L'Europa aspetta il presidente Godot di Barbara Spinelli

L'Europa aspetta il presidente Godot Un'attesa equivoca, tipica del vassallo che odia il sovrano per meglio dissimulare la propria sudditanza L'Europa aspetta il presidente Godot t: PRIMA PAGINA Barbara Spinelli Idue assistenti diplomatici del candidato repubblicano Co�lin Powell destinato al Dipar�timento di Stato, Condoleeza Rice al Consiglio di sicurezza sono da tempo assertori di un disimpegno dall'Europa: disim�pegno caldeggiato dai conserva�tori della comunità afro-ameri�cana, cui ambedue appartengo�no. Altro svantaggio: l'autorevo�lezza della Casa Bianca sarebbe minata dalla vittoria di un gover�natore che vanta, nel Texas, il primato delle pene di morte. Ma alcuni punti rimangono oscuri nelle apprensioni euro�pee. Non sempre è chiara l'indi�gnazione di fronte a un disimpe�gno che di fatto dovrebbe incita�re l'Unione ad affrettare i tempi di una pohtica che essa stessa dice di voler adottare: una dife�sa comune più attiva, concepita per pacificare alcuni conflitti regionali senza l'aiuto america�no; un piano più spedito di riunificazione con l'Europa cen�tro-orientale; una maggiore at�tenzione geostrategica verso la Russia e le nazioni indipendenti dell'ex Urss (l'Ucraina in partico�lare, unico vero ostacolo alla ricostituzione dell'impero mo�scovita). Un'attenzione che non si limiti a contratti ventennali con Mosca, che ci rendono dipen�denti dal suo gas naturale e che inibiranno ancor più l'iniziativa politica dell'Unione. Le campagne elettorali ameri�cane sono generalmente un enig�ma. Non è mai evidente quel che il Presidente farà davvero, una volta eletto. E non mancano questioni sulle quali Gore e Bu�sh tristemente concordano. Un esempio è il genocidio in Ruan�da del '94: ambedue hanno deci�so di dimenticare il mea culpa pronunciato da Clinton nel mar�zo '98 («Non agimmo con suffi�ciente rapidità quando comincia�rono i massacri. Non avremmo dovuto permettere che i campi rifugiati divenissero campi pro�tetti per gli assassini. Non chia�mammo subito i crimini con il nome giusto: genocidio»), e han�no dichiarato che l'amministra�zione fece quel che doveva, sei anni fa, vietando l'invio di trup�pe Onu. In questo caso non si vede dove sia la superiorità etica di Gore rispetto al rivale. Per gli europei, ancora una volta, si tratta di cogliere con tempestività le occasioni di cre�scere, di addestrarsi al pensiero strategico. Il tempo non è una materia estensibile, che si adat�ta alle lente formulazioni delle volontà comunitarie. E' adesso che l'America sente la necessità di condividere le proprie respon�sabilità mondiali, e non è detto che Washington possa adeguar�si alle defatiganti procedure de�cisionali degli alleati. E' adesso che l'Europa centro-orientale ha bisogno di partecipare all'edi�ficazione europea, ed è oggi che si impone in Kosovo ima pohtica limpida, che non si accontenti dell'elezione democratica di Kostunica. Gli americani potrebbe�ro abbandonare i Balcani dopo essersi consultati con gli alleati, lasciando a metà il lavoro di pacificazione e ricostruzione ini�ziato con successo nel '99. Non è detto che gli europei debbano seguire il loro esempio, riconse�gnando alla Serbia ima provin�cia che sta apprendendo l'auto�nomia e che ancora anela all'in�dipendenza. Facilitare la ricon�quista serba del Kosovo sarebbe il modo più sicuro per perdere una vittoria conseguita in due tappe: prima nel '99 con l'inter�vento Nato, poi nel 2000 con la caduta di Milosevic. Per far ciò, tuttavia, urge un atteggiamento più pragmatico, meno ideologico. E' una delle lezioni di questa campagna ne�gli Stati Uniti: forse per l'Euro�pa è giunta l'ora di occuparsi finalmente delle avversità e dei pericoli circostanti, di imparare a guardare intorno a sé, e di smettere le comode avversioni antiamericane. In maniera con�traddittoria e indiretta, l'alleato d'oltre Atlantico invita l'Unione a uscire dalla bolla d'aria in cui continua a vivere rinchiusa, co�me ai tempi dell'ombrello nucle�are, protetta da una superpoten�za di cui si è sudditi risentiti, ed eternamente malcontenti. Qui è una delle stranezze della competizione statuniten�se: paradossalmente, è la nazio�ne meno laica e meno scettica, più messianica e integralista, a esser capace di pragmatismo, di prontezza strategica, di prepara�zione alle calamità. Non si è parlato mai tanto di Dio, come in questa campagna, e ci sono stati momenti in cui l'intera classe politica sembrava scivola�re nell'integralismo. E' il caso non solo del governatore del Texas, ma di Al Gore e in modo speciale del suo vice Joseph Lieberman. Per ambedue i candi�dati l'incontro con Dio è stato fondamentale, e deve pesare nel�le formulazioni della pohtica. Per Lieberman «non esiste vera morale, se non è connessa con la religione». Per Bush l'America è «la nazione di Dio». Ma non è detto che il segnale religioso funzioni completamente. I politi�ci non possono non sapere che la nazione prese le distanze dalle élite, sulla vicenda Lewinsky, e non condannò le imperfezioni etiche di Clinton ma anzi lo difese e si oppose alla destituzio�ne. Alcuni osservatori prevedo�no un'ulteriore sconnessione della società civile, che prende�rà la forma di astensionismi in crescita e di una accentuata disaffezione degli elettori giova�ni. In realtà il messianesimo americano è ingannevole. E' l'al�tra faccia di un atteggiamento diametralmente opposto: ben più spregiudicato e moralmente disinibito di quanto vogliano far credere le sue classi (tingenti. La vera ideologia proposta dal�l'America non è messianico-religiosa ma è un'ideologia dei con�sumi, come spiega con acutezza il filosofo tedesco Richard Herzinger nel settimanale Die Zeit: «L'America pacifica il mondo e gli integralismi impiantandovi un ideale universale di vita: la democrazia egualitaria dei con�sumatori». Ha dimostrato di «es�sere una nazione che sa assorbi�re le culture più varie, e conver�tire le proprie lacerazioni cultu�rali in nuova produttività e sicu�rezza di sé». I suoi politici non smettono di sbandierare il mito della nazione eletta da Dio, del Godland, ma in cuor loro sanno che dovranno lavorare non in Paradiso, ma sulla terra e in solitudine. Apparentemente, l'Europa parte in migliori condizioni. I più mortiferi messianesimi poli�tici sono nati nel suo seno, e questo la tiene al riparo dagli integralismi. Nessun dirigente crede che la sua nazione sia prescelta da Dio. E se mai nasce�rà, il patriottismo europeo do�vrà cercare in se stesso i più allarmanti avversari. Ma esisto�no anche paradisi artificiali, che possono ingabbiare il pensiero. E' il paradiso dove non esistono avversità, e dove tutti aspettano ansiosi un ennesimo sovrano da adorare e detestare.