Palestina, la rivolta immatura

Palestina, la rivolta immatura Palestina, la rivolta immatura «Fin dal '47 nei Territori resiste la retorica adolescenziale del tutto o nulla che spinge il confronto verso la violenza» Abraham B. Yehoshua GERUSALEMME ■ lettori de «La Stampa» avran�no certo notato che, in segui�to ai recenti avvenimenti, ho pubblicato negli ultimi tempi parecchi articoli e forse qualcu�no si domanda, a ragion veduta, se questo non avvenga a scapito della mia attività letteraria. Non c'è dubbio che quanto sta acca�dendo in Israele abbia sconvolto non solo la mia vita ma anche quella di molti miei connaziona�li. Non c'è quindi da stupirsi se uno scrittore come me, da sempre at�tivo nella vita pubblica, soprat�tutto nel sostene�re il processo di pace con i palesti�nesi, provi in que�sti giorni un parti�colare turbamen�to. Mi permetto allora di conce�dere una pausa ai protagonisti del mio nuovo libro per dedicar�mi alla scrittura di articoli. La mia inquietudine è grande in quanto, dopo molti anni di prese di posizioni contrapposte alla linea politica ufficiale di Israele, avevo finalmente l'im�pressione che Ehud Barak fosse seriamente intenzionato ad arri�vare ad un accordo di pace equo. E' possibile che le sue proposte a Camp David la divisione di Gerusalemme, la sua trasforma�zione in capitale di due stati e la restituzione del 9507o dei territori conquistati nel 1967 non siano state ritenute sufficienti dai no�stri interlocutori e che quindi Israele debba valutare ulteriori concessioni (prima fra tutte la sovranità musulmana sulla spia�nata delle moschee). Eppure un governo israeliano che ha messo a repentaglio il proprio futuro politico per raggiungere la pace, sforzandosi di ottenere il soste�gno dell'opinione pubblica israe�liana, non meritava scoppi di violenza e dimostrazioni di odio tanto brutah. Se ora Arafat proclama in modo provocatorio di preferire Netanyahu a Barak, corre il rischio, grazie alle proprie scel�te, di ritrovarselo come capo del prossimo governo. Forse, allora, per il leader dell'Autonomia pale�stinese sarà più facile volare per il mondo, da una capitale all'al�tra, in veste di vittima della ferocia israeliana, ma il suo po�polo sprofonderà sempre di più nella sofferenza e nella dispera�zione e bambini e ragazzi conti�nueranno a rimanere feriti e uccisi. E questo mi porta al tema dell'articolo. E' indubbio che i giovanissimi presenti negli scon�tri tra i palestinesi e l'esercito di Tel Aviv riscuotano la simpatia della comunità intemazionale. Le immagini di bambini feriti e uccisi da soldati armati (che, occorre ricordare, hanno solo qualche anno in più dei loro avversari) creano un effetto drammatico particolarmente gradito alle telecamere e i giorna�listi non faticano a trovare paro�le strazianti per commentarle. Tale presenza rappresenta na�turalmente un vantaggio nella lotta per la conquista dell'opinio�ne pubblica ma è appropriata sotto un punto di vista etico? E' legittimo spingere un bambino o un ragazzo ad abbandonare i banchi di scuola per lanciarsi con un pugno di pietre e alcune bottiglie molotov contro un sol�dato armato nel tentativo di aprirsi un varco verso un incro�cio o un insediamento? E' giusto che gli adulti che istigano questi giovani se ne stiano ad opportu�na distanza senza correre alcun rischio? I palestinesi possono sempre affermare che i ragazzi agiscono di loro spontanea vo�lontà in quanto lottano per il proprio futuro e per la propria libertà. Ammesso pure che ciò sia vero è inevitabile tuttavia porsi la domanda come mai gli adulti non si trovino alla testa di quelle dimostrazioni e non si espongano in prima persona da�vanti all'esercito. Dopo tutto molti di quei giovani non hanno alcuna esperienza di azioni di�mostrative violente e agiscono solo sotto la spinta di un entusia�smo incosciente. Perché gli adul�ti non si assumono la responsabi�lità di gestire quelle manifesta�zioni in maniera più efficace, riducendo cos�anche il numero delle vittime? A mio avviso la facilità con cui la leadership palestinese manda i ragazzi allo sbaraglio contro l'esercito israebano, un gesto quasi suicida, deriva da un motivo più profondo e radicato nella coscienza palestinese. Su un piano metaforico è possibile paragonare l'identità palestine�se all'età adolescenziale, soprat�tutto per quanto riguarda i suoi rapporti complessi con gli altri stati arabi, considerati alla stre�gua di fratelli maggiori o di padri maturi e posati, grandi e forti, dai quali i palestinesi pre�tendono ripetutamente aiuto che, molto spesso, viene conces�so sotto fontna di laconiche affer�mazioni di sostegno (senza impe�gno alcuno), o di misere sovven�zioni. Il rapporto tra palestinesi e mondo arabo è stato ampiamen�te trattato in articoli e libri e non è questo il luogo per esaminarlo in tutti i suoi significati. Il confi�ne tra identità araba, nella sua accezione più ampia, e identità nazionale intesa come fedeltà al proprio stato, sia esso Siria, Egitto, Irak o Giordania è incerto, sfumato e pieno di con�traddizioni. Il mondo arabo rac�chiude una ricca memoria stori�ca e un potenziale reale di gran�de riuscita futura ma, al tempo stesso, è terreno di scontro di speranze, illusioni e interessi contrastanti. In questa confusio�ne fra identità araba e identità nazionale la situazione dei pale�stinesi, che ancora non hanno raggiunto l'indipendenza, appa�re ancora più complessa. Perso�nalmente ho l'impressione che essi si trovino in una situazione di stallo, in bilico sul suddetto confine, senza una precisa con�sapevolezza della propria forza e dei propri limiti, soprattutto nei confronti di Israele. Prose�guendo nella metafora è possibi�le affermare che, fin dall'inizio della loro storia, i palestinesi hanno respinto ogni compromes�so con gb ebrei in quanto (pro�prio come i giovani che parteci�pano agli scontri con l'esercito) sapevano di avere alle spalle dei parenti forti e ricchi, sempre pronti a correre in loro aiuto, e quindi potevano avanzare prete�se superiori alla loro forza reale. Già nel 1947 i palestinesi rifiuta�rono la divisione della terra d'Israele-Palestina in due stati, ebreo e arabo, decisa dall'Onu, certi che il mondo arabo li avreb�be aiutati a scacciare gli usurpa�tori ebrei. In quell'occasione, tuttavia, non fecero appello alle loro risorse militari e sociali per combattere la presenza ebraica, limitata e debole, bens�attesero che gli stati arabi sbrigassero la faccenda per loro. Anche alla fine della guerra, terminata con ima sconfitta parziale, non disse�ro a se stessi: «Ecco, non siamo riusciti a raggiungere il nostro obiettivo e questa terra, di fatto, è divisa in due. Questo è quanto abbiamo ottenuto. Questa è la nostra forza e questo è il nemico che ci sta di fronte. Cerchiamo di ottenere, attraverso dei negozia�ti, il compromesso a noi più vantaggioso cos�da poterci dedi�care allo sviluppo del nostro stato». Viceversa i palestinesi continuarono a nutrire il sogno illusorio di potere un giorno distruggere lo stato ebraico con l'aiuto dei loro fratelli maggiori che avevano il dovere di aiutar�li. Anche gli stati arabi, tuttavia, hanno approfittato dei «ragazzi» palestinesi cos�come ora i pale�stinesi approfittano dei loro gio�vani. Di volta in volta se ne sono serviti per le proprie liti inteme, alimentando le speranze dei pro�fughi ma tenendoli relegati per anni in campi di raccolta invivi�bili senza concedere loro nem�meno il diritto di cittadinanza. Invece di aiutarli a costruirsi un futuro in quella parte di Palesti�na rimasta sotto controllo arabo per altri diciannove anni (dal 1948 al 1967) hanno illuso i loro protetti che un giorno sarebbero riusciti a distruggere lo stato di Israele e a restituire ai profughi case e terre. L'incapacità di comprendere, nel bene e nel male, i limiti della propria forza, svela, insomma, l'immaturità relativa del popolo palestinese e la partecipazione di giovanissimi alle sommosse simboleggia quindi qualcosa di molto più profondo. Il popolo palestinese è ormai vicinissimo ad ottenere un proprio stato a fianco di quello ebraico, a patto, tuttavia, che sappia riconoscere in modo maturo ciò che gli è possibile ottenere nelle condizio�ni geo-politiche attuali, che af�fronti con coraggio la realtà e che si accontenti di ciò che ha senza lanciarsi in azioni suicide per cercare di ottenere ciò che non può. La situazione dei pale�stinesi è troppo seria e delicata per lasciarsi irretire dai miraggi di Saddam Hussein e di Gheddafi. E' necessario trovare al più presto una soluzione perché la sofferenza è ormai troppa. Non c'è alcun bisogno di «nuovi mar�tiri». Di ritomo al tavolo dei negoziati i palestinesi troveran�no un'Israele diversa, sfinita, ma sempre desiderosa di pace e quindi pronta a considerare la situazione con maggior lucidità. Copyright La Stampa 2000 «E' legittimo spingere un ragazzo ad abbandonare i banchi di scuola per lanciarsi con le pietre e le molotov contro i soldati armati?» «E' inevitabile porsi la domanda come mai gli adulti non si trovino alla testa di quelle dimostrazioni e non si espongano in prima persona» li mercato di Mahané Yehuda, a Gerusalemme, poco dopo l'esplosione di un'auto bomba. L'attentato è stato rivendicato da una sedicente «ala militare» della Jihad islamica

Persone citate: Arafat, Barak, Ehud Barak, Netanyahu, Palestina, Prose, Saddam Hussein, Yehoshua