Al funerale del capitano Dmitrij

Al funerale del capitano Dmitrij Al funerale del capitano Dmitrij «Perdonateci», dice il prete ai marinai del Kursk reportage Giulietta Chiesa inviato a SAN PIETROBURGO ^^UELLE poche righe scritte ■^prima di morire, soffocato, ^■^affogato, ancora non lo sap�piamo, lo hanno consegnato, se non alla storia, alla memoria collettiva di questa frastornata generazione di russi. Giustamente qualcuno ha deci�so di mettere quelle poche parole ai piedi della bara sigillata di Dmitrij Kolesnikov: «Scrivo al buio, ma provo a tentoni. Possibi�lità, a quanto pare, non ce n'è. Dieci-venti per cento. Speriamo che qualcuno legga. Qui c'è l'elen�co di quelli che sono con me nel nono compartimento e che cer�cheranno di uscire. Un saluto a tutti, non disperatevi». E' un testo diverso da quello che verme dato subito dopo il ritrovamento, più drammatico, più tenibile. Forse non è nemmeno l'ultima versione. Olga, la moglie, non ha visto neanche la fotocopia del�l'originale. Le hanno dato solo un dattiloscritto. C'è un'inchiesta in corso, dicono... Piange la lunga fila di uomini e donne venuta a salutarlo, per l'ultima volta, nell'Istituto di In�gegneria della Marina militare, nello storico edificio dell'Ammira�gliato. Sfilano in silenzio, a centi�naia, alternandosi ai marinai e ufficiali in divisa che passano davanti ai genitori impietriti del capitano Kolesnikov, uno dei 118 che si sta cercando di riesumare dalla fossa comune del Kursk, affondato il 12 agosto. Nessuno o quasi si volta dalla parte delle sedie dove, come im�pone la tradizione, stanno i paren�ti. Papà Roman, anche lui som�mergibilista, mamma Irina, inse�gnante, il fratello, anche lui mari�naio nella stessa base di Severomorsk da cui part�Dmitrij per l'ultimo viaggio. C'è una specie di ritrosia generale, come un penti�mento collettivo inespresso per cose che sono andate come sono andate, ma che tutti intuiscono avrebbero potuto andare diversa�mente. E così, quando la voce stento�rea di padre Bogdan, della catte�drale di Nicola Bogojavlenskij, chiede perdono a nome di tutti e tutti capiscono che è un perdono per non averlo salvato molte teste si muovono in silenzio, as�sentendo. Teste scoperte di uomi�ni, velate di donne, e teste con berretti militari. Sfilano a lungo, queste facce leningradesi, scolpite nel marmo come quelle in bianco e nero dei film di Vertov e di Eisenstein. Non ci sono altri colori in questa mattinata pietroburghese sotto una pioggia fitta e incessante che cade sulle file che aspettano di entrare, file che si allungano tra gli alberi scheletriti del giardino che congiunge la cattedrale di Sant'Isacco e la guglia dell'Ammi�ragliato. Pioggia che sgocciola sul bave�ro dei cappotti austeri degli uffi�ciali immobili e sulle babushke che attendono sotto il monumen�to allo sconosciuto Przhivalnij, «primo studioso della natura del�l'Asia Centrale», ornato, tra le lattine di birra abbandonate e le panchine divelte, d'un bel cam�mello di bronzo. Ai tempi di Przhivalnij l'impe�ro era una cosa seria, anche se i sommergibili nucleari sarebbero venuti molto tempo dopo e sotto altro regime. Si andava alla con�quista del mondo e poi si studia�va la natura, da vincitori, come i veri colonialisti inglesi. Adesso, in questa malinconia diffusa, che è qualcosa di più leggero del dolore ma che sembra colpire indistintamente tutti, c'è un'inconscia percezione dell'inu�tilità di questa e di tante altre morti di questo Paese in guerra con se stesso: dal mare di Barents alle montagne della Cecenia. Funerale assurdo, a cavallo di due epoche, di due regimi, di motivazioni diverse e inconcilia�bili. Si capisce che non è solo la ruggine a causare disastri. C'è l'incertezza a fare di peggio. La sala dell'Istituto d'Ingegneria, quello stesso in cui Dmitrij si diplomò, porta impressi, tutti, i segni di questa incertezza. Lassù, sopra il palcoscenico, il fregio di gesso di Lenin sovrasta ancora una falce e martello di gesso. Il cerimoniale è ancora tutto sovie�tico, come le divise nere dei marinai, le colonne biancolatte del salone d'onore avvolte in nastri alternatamente rossi e neri. Solo la bara sigillata rompe la tradizione, ma è stato spiegato il perché: non c'era nulla da guarda�re. Nessuno dei riportati alla superficie ha potuto essere rico�nosciuto per i tratti del volto. Una volta portati fuori i cadaveri il processo di decomposizione precipita in poche decine di minu�ti. La squadra di coloro che debbo�no riconoscere deve fare in fret�ta. Tutto attorno, nelle teste e nei cuori, non c'è invece più niente di sovietico. Da dietro l'ingenuo fon�dale, raffigurante un mare in tempesta solcato da tre navi im�pavide, si levano adesso le voci del coro di padre Bogdan, innal�zanti lodi all'Eterno che entra qui forse per la prima volta. E quelle navi, oggi, non saprebbero dove andare, esattamente come il Kur�sk, affondato in un tratto di mare che non era neanche profondo come la sua mastodontica lun�ghezza. Quei 117 che hanno condiviso la sorte di Dmitrij erano pronti forse a difendere lo Stato che, fino a qualche mese fa, pensava di non essere più sottoposto ad alcuna minaccia. L'unica cosa certa, ai loro cari e ai milioni di russi che hanno vissuto come propria quella tragedia, è che essi non hanno potuto difendersi dal�lo stato che servivano. Kolesnikov l'hanno sepolto a 20 metri dalla tomba di un ammi�raglio «eroe dell'Unione Sovieti�ca», nel cimitero Serafimovskoe. Musiche, marce funebri, i discor�si dell'ammiraglio della Flotta del Nord, del plenipotenziario di Vla�dimir Putin. Parole vacue, balbet�tate in un silenzio ostile o indiffe�rente. Ma grande onore per un capitano che non ha combattuto nessuna guerra ed è morto pro�prio per niente. Tanto che, forse, avrebbe potuto essere salvato. Poco distante da quella di Kole�snikov, nel cimitero Serafimo�vskoe, c'è la fossa comune la seconda per capienza dopo quella del cimitero monumentale di Piskarevskoe dove sono sepolti oltre centomila difensori della città durante l'assedio nazista della Grande Guerra Patriottica. Qui la chiamano ancora così, la Seconda guerra mondiale. Una lapide inneggia all'«esempio im�perituro» che quei morti hanno dato alle future generazioni. La folla si allontana sotto la pioggia e nulla sembra cos�disperata�mente lontano da quelle parole, da quella storia, come lo è stata la vita e la morte del leningradese Dmitrij Kolesnikov. La bara del capitano Dmitrij Kolesnikov nella cattedrale di San Pietroburgo

Persone citate: Dmitrij Kolesnikov, Giulietta Chiesa, Kolesnikov, Lenin, Putin, Vertov

Luoghi citati: Asia Centrale, Cecenia, San Pietroburgo