L'acqua, l'acqua la vien...

L'acqua, l'acqua la vien... L'acqua, l'acqua la vien... L'Italia unita incomincia dalle inondazioni: dal Tevere che straripa per Roma capitale al Po di Bacchell PARE che le unioni bagnale siano le più fortunale: l'Ita�lia, negli anni del suo farsi, come Stalo nazione che met�te insieme gli sparsi pezzi della Penisola, sta spesso con i piedi a mollo. Dopo le grandi gelale napo�leoniche, la restaurazione porla con sé un gran cadere di pioggia e alluvioni che si prendono le cam�pagne. Quella del 1839 che mette in ginocchio la Lombardia è stata pressoché scordala mentre ciucila di vent'anni dopo intrecciandosi con le operazioni militari della guerra d'indipendenza è ram�mentata soprattutto dagli storici militari, Piene memorabili si registrano nell'autunno del 1868 mentre a salutare l'avvento di Roma a nuo�va capitale del regno provvede una bella alluvione con cui il Tevere nel 1870 va a lambire molti palazzi romani. Ma è soprattutto nel 1872 che il Po sembra dichiara�re guerra al territorio circostante: a partire dalla larda primavera di quell'anno, con il traumatico rom�persi delle difese a protezione di Guardia Ferrarese, la piena si pren�de oltre 70.000 ettari. (ili straripamenti non cessano neppure nel corso dell'estate trasformandosi poi, nel corso dell'aulunno, in una apocalittica alluvio�ne che sommerge vastissime aree della Padania. E' la piena di cui racconta Riccardo Bacchelli ne «Il mulino del Po»: «Vedeva il fiume circondare una casa di contro la rolla, i conladini sbucare dal comi�gnolo sul letto, come formiche da un formicaio. Un rombo cupo, simile a tuono in distanza, ma vicino invece e continuo, che pare�va espresso dalla terra, da caterat�te profondate sotto i piedi, introna�va l'aria, sommesso e terribile. tremava l'aria, tremava il suolo. L'acqua, l'acqua gridavano r la vien l'acqua, la vieni». in quell'anno si registrano tanto per capirci-ben 151 slraripamenti da una ventina di corsi d'acqua: il Ticino rompe gli argini nell'agosto, nelle settimane succes�sive le piene colpiscono il Milane�se, il Piacentino, il Mantovano e il Modenese. Fra l'Oglio e il Mincio vanno sott'acqua 14.500 ettari, fra il Croslolo e Secchia 26.000, fra Secchia e Panaro 60.000. Il succedersi di questi disastri diffonde nell'opinione pubblica del Paese, appena unificato, un presagio luttuoso, quasi che i nuo�vi governanti fossero responsabili della calamità. Scrive sempre Bacchelli: «Gli antichi governi sulle Alpi e sull'Ap�pennino avevano mantenuto leggi e guardie rigorose, perché il taglio dei boschi tanto pubblici che privati non li distruggesse. Li protegge�va anche il difello, in ciò benefico, di strade, trasporti e commerci in montagna... Fatto sta che in pochi anni fu distrutto quel che vuole lustri e decenni a essere rifatto: l'antico bosco Appennino divenne tutto una frana e un tristo e sterile scoscendimento d'argille. Diceva�no che ne risentisse perfino il clima generale... ma si fece sentire più gravemente e subilo nei fiumi, colle piene ogni anno più rabbiose e rovinose». Italia bagnala ma assai poco fortunata, dunque. Anche se sem�bra che col passare dei secoli proprio questo sia il suo destino, ribadito dall'intensificarsi delle piene. Teresa Isenburg nel suo bel saggio uscito nel documentatissimo volume «Uomini e acque», Giona editore, scrive: «Le piene del Po andarono, peri-vari secoli, crescendo: se nel XVIII si riteneva che nessuna di esse avesse supera�to i 7000 metri cubi al secondo, nel XIX ben quindici oltrepassarono tale soglia (ma nessuna oltrepassò quella degli 8000 metri cubi al secondo), mentre nel XX secolo sette salirono al di là di quel limite e una, quella del 1951, oltre i 12.000». «Il signore delle acque» che nell'Ottocento propone e dispone circa il corso dei fiumi, a comincia�re da quello del Po, è Elia Lombardini, ingegnere e severo funziona�rio che ha cominciato la sua carrie�ra a Milano nell'efficiente ammini�strazione del Genio civile austro�ungarico. Suoi scritti sul grande fiume e sul sistema idrografico della pianura padana costituisco�no parte di quelle «Notizie natura�li e civili sulla Lombardia» volute da Carlo Cattaneo in occasione del congresso degli scienziati italiani riuniti a Milano nel 1844. Sia questi scritti che la fase iniziale dell'attività di Lombardini sono segnati dall'indelebile espe�rienza della piena dell'autunno del 1839 quando le acque del Po permangono sopra il livello di guardia per ben settantacinque giorni. Lombardini conclude la carriera come presidente onorario della Commissione Brioschi, istitu�ita nel 1873 dal ministro dei lavori pubblici De Vincenzi poiché, spiega il responsabile del dicastero che s'occupa dell'assetto del territo�rio, «i disastri delle numerose rot�te avvenuto nell'anno decorso han�no ingenerato nell'animo di molti il dubbio che ormai il sistema delle antiche difese non più risponda alle trasfonnate condizioni del re�gime idraulico dell'intero bacino del Po». Le trasfonnazioni sono interve�nute anche per il fortissimo impat�to della rete ferroviaria e viaria che sin dai primi anni dell'unifica�zione viene messa sollecitamente in cantiere lungo il territorio pada�no. E' tanta la fretta dettata anche dalla necessità di meglio unificare territori che sino a pochi anni prima appartenevano a Stati diversi che ancor prima di realiz�zare i ponti in ferro o in muratura si provvede a manufatti provviso�ri realizzati col legname che giun�ge dall'Istria, dal Tiralo e dal Cadore. Tutti territori che appartengo�no all'imperatore di Vienna e, in�fatti, la guerra del 1866 creerà non pochi problemi in questo fervore di attività. Comunque sul Po, nel giro di pochi decenni i sedici ponti fissi dislocati tra Torino e il delta, si moltiplicano imponendo un riracdellamento talvolta radicale del�l'alveo del fiume. Gli ingegneri che pianificano questi interventi si riconoscono per lungo tempo nel�l'impostazione di Lombardini. Fa�vorevoli dunque a «fasciare il fiu�me di un abito stretto». Vale a dire far filare velocemen�te le sue acque, strette tra argini poderosi, verso il mare. A fame le spese sono le golene vale a dire le aree adiacente al corso di magra del fiume destinate ad essere inon�date in case di piena. Il termine, non a caso, è un «desaparecido» nel nostro lessico attuale. Una scomparsa avvenuta parallelamente al dimezzamento delle superfici golenali che nel 1878 si prendevano, nell'area pa�dana, 24.500 ettariNel 1992 ne occupavano 12.500. DA LEGGERE Riccardo Bacchelli Il mulino del Po Mondadori, Milano 1957 Giorgio Bigatti (a cura di) Uomini e acque Giona editore. Lodi 2000 IM'IH Riccardo Bacchelli: nel suo «Mulino del Po» l'inondazione del 1872