Messina, retata ull'Università di Fabio Albanese
Messina, retata ull'Università Messina, retata ull'Università «Laureati, ma con l'aiuto del boss» Fabio Albanese MESSINA Professori minacciati o collusi, stu�denti senza futuro che avanzavano nella loro camera universitaria a suon di milioni, politici spregiudicati e senza scrupoli. E mafiosi, tanti, tutti calabresi, tutti provenienti dalle fila di quella 'ndrangheta che, per dirla con le parole degli investigatori, «ave�va esteso all'Università di Messina le sue ramificazioni criminali». Per sedi�ci anni è andata così. Nell'ateneo, che due anni e mezzo fa è salito all'onore della cronaca per l'uccisione di un suo docente, Matteo Bottari, il corso di studi era «cosa loro», la gestione ammi�nistrativa e i contatti con il mondo politico avvenivano sulla base di patti scellerati quando non addirittura di intimidazioni e attentati. Ieri mattina la polizia ha stretto il cerchio e ha portato in carcere venti�sei persone tra mafiosi, medici e pro�fessionisti, rintracciate a Messina, ma anche nelle tante piccole capitali cala�bresi della 'ndrangheta, Bovalino, Afri�co, Seminara, Bagnare, e in Lombar�dia. Ad altri quattro l'ordinanza di custodia firmala dal gip Alfredo Sicu�ro su richiesta dei sostituti della Dire�zione antimafia messinese Vincenzo Barbaro e Salvatore Laganà, è stata notificata in carcere. Altri sette sono ancora latitanti. Le accuse sono pesan�ti: associazione mafiosa finalizzata alla compravendita di esami e al conseguimento di titoli accademici, alla ricettazione e falsificazione di documenti e timbri della pubblica amministrazione. Per alcuni c'è anche il traffico di droga e la detenzione di armi. Tra gli arrestati cinque medici, nomi noti in città come l'odontoiatra Alessandro Rosaniti, finito in manette con il fratello e un cugino; i fratelli Felice e Francesco Stelitano, il gineco�logo Raffaele Gordiano, ex consigliere provinciale; come Carmelo Patti, pri�ma nel Cdr poi in An e quindi destitui�to dal Prefetto, che avrebbe smosso mari e monti per far avere ad una giovane laureata «un posto di sottogo�verno». Altre 79 persone risultano indagate, tra queste diversi docenti universitari che, alle minacce, avreb�bero preferito il quieto vivere della collusione. «Abbiamo scoperto un'as�sociazione per delinquere che fa capo al professore Giuseppe Longo, collega�ta alla criminalità organizzata, che ha condizionato pesantemente la vita dell'università», spiega il procuratore Luigi Croce, mandato in città due anni fa, all'indomani dell'esplosione del caso Messina che travolse non soltan�to i vertici universitari, ma anche quelli del palazzo di giustizia. Un'inchiesta difficile, fatta di inter�cettazioni, pedinamenti, riprese filma�te, senza il minimo contributo di pentiti. «1 settori di intervento della banda erano tre spiega Croce -: l'intimidazione nei confronti dei do�centi, alcuni dei quali collusi, il condi�zionamento della gestione ammini�strativa, dalla Casa dello Studente all'Opera universitaria e i collegamen�ti con la politica, ed il traffico di stupefacenti». La banda è quella della 'ndrangheta che fa capo a Giuseppe Morabito, latitante, noto con il sopran�nome di «Tiradritto» per la sua deter�minazione. Con le buone o con le cattive, i suoi uomini convincenvano i docenti, soprattutto quelli delle facol�tà di economia e commercio, giuri�sprudenza e veterinaria, a promuove�re o a dare buoni voti agli studenti segnalati; sotto controllo c'erano pure gli accessi alle scuole di specializzazio�ne; riuscivano persino a mettere i propri uomini nei consigli d'ammini�strazione degli organismi universita�ri. Ateneo e Casa dello Studente, inol�tre, erano centro di traffico di stupefa�centi e nascondigho di armi. Nelle 241 pagine dell'ordinanza sono citati decine di episodi; alcuni risalgono ad appena pochi giorni fa, segno che le attività sono proseguite indisturbate nonostante dal '98 sul�l'università si fossero accesi i riflettori della magistratura e quelli della com�missione parlamentare antimafia. «Ma ora non parlate più di verminaio chiede il procuratore Croce -, è un termine che offende profondamente i messinesi onesti». La polemica politi�ca è insomma già infuocata e coinvol�ge persino il quotidiano cittadino. Il segretario siciliano di rifondazione comunista Francesco Forgione ricor�da che «appena una settimana fa Gianfranco Micciché, a nome di Forza Italia, voleva chiudere il caso Messina chiedendo alla commissione antima�fia di pentirsi del suo operato». Da An, i deputati Enzo Fragalà e Nino Lo Presti, invitano la commissione ad occuparsi piuttosto dell'inchiesta pa�lermitana «sugli intrecci tra mafia e coop rosse». Ma il presidente dell'anti�mafia, Beppe Lumia, promette: «Il caso Messina non è chiuso e la com�missione continuerà ad occuparsene». L'odontoiatra Alessandro Rosaniti (il quinto da destra, seduto), a un matrimonio dell'Bl. Gli cinge le spalle il boss Domenico Cavò
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