LA STRADA E IL COMPUTER

LA STRADA E IL COMPUTER LA STRADA E IL COMPUTER Mare» Belpoliti NEL 1967, anno di pubblica�zione di tetterà a una pro�fessoressa, la maggior par�te degli attuali insegnanti italiani frequentava la scuola me�dia. La gragnola di colpi che i ragazzi della Scuola di Barbiana facevano cadere sulla testa della "Cara signora" non li riguardava direttamente. Trent'anni dopo quegli studentelli sono in catte�dra. Nel periodo di tempo in cui si sono laureali e hanno preso il posto della Professoressa, andata più o meno tranquillamente in pensione, il mondo è completa�mente cambiato. Il corpo docente italiano alla prova dei fatti non meno dotato per capacità didatti�ca e preparazione culturale di quello di altri paesi è in profon�da crisi, come dimostra lo sciope�ro di questi giorni. E' una crisi le cui radici affondano nella società italiana, poiché nessuna scuola al mondo esiste separata dalla socie�tà che l'ha voluta e prodotta. Due libri apparsi nell'ultimo anno esemplificano perfettamen�te le difficoltà, i problemi e le incerte prospettive del mestiere di insognante. li primo l'ha scritto Marco Rossi-Doria e s'intitola Di mestiere faccio il maestro (L'Anco�ra, pp.I78, L. 18.000); ilsecondoè di Domenico Parisi, Scuola@.it (Mondadori, pp.240, L. 32.000). Rossi-Doria ha 46 anni ed è maestro di strada. Insieme ad Angela Villani ha croato a Napoli il progetto "Change", il cui scopo è quello di trovare un rimedio al fenomeno della dispersione scola�stica nel ciclo dell'obbligo. RossiDoria non ha una classe, ma ogni giorno va a cercare i ragazzi nei vicoli, per le strade, parla con genitori, insegnanti, presidi. La storia di questa singolare, affasci�nante e difficile esperienza educa�tiva ò stata raccontala con effica�cia da Paola Tavella in Gli ultimi della classe (Mondadori, pp. 174, L. 28.000). Quello del maestro napoletano è insieme un diario, un libro di saggi, una riflessione sul mestie�re di insegnante. Parte da una domanda: perché ho scelto que�sto mestiere? Le risposte che s�dà sono diverse, ma ruotano tutte intomo a un perno affettivo: per essere vicino alla mia infanzia, perché sono interessato all'aspet�to emotivo delle cose, perché mi piace. Spesso, scrive, gli insegnan�ti non partono dalle esigenze dei ragazzi ma dal loro orario catte�dra; la scuola italiana è per molli aspetti una realtà autoreferenzia�le. Egli enuncia tutta una serie di diritti dei ragazzi: diritto all'ascol�to, all'accoglienza, al gioco, all' espressione, alla memoria perso�nale e famigliare, alla vita all'aper�to, ecc. Le pagine più belle sono quelle in cui l'autore dà forma a quella sensazione di caos e flusso mag�matico che prende ogni insegnan�te quando arriva in classe per fare lezione. Da un lato, c'è l'inse�gnante col suo bisogno di regola�mentare gli alunni, dall'altro, il flusso vitale dei ragazzi e degli adolescenti che rompe ogni argi�ne e sfugge al controllo. La scuo�la, le strutture, le forme e gli stessi colori dell'aula quel grigino dei muri sembrano fatti apposta per rassicurare l'inse�gnante non certo per favorire il benessere psicologico dei ragazzi. Certo, Rossi-Doria è un mae�stro anomalo, un po' psicologo e un po' docente, un po' nomade e un po' stanziale, ma è bello legge�re che per fare scuola ai ragazzi dei quartieri spagnoli di Napoli, non ci vuole solo o tanto cultura e intelligenza, ma quella "preziosa dote umana che è l'incontro con l'altro da sé, una dote che è forse un dono". Se è evidente che non si può chiedere a tutti di essere così. tuttavia Rossi-Doria dice cose importanti per tutti quelli che insegnano. Per esempio, che il modello di fissare obiettivi, valu�tare i risultati e stabilire nuovi obiettivi è meccanico, incapace di far fronte alla complessità del�la realtà, dato che "spesso nella realtà, prima si prende la decisio�ne e poi si cerca l'informazione necessaria a giustificare quella decisione". Il che non significa tornare all'improvvisazione, ma tenere conto di quell'impondera�bile che la realtà contiene in cos�grande dose. In effetti e qui sta il succo del suo libro l'insegnante è uno che alla pari dei suoi allievi si doman�da ogni giorno: chi sono io? Il senso di quell'arte, o mestiere, consiste, scrive, "nel mettersi in gioco tutti i giorni con i bambini". Una cosa faticosa, ma necessaria. Egli arriva a scrivere che non è indispensabile fare gli insegnanti tutta la vita, ma che, a un certo punto, ognuno può dignitosamen�te lasciare la scuola e occuparsi d'altro, e quelli che restano devo�no "avere un sostanziale migliora�mento economico che sancisca, con un nuovo patto, che si tratta di una risorsa preziosa per tutta la società, di una sponda adulta competente che supporti la no�stra infanzia e la nostra adole�scenza in un paesaggio distratto e complesso, in cui è difficile guida�re la crescila dei più piccoli". L'analisi di Rossi-Doria è im�pietosa, ma ricca anche di speran�ze per chi in quel mestiere ci crede. Il bello è che in tutto il libro non c'è una sola riga sui cosiddetti "contenuti", ma solo e sempre sul modo con cui si inse�gna. Anche il libro di Domenico Parisi è un libro metodologico, anzi, a essere esatti, è un libro sui cambiamenti metodologici che l'introduzione del computer por�terà nella scuola. La sua ipotesi che l'attuale figura dell'insegnan�te è destinata a scomparire. Egli ci ricorda un monumento del Trecento nella cattedrale di Pisto�ia, la tomba di Gino da Pistoia, giurista e poeta, dove si vede Gino dietro una cattedra di fronte agli studenti seduti nei loro banchi: è quello che si vede ancora oggi entrando in un'aula scolastica. La scuola è cambiata, perché è cambiata la società. E se fino a ieri il suo compito principale era quello di trasmettere e conserva�re il passato, oggi il compito è quello di preparare i giovani alla società in cui sono destinati a vivere. Tuttavia la scuola attua�le, scrive Parisi, svolge male en�trambi i compiti. Perché? Prima di lutto, il lin�guaggio verbale non è più il pila�stro della cultura cos�come della scuola. Se la scrittura e la stampa sono stati lo strumento formati�vo principale, la tecnologia basa�ta sulla visualità ha cambiato il nostro paesaggio mentale. Prima il cinema, poi la televisione, e infine il computer hanno messo al centro della nostra società il "vedere". La questione è stata ampia�mente dibattuta, e sono stati mes�si in luce i pregi e i difetti dell'at�tuale cultura visiva; certo, col computer è accaduta una cosa veramente nuova: le immagini in movimento del video sono inte�rattive e ci permettono di compie�re delle simulazioni, di rappresen�tare visivamente ipotesi fino a poco tempo fa solo "mentali". E' l'irrompere nel campo educativo e formativo degli aspetti legati all'azione, all'interazione con le cose, sia pure sotto forma virtua�le; è una forma di esperienza che sembra superare l'insegnamento fondato sulla lezione orale dell'in�segnante e quella scritta dei libri. L'altra grande critica che Pari�si muove alla scuola attuale è quella di fondarsi ancora su una cultura elitaria: la grande cultura della letteratura, della filosofia, della storia, dei grandi avveni�menti degni di essere tramandati, dell'arte e della scienza. La cultu�ra di massa, che nella sua forma attuale si fonda sui consumi di massa e sui mezzi di comunicazio�ne, ha vinto sulla cultura d'elite, cos�come la cultura popolare: "La cultura di massa è oggi la cultura dominante e la massa non ha alcuna intenzione di farsi inse�gnare la cultura d'elite trasmessa dalla scuola". Parisi non è tenero verso la cultura di massa, di cui segnala la mancanza di una vera forma critica e autocritica, tuttavia il computer per lui non corrisponde alla cultura di massa. Il personal computer favorisce il cambia�mento della slessa cultura di mas�sa in una fonna di crescita basata su un modello più individuale e democratico dell'attuale. Il com�puter è uno strumento interatti�vo e con il suo uso generalizzato si modifica l'insegnamento, che non può più essere disciplinare e fondato sulla realtà delle classi. La scuola attuale è un sistema educativo rigido; s'impara molto di più a casa, nelle strade, da Internet, dai CD rom, e persino dalla televisione. L'apprendimen�to diventa flessibile e l'insegnan�te una variabile dipendente. Pari�si è drastico: il problema attuale della scuola non è quello di forma�re e selezionare, aggiornare e pagare meglio gli insegnanti, ma di superare la vecchia figura dell' insegnante e sostituirla con una nuova serie di professionisti: gli esperti che progettano e reahzzano i nuovi sistemi tecnologici per la formazione educativa; i tecnici che fanno funzionare le tecnolo�gie a livello delle singole realtà scolastiche; gli insegnanti intesi più come tutor che come docenti vecchio stile, che guidano il rap�porto tra i ragazzi e le tecnologie, e tra gli studenti stessi; gli inse�gnanti che si occupano dello svi�luppo psicosociale degli studenti; gli amministratori e gestori delle nuove organizzazioni dell'educa�zione. La scuola slessa non potrà più essere organizzata in classi e in sezioni, ma, come già accade in alcune realtà della scuola elemen�tare più avanzata, per moduli di lavoro. Tutto questo discorso è fonda�to sull'idea che il computer modi�fica la nostra capacità di percepi�re la realtà, di rapportarci con essa, di conservare la memoria individuale e collettiva, e soprat�tutto il nostro modo di pensare e creare, cioè la nostra mente. Ci sono molte ragioni per rite�nere che quello che scrive Parisi sia vero, che cioè gli "artefatti cognitivi" abbiano modificato il nostro modo di pensare e che il computer sia un indispensabile interfaccia tra noi e la realtà. La stessa definizione di "realtà" è da estendere a tutto ciò su cui agia�mo e che risponde alle nostre azioni, per cui la realtà virtuale è già tutti gli effetti una "realtà". L'apprendimento fondato solo sul linguaggio, dice l'autore, ci forni�sce una visione limitata del reale, si fonda troppo sulla memoria, richiede capacità di astrazione e di manipolazione mentale di sim�boli che non tutti possiedono ed elevate capacità linguistiche che non tutti riescono a raggiungere; infine, presuppone un buon livel�lo di motivazione e insegnanti bravi e motivati. Tra il libro di Rossi-Doria e quello di Parisi corre un sottile filo: entrambi pensano che la nostra scuola abbia bisogno di forme espressive, di esperienze, che non risiedono solo nel lin�guaggio verbale o logico, ma an�che nel sentimento (Rossi-Doria) e nell'interattività (Parisi). Parisi, che è uno psicologo che si occupa di "Sistemi intelligenti" presso il CNR, e ha insegnato nelle univer�sità italiane e americane, punta sulle macchine e sulle loro logi�che creative; Rossi-Doria, di for�mazione sociale e politica, fa leva su quel sistema emotivo-senti�mentale che è l'uomo. Dove è il punto d'incontro? Nell'idea che il processo di ap�prendimento è in realtà un auto�apprendimento in cui occorrono tecniche diverse da quelle in uso oggi nella nostra scuola. Il centro del progetto educativo è lo studen�te, non la struttura scolastica. Non ha più senso un percorso formativo identico per tutti: lo studente non è un vaso vuoto da riempire, scrive Parisi con una efficace metafora. Cosa c'entra tutto questo con gli insegnanti in crisi della nostra scuola? Il loro futuro è cos�incer�to da giustificare lo stato di avvili�mento e depressione in cui si trovano molti di essi? La risposta non è facile, perché certamente sia Rossi-Doria che Parisi metto�no bene in luce, partendo da punti di vista diametralmente opposti, la crisi in cui versa la nostra scuola e chi vi lavora. Ma poiché, come ci insegna Parisi, la realtà è complessa, oltre che com�plicata cioè obbedisce contempo�raneamente a regole e sistemi normativi diversi e interagenti -, il problema non può essere ridot�to a una semplice risposta. Intanto, chi vive e lavora nella scuola sa che la realtà è contrad�dittoria, che il mestiere di inse�gnante è un'attività altamente stocastica, che la formazione che si è ricevuta non è sempre all'al�tezza delle situazioni, che l'aspet�to psicologico è decisivo, ma che non esiste un modello preciso a cui conformarsi. Di mestiere fac�cio il maestro è esplicito in meri�to, dal momento che racconta non tanto un'esperienza ma i pensieri, a volte contraddittori, che l'esperienza scolastica stessa produce. Ed è interessante che un uomo, un insegnante, che vive un'esperienza limite nell'istituzio�ne scolastica continui a mulinare intomo a quello che è il centro della scuola stessa il processo coeducativo tra adulto e bambino senza mai definirlo una volta per tutte. Con ogni probabilità le macchi�ne, i personal computer, risolve�ranno molti dei problemi della scuola, compreso quello del suo cambiamento, ma il "fattore uma�no" resta quello decisivo. Un maestro e uno psicologo denunciano la crisi di un sistema formativo avulso dalle trasformazioni emotive e tecniche della società italiana Sulla scuola italiana, sulla sua nuova organizzazione dopo la riforma, sul funzionamento e 1 problemi è uscita in questi giorni una nuova edizione aggiornata dell'agile volumetto del sociologo Marcello Dei, «La scuola in Italia», Il Mulino (pp. 127, L. 14.000), che si affianca a un altro libro-guida pubblicato in luglio dall'editrice bolognese, «Professione insegnante» (pp.119, L. 15.000). Due altri titoli alimentano la discussione in corso: «Sulla scuola» di Antonio La Penna (Laterza, pp. 160, L. 18.000) e la riedizione aggiornata di un libro che ha suscitato due anni fa accese polemiche, «Segmenti e bastoncini» di Lucio Russo (Feltrinelli, pp. 176, L.12.000), decisamente contrario alla riforma Berlinguer, accusata di allineare la scuola italiana sugli standard americani. Di parere opposto lo psicolinguista Franco Antinucci in «Computer per un figlio» (Laterza, pp. 139, L. 20.000) sostiene le ragioni delle nuove tecnologie, mentre il linguista Raffaele Simone in «La Terza Fase» (Laterza, pp.152, L 22.000) esamina le forme di sapere che stiamo perdendo e le nuove che stiamo acquistando. «Lettera a una professoressa» è edita dalla Libreria Editrice Fiorentina. Anche gli scrittori-insegnanti hanno dato un contributo: Laura Pariani ha pubblicato di recente un romanzo breve su una maestra lombarda dell'Ottocento, «Il paese delle vocali» (Casagrande, pp. 116, L. 20.000), mentre sarebbe bello veder ripubblicato il romanzo scolastico fine Anni 70 di Paolo Tebaldi, «Scala di Ciocca» (EDES), ambientato in Sardegna.

Luoghi citati: Italia, Napoli, Pistoia, Sardegna