore chiamano «packa�ging» non ha semplice�mente la funzione pra�tica di ricoprire i pro�dotti, per suddividerli, conservarli, trasportarli etc. Come ben mostrano i due recenti libri di Valeria Bucchetti e Mauro Ferrare�si, esso serve più che altro a presen�tare comunicativamente gli ogget�ti, a renderli riconoscibili, a dotarli di senso e valore, a trasformarli insomma in vere e proprie merci. Che cosa sarebbe un detersivo senza il suo contenitore? Sarebbe una banale polverina bianca senz'anima, senza quel fondamen�tale contrassegno che permette di distinguerlo da un altro e, dunque, di sceglierlo fra i tanti possibili nello scaffale del supennercato doRECENGianMa ve fa bella mostra di sé. E cosa sarebbe una bevanda senza la botti�glia, uno yogurt senza vasetto, una pasta senza busta, un gelato senza vaschetta? Sarebbero ben poco, o forse non sarebbero proprio nulla, né di appetitoso (per i consumatori) né di vendibile (per i produttori). Cosi, se sino ad alcuni decenni fa si teneva ben distinto un prodotto dal suo imballaggio, oggi sembra impossibile comprendere dove fini�sce un oggetto e dove comincia il suo rivestimento comunicativo. Per esempio: quei granelli blu che troviamo nel detersivo fanno parto SIONE anco one del detersivo (e servo�no a sbiancare meglio il bucato) o hanno il compito di renderlo di�verso da altri detersi�vi? E il colore di quella bibita ha un particola�re gusto o serve soltan�to ad attrarci verso di essa? Difficile dirlo. Forse del tutto inutile. Quel che è certo, come sanno bene gli specialisti di design, è che oggi nessun oggetto potrebbe andare in giro nudo. Progettare qualcosa è immaginarla diretta�mente su quel palcoscenico comuni�cativo che il mercato, al punto che, molto spesso, il packaging viene dotato di caratteristiche fisiche (for�ma, dimensioni, peso) e sensoriali (visive, olfattive, tattili) che il pro�dotto non ha e non può avere. Prima ancora di essere lanciati sul mercato attraverso la pubblicità, i prodotto vengono resi significativi, vengono dotati di una base simboli�ca e immateriale che ce li rende interessanti, ma anche di proprietà estetiche che ce li rendono desidera�bili. E la pubblicità? Possiamo imma�ginare che il diffondersi capillare dell'universo del packaging tende�rà a ridimensionarla o addirittura a renderla inutile? In un mondo di oggetti che hanno onnai incorpora�to il loro valore comunicativo, è del tutto superflua ogni forma di comu�nicazione commerciale? Ovviamen�te no. La pubblicità si diffonde sempre più. Anche se, come mostra Vanni Codeluppi nel suo ultimo libro sull'argomento, essa tende a trasfonnarsi in «iperpubblicità», a perdere cioè il consueto molo ancil�lare rispetto al mercato per render�si in qualche modo autonoma, per presentarsi come linguaggio a sé stante, con i suoi valori estetici, le sue strutture tipiche, i suoi temi ricorrenti, i suoi rituali sociali. Al punto che, sappiamo, essa è diven�tata una grande fomia linguistica usata anche in discorsi che, almeno in apparenza, non hanno nulla a che fare con il mercato, come lo spettacolo, lo sport, il giornalismo, la politica, la letteratura, la musica e cosi via. Da questo punto di vista, se Codeluppi parla del mondo contem�poraneo come di una «società pub�blicitaria» è proprio perché, a di�spetto dei suoi irriducibili denigra�tori, la pubblicità riveste oggi il ruolo che in altri tempi avevano le grandi narrazioni mitiche, vere e proprie macchine per la costruzio�ne e la diffusione di idee e di simboli, ma anche di valori e di significati. E se gli scenari urbani della modernità sono onnai incon�cepibili senza i giganteschi cartello�ni pubblicitari che decorano edifici e strade, la mescolanza dei discorsi sociali che viene di solito etichetta�ta come postmodema sta producen�do, tra gli altri, un fenomeno curio�so: quello della messa in scena pubblicitaria delle notizie. Provate ad andare a Times Square o a Piazza Venezia e vedrete, là dove vi aspettereste l'ennesimo annuncio commerciale, una striscia lumino�sa con le ultime dalla Casa Bianca o dalla guerra di turno nel cosiddetto Terzo Mondo. C'è qualcuno che vuol sedurci informandoci. Nessu�no stupore, allora, se oggi tocca al pubblicitario dirci che cosa pensare del mondo. Anche attraverso le scatole delle cose. Cosa sarebbe un detersivo senza il suo contenitore? Una banale polverina bianca senz'anima. Cos�come una bevanda senza la sua bottiglia, uno yogurt senza vasetto, una pasta senza busta, un gelato senza vaschetta, non avrebbero più nulla né di appetitoso né di vendibile TECNICHE E SIMBOLOGIE DEL PACKAGING: IN UNA SOCIETÀ' PUBBLICITARIA, NESSUN OGGETTO PUÒ' ANDARE IN GIRO NUDO. LE SCATOLE DELLE COSE CI DICONO COSA PENSARE DEL MONDO M-^AGlNe iu^-a*-" Mauro Ferraresi II packaging Angeli, pp, 170, L 28.000 Valeria Bucchetti La messa in scena del prodotto Angeli, pp. 158, L, 28,000 Vanni Codeluppi Iperpubblicità Angeli, pp, 170, L 26.000 SAGGI I Tutto quel che consumiamo passa per il suo imballaggio, per quella pellicola che sempre più avvolge gli oggetti e vistosamente li mette in scena: è il trionfo del packaging RECENSIONE Gianfranco Marrone

Persone citate: Codeluppi, Mauro Ferrare, Mauro Ferraresi Ii, Valeria Bucchetti, Vanni Codeluppi