«Arafat, tutto o niente non funziona» di Fiamma Nirenstein

«Arafat, tutto o niente non funziona» MEIR MARGALIT DIRIGENTE DI MERETZ, NON PERDE LA SPERANZA «Arafat, tutto o niente non funziona» Il leader dei pacifisti israeliani: ecco la via d'uscita intervista Fiamma Nirenstein GERUSALEMME EIR Margalit, uno dei capi del Meretz, il PartiIto Radicale, ieri sera è tornato in piazza a Tel Aviv per la pace. Una manifestazione sofferta. Ci vuole un bel corag�gio dopo tutto quello che è successo in questi giorni, dopo le manifestazioni di odio dei palestinesi, gli spari degli israe�liani, i bambini morti, i soldati linciati. Eppure Meir Margalit, 48 anni, membro della direzio�ne del suo partito, consigliere comunale di Gerusalemme, pen�sa che la strada di Shalom Achshav, Pace Adesso, sia anco�ra aperta. E' già il momento, tuttavia, di convocare la gente a manifestare? «Con aspettative limitate, con pazienza e con modestia, è un dovere immediato: Yael Dayan, Uri Avneri, tutti gli speaker della pace infatti già sono torna�ti a cercare di riconquistare il pubblico deluso e sfiduciato..». Il pubblico? E lei personal�mente, che ha dedicato tut�ta la vita alla lotta per la pace, non ha ricevuto un vero pugno nello stomaco quando dalle immagini da Camp David, con tutti i salamelecchi fra Barak e Arafat, si è passati agli scontri, e che scontri? «Nei primi tre giorni avrei volu�to sparire, ero depresso, deluso, pieno di interrogativi sulla mia stessa esistenza. Ci sentivamo falliti. Avrei voluto prendere Arafat faccia a faccia e dirgli: "Ti prego, prendi quel 92 per cento di West Bank che Barak ti offre. Lo so, non è tutto quello che ti spetta..."». In che senso? «Nel senso che io sono per restituirgli il 100 per cento della West Bank; ma, pragmaticamente, questa resterà per molto tempo la migliore di tutte le offerte possibili, e Barak il migliore dei Primi Ministri pos�sibili... Quindi Arafat, doveva accettare. Oltretutto ci sono molti documenti che dimostra�no che anche sul Monte del Tempio era pronto un accordo possibile» Magari possibile, ma non quello che Arafat voleva: è Barak gliel'ha posto come un accordo definitivo, che toglieva ai palestinesi la possibilità di avanzare nel tempo altre richieste. «Io, ripeto, avrei accettato..Defi�nitivo è un aggettivo che in politica non esiste. E questi moti possono diventare per Ba�rak quello che gli autobus esplo�si furono per Peres: il segno che è in arrivo un Netanyahu. Ma qui viene il punto: anche se Arafat ha tradito la fiducia nata con l'accordo di Oslo, anche se ha sollevato il suo popolo, an�che se ...tutto quello che vuole, tuttavia resta il mio vicino, il mio interlocutore. Mi piacereb�be fare la pace con il Canada, o con l'Italia. Invece la devo fare col mondo arabo. C'è un fatto sorprendente nei sondaggi di questi giorni: ancora il 69 per cento della popolazione tiene per la pace. Quindi, tornare in piazza sia pure in piccolo, non in Piazza Rabin ma di fronte al Museo di Tel Aviv, si può, di deve». Si può, va bene, si deve: ma servirà ancora a qualcosa? Quando ha visto i corpi dei soldati linciati sbranati e lanciati dalla finestra, cosa ha sentito? «Tutto quello che si può immagi�nare: rabbia, voglia di piangere, disgusto. Sono corso a le nostre postazioni di propaganda in cen�tro, a Gerusalemme, e le ho fatte sgomberare in fretta e furia mentre la gente d'intorno già cominciava a insultarci, a mandarci via. Mia moglie mi ha detto mentre uscivo: eccoli i tuoi amici palestinesi, guarda cosa fanno. Il telefonino già squillava: erano, appunto, i miei amici palestinesi di Ramailab o di Gerusalemme che mi volevano dire: mi vergogno...» E come si sente adesso quando li incontra? E' pron�to a lottare al loro fianco? «L'ultima riunione che abbiamo tenuto insieme all'Orient Hou�se, a Gerusalemme Est, con Feisal Husseini, Ziad Abu Ziad ed altri leader è stata molto difficile. Per due ore abbiamo parlato, e per la prima volta nella mia vita non mi hanno offerto neppure il caffè». Lei gliel'avrebbe offerto? «Certo che sì: magari sono più politico. Di certo, se ora incon�tro Arafat, cosa che accade spesso, non lo bacerò tre volte sulle guance come vuole la con�suetudine. Mi limiterò a strin�gergli la mano». Eppure, è di nuovo in piaz�za. «Vede, il campo della pace è ora in difficoltà per due ragioni. La prima è che noi siamo un grup�po pragmatico,non ideologico: è difficile sostenere la pace quando Arafat fa il giuoco del "tutto o niente". Deve tornare alla politica, senza stare a sban�dierare tutto il tempo le sue ragioni, e come dicevo, capire che Barak è per lui il migliore degli interlocutori possibili. Ep�pure lui stesso lo sta distruggen�do o costringendo a un governo con il Likud, che noi non accet�teremo mai. La seconda ragio�ne, è che Arafat ha preso-nelle sue mani la bandiera islamica religiosa, le Moschee, il destino scritto nel Corano...Ma questo non è, evidentemente, un cam�po in cui lo possa seguire il movimento pacifista laico e di sinistra. Siamo di fronte a dei cambiamenti di rotta del campo palestinese, e dobbiamo stare attenti che questo non sconcer�ti il nostro campo». E come intendete fare? «Restando pragmatici e laici. Dicendo a Barak: lascia perdere quel Monte del Tempio, o delle Moschee che dir si voglia. Fra tre generazioni, i nostri nipoti rideranno della questione della bandiera che deve sventolare là sopra. Dicendo a Arafat: prendi il massimo, ma non chiedere tutto o non avrai nulla. Dicendo a tutti e due: sedetevi al tavolo della pace, conviene a tutti». «Anche se il leader palestinese ha tradito la nostra fiducia, resta l'unico interlocutore possibile»

Luoghi citati: Canada, Gerusalemme, Gerusalemme Est, Italia, Oslo, Tel Aviv