«Maestro, perché l'abiura?»

«Maestro, perché l'abiura?» INTERVISTA A GALILEO «Maestro, perché l'abiura?» Dialogo immaginario nella villa di Arcetri MI risvegliai improvvisa�mente. Il viaggio si era concluso. Ero seduto nel mezzo di un prato, verso l'imbru�nire di una giornata fredda e ventosa. Mi feci indicare da un contadino la strada per raggiun�gere la villa di Arcetri. Bussai discretamente e fui introdotto in un'ampia stanza dove il vecchio scienziato, ormai quasi cieco, so�leva passare i pomeriggi tra i suoi vecchi strumenti per esperi�menti di fisica. Era la mia prima intervista: l'anno, il 1637, e il luogo, la villa di Arcet ri dove era stato confinato, non erano frutto di una mia libera scelta. Avrei preferito incontrarlo in un perio�do più sereno della sua vita : tra il 1592 e il 1610, ad esempio, quan�do insegnava a Padova. Dopo l'abiura di Galileo il cli�ma nel nostro paese era mutato: nessuna nuova idea scientifica era più stata pubblicata. Anche fuori d'Italia ci fu chi chiuse nei cassetti le nuove opere scientifi�che: a Parigi, ad esempio, Carte�sio rinunciò a pubblicare il suo trattato dedicato alla natura del�la luce. Va detto che, effettivemente, l'evento dello spazio-tem�po che avevo in mente e che impostai sulla tastiera della mac�china poco prima della partenza fu: Università di Padova, 1604. Desideravo approfittare del viag�gio, infatti, per assistere alla comparsa della "stella nuova" che aveva suscitato interrogativi e polemiche tra gli studiosi pado�vani. Fui catapultato, invece, nei pressi di Arcetri nel novembre del 1637. Dovevo aspettarmelo: ogni grandezza fisica è misurabi�le con precisione finita. Poiché ero stato assunto da poco, la macchina del tempo messa a disposizione dal giornale era un modello antiquato. Permetteva di stabilire la data di arrivo con la precisione di cinquant'anni in più o in meno. «Dobbiamo appoggiarci ai fat�ti», esclamò lo scienziato mentre mi accomodavo su una seggiola di fronte a un piano inclinato. Una pallina lignea veniva lascia�ta rotolare lungo il piano ed egli annotava con cura le sue osserva�zioni. «Solo i falli contano», ag�giunse con fervore. «Professore, deve sapere che le scienze, nella mia epoca, sono dominate dall'attenzione ai fatti. Il metodo sperimentale, il suo metodo...» «Bravo, giovanotto, bravo. Ec�co la parola che caratterizza il mio metodo! Sperimentale! Già Sperimentale. Perché, vede, non basta osservare. L'osservazione passiva della natura non è suffi�ciente! Non dobbiamo, semphee�mente, stare a guardare i fenome�ni. Dobbiamo interrogare! Capi�sce? Dobbiamo essere capaci di formulare le giuste domande!» «Intende dire che lo scienziato non deve accontentarsi di essere testimone dei fenomemi? Che deve, in qualche modo, partecipa�re al gioco?» «Certo, esatto! Quando proget�to un esperimento non lo realiz�zo a caso. Lo penso immaginan�do o, meglio, intuendo la risposta che la natura mi fornirà. Effet�tuo in tal modo quella che mi piace definire come una sensata esperienza. Perché spoglio i feno�meni dagh impedimenti estemi». «Può chiarire questo punto? Cosa indente per "impedimenti estemi"?» «I fenomeni naturali dipendo�no da numerosi parametri, essen�do govemati da molte variabili. Alcuni di questi parametri sono essenziali. Gli altri, quelli secon�dari, sono di disturbo e vanno eliminati se desideriamo com�prendere. Formulare la giusta domanda, interrogare la natura, consiste proprio in questo: indivi�duare gli impedimenti estemi e poi spogliare da essi il fenomeno. Guardi, ecco un esempio: consi�deri il principio d'inerzia. Solo se eliminiamo gh attriti, che rappre�sentano il fattore secondario, pos�siamo interrogare la natura attor�no al fenomeno essenziale; e scoprire in tal modo che i corpi non soggetti a forze si muovono di moto rettilineo e uniforme». «Ho capito, professore. Ma poi? Una volta formulata la do�manda, una volta realizzata quel�la che lei chiama la "sensata esperienza", in che lingua ci ri�sponde la natura?» «L'universo è un libro scritto in lingua matematica. I suoi ca�ratteri sono triangoli, cerchi e altre figure geometriche. Deve sapere, giovanotto, che non si può comprendere il libro della natura se prima non si impara a intendeme la lingua. Dobbiamo conoscere i caratteri con i quah esso è scritto. Se non si conosce la matematica, la natura assume l'aspetto di un oscuro labirinto». «Il linguaggio matematico è la sua specialità, professore. Lei é stato per molti anni docente di matematiche a Padova, non é vero?» «Già, insegnavo a Padova, do�ve mi era concesso di condurre le mie ricerche senza impedimenti di sorta! La Repubblica mi con�sentiva di sviluppare quelle inda�gini sulla caduta dei gravi con cui confutai le teorie aristoteliche. Gh stessi studi che, perfezio�nati e arricchiti, ho poi inserito nei "Dialoghi intomo a due nuo�ve scienze"». «Dopo il periodo padovano de�cise di trasferirsi a Firenze, pres�so la corte medicea. Come accol�sero i filosofi e i matematici fiorentini il suo telescopio e la nuova visione del cielo che offri�va?» Lo scienziato accompagnò la risposta con una sonora risata. Una risata sincera, priva di catti�veria: «Vede: credevano ai loro oc�chi, ma solo quando leggevano i libri di Aristotele. Nel telescopio non guardarono mai ma, anche se l'avessero fatto, non avrebbe�ro creduto. Si fidavano solo dell' autorità di Aristotele e di quello che stava scritto nei suoi libri. Ma se Aristotele, che fu un gran�de scienziato, avesse potuto dare un'occhiata al cielo attraverso il telescopio, ebbene io le dico che sarebbe stato entusiasta delle possibilità di indagine scientifica offerte da questo nuovo strumen�to. Se Aristotele fosse vissuto nella mia epoca avrebbe capito e condiviso il mio punto di vista». «Professore, chiedo scusa, é ora per me di far ritomo al mio tempo. Ho solo un'ultima doman�da che fatico a porle. Perché l'abiura?» Sorrise, sinceramente com�mosso, annuendo impercettibil�mente: «Come molti anche lei non ha capito i motivi che mi hanno spinto all'abiura. Qualcuno ha convinto il Papa che, con i "Massi�mi Sistemi", avessi inteso metter�lo in ridicolo. Mi hanno mostrato gh strumenti: questo é vero. Il dolore fisico mi fa paura! Ma la verità é un'altra. Ho deciso di non fare l'eroe perché mi fanno sorridere gh eroi! Deve sapere, caro giovanotto, che la ricerca scientifica aveva bisogno dei "Dialoghi" e non deUe mie cene�ri». Si chinò e riprese i suoi esperi�menti con il piano inclinato: la sua attenta lettura del libro della Natura. Bibliografia: Enrico Bellone, «Caos e armonia; storia della fisica modema e contempora�nea», Utet, Torino 1990; Bertolt Brecht, «Vita di Galileo», Einau�di, Torino 1994; http://es.rice. edu:80ZESZhumsocZgalileo ; Gior�gio Spini. «Galileo Campanella e U "divinus poeta"». Il Mulino, Bologna 1996; Giuliano Toraldo di Francia: «L'indagine del mon�do fisico», Einaudi, Torino 1976. Maurizio Dapor «Non basta osservare, dobbiamo essere capaci di porci le giuste domande Per esempio il principio d'inerzia...» Galileo Galilei, nato a Pisa nel 1564, morto ad Arcetii nel 1642. Fu fisico, matematico o astronomo ed è considerato uno dei più grandi scienziati di tutti i tempi Scopri l'isocfonismo del pendolo, nel 1609 mise a punto il suo primo cannocchiale per osservazioni astronomiche: fu docente di matematica a Pisa e a Padova

Persone citate: Bertolt Brecht, Einaudi, Enrico Bellone, Galileo Campanella, Galileo Galilei, Giuliano Toraldo, Massi, Maurizio Dapor