KOSTUNICA «La via serba alla democrazia» di Giuseppe Zaccaria

KOSTUNICA «La via serba alla democrazia» KOSTUNICA «La via serba alla democrazia» Giuseppe Zaccaria inviato a BELGRADO IL palazzo della Presidenza fede�rale è forse il maggior monu�mento a quella Jugoslavia giu�rassica che s'è dissolta appena sette giorni fa. Costruito negli Anni 50 in un profluvio di marmi e imponenza socialista, fu breve�mente occupato da Tito, poi da un certo Zoran Lilio. Milosevic non ci mise mai piede, preferendo i fasti di Beli Dvor, U Castello Bianco. Adesso il professor Vojislav Kostunica vi si è installato con un picco�lo «staff» di segretarie e come un pazzo lavora alla rivoluzione paci�fica del Paese, sorvolando sul fatto che l'indirizzo ufficiale di questo posto sia ancora «bulevar» Lenin numero tre. ^ Sul retro dello sterminato palaz�zo l'uscita secondaria si affaccia sulla Mihajla Pupina, strada dedi�cata al genio serbo delle telecomu�nicazioni. Facciamo dunque finta che la toponomastica belgradese sia già cambiata in attesa che (come sogna questo intellettuale e gentiluomo) possa mutare anche la mappa politica europea. Presidente Kostunica, i gover�ni occidentali esultano alia sua vittoria, ma ho l'impressio�ne che tutti i (deaders» si stia�no chiedendo: chi è veramen�te quest'uomo? «Penso lei abbia ragione e le confes�so che in qualche modo comprendo tanta perplessità. Io sono un serbo, sono un uomo di legge, sono un giurista sospinto verso le elezioni dall'emergenza politica e sociale. Sono un uomo votato alla legalità cui il proprio Paese ha dato credito. E adesso sono un Presidente che avverte questa responsabilità in maniera profonda: come vede, cre�do di rappresentare un personaggio atipico rispetto all'uomo politico tradizionale, almeno nel senso cor�rente». Corrente rispetto alla Jugosla�via di questi anni o anche al resto d'Europa? «Della Jugoslavia, di come la sua politica abbia degenerato parlere�mo fra breve, se permette ; bastereb�be dire che per troppo tempo questo Paese ha avuto bisogno di personag�gi carismatici, e io non lo sono affatto». E in Europa, invece? «Ecco, temo che potrei rivelarrai diverso anche nel mondo politico occidentale. Da studioso ho sempre pensato che nulla si possa compiere senza mantenere un forte senso della tradizione, che mi pare man�chi spesso nelle politiche occidenta�li. Intendo dire che, esattamente com'è inaccettabile restare schiavi della storia, prescinderne è impossi�bile. Non so se ricorda quella famo�sa frase di Richard Holbrooke...». Quale frase. Presidente? «Quella con cui l'inviato speciale americano a un certo punto disse che per la Serbia sarebbe stato tempo di dimenticare le dispute storiche. Qualche anno dopo credo che anche l'America abbia percepi�to lo spessore della storia misuran�dosi col problema del Kosovo». E lei, con quali problemi sente di doversi misurare? Prima delle elezioni, in un'intervista a «La Stampa» disse che biso�gnava trovare una strada in�termedia tra il Castello Bianco e la Casa Bianca L'ha trovata? «Chi occupava Beh Dvor è rimasto choccato da questa vittoria, chi tifa per la Casa Bianca sarà sorpreso. Io so soltanto che la gente di questo Paese mi ha votato perché avverte un grande, disperato bisogno di normalità ed è ciò che con le mie povere forze m'impegno a ottene�re». Ecco, Presidente: le povere for-: ze. Può descrivere lo stato d'animo di un professore, di un intellettuale, che di colpo si trova proiettato su uno sce�nario cos�diverso e complica�to? «Come raccontarlo... Attimi di verti�gine, momenti di paura ma anche il crescere di ima grande forza interio�re e della coscienza di fare la cosa giusta per il tuo Paese. Consideri soltanto un elemento: di soUto, per cambiare un Paese, un intero gover�no impiega qualche centinaio di giorni. Qui, anche.-.se c'è ancej^L. moltissimo da fare, un uomo solo, un presidente, sta vedendo una Serbia nuova,jib^gtfi dopo diga, anni dalle sanziòhPeconomicne,1 aperta alle libertà, riaccolta dalla comunità intemazionale, piena di giornalisti occidentah. Tutto in po�chi giorni». Quando ha capito che il potere del Faraone si stava sgretolan�do, quando ha sentito di aver vinto? «Quella notte a Belgrado... I risulta�ti delle elezioni erano netti, tanto chiari da non consentire ulteriori manovre o disperati maneggi. Cre�do che mai elezioni fossero state organizzate in una maniera più sbugiardamente sofisticata, perver�sa, condizionante. Ma quella notte è emersa ima forza inarrestabile, la vera identità di questa nazione, una corrente calma ma potentissima che nessuna forza umana avrebbe potuto fermare». Era la Serbia che si svegliava dopo tredici anni? «Forse dopo una cinquantina: da quel momento è stata la forza delle cose a cambiare il Paese». La forza delle piazze a distrug�gere il regime? «La forza della democrazia a ristabi�lire l'ordine ragionevole delle cose». E in quei momenti Slobodan Milosevic scappava al confine bulgaro, venivariportato aBelgrado in elicottero, finalmen�te l'incontrava. Dicono che quella sera l'ex presidente ab�bia tentato di trattare e poi sia crollato chiedendole protezio�ne. «Quell'incontro avveniva a quat�tr'occhi, senza testimoni o scorte né d^ parte mia ni da quella di Milosetòei;' Ciòcche è stato detto in quei momenti lo sappiamo in due, e tittto.qupl.che è stato raccontato è soltanto frutto di invenzioni e fanta�sie». Lo dica: davvero Milosevic le ha chiesto pietà? «Lo ripeto: si è trattato di un incon�tro chiaro fra due persone sedute in poltrona. In tutta la sua vita, Milose�vic mai aveva dimostrato tolleran�za verso le opposizioni: quella notte incontrava una persona che gli par�lava in toni calmi e su un registro completamente diverso. Forse per la prima volta quell'uomo avverti�va la forza di parole come maggio�ranza, democrazia, volontà del po�polo». E come ha reagito? «So soltanto che mezz'ora più tardi ha dettato alle agenzie di stampa una dichiarazione di riconoscimento della sconfitta». E adesso Slobodan Milosevic è ancora in Serbia? «L'ultima volta che l'ho visto, c'era sicuramente». Voci insistenti lo vogliono fug�gito ora in Russia ora in Cina... «Basta chiederlo a qualsiasi tassista belgradese, tutti conoscono il suo indirizzo in città». E lei, presidente, non teme una reazione, un colpo di coda del regime? «Io credo che Slobodan Milosevic sia stato sconfitto dai fatti, come forse direbbe lei, o come dico io, dalla storia. E' la storia, è la Serbia, è la lunga sofferenza di questo Paese che gli hanno detto che era tempo di andarsene», Il partito dell'ex presidente, però, r«Sps)), continua a rite�nersi parte importante della società jugoslava serba, vuole rientrare nel gioco politico. «Se l'Sps vuole continuare a prende�re parte alla storia di questo Paese, deve anzitutto liberarsi della "leadership" di Milosevic, ripulirsi dalle scorie, entrare a pieno titolo nel gioco della democrazia». Della democrazia serba, si�gnor presidente: perché sem�bra di capire che se qualche potere occidentale le chiedes�se formalmente la consegna di Milosevic all'Aja come condi�zione per gli aiuti... «Credo non si tratterebbe di un Paese che ha davvero a cuore la nostra rinascita. Perché nella Ser�bia e nella Jugoslavia di oggi una questione del genere non è certo la più urgente. Perché io sono soltanto il presidente e non certo il padrone del Paese. Perché bisognerebbe esa�minare attentamente la Costituzio�ne, che non credo dia il diritto di compiere simili passi. Perché una scelta del genere potrebbe mettere in pericolo una nascente democra�zia. E perché penso proprio che dinanzi a una richiesta del genere risponderei di no». E da giurista, non crede inve�ce che Milosevic, gli uomini del suo regime, possano esse�re sottoposti a giudizio di un tribunale serbo? «Se n'è parlato nel coordinamento delle opposizioni, ma da uomo che vuole sospingere il Paese verso la normalità ancora una volta devo dirle che non mi sembra il momen�to per pensare a simili cose. Al contrario, vorrei che dopo l'euforia della vittoria e della ritrovata liber�tà d'espressione anche le piazze, anche i "media" ritrovino equilibrio e misura». Questa mattina Giuliano Ama�to e Lamberto Dini saranno a Belgrado. Come si prepara que�sto incontro? «Come neo presidente le confesso che i meeting ufficiali con i rappre�sentanti di altri Paesi mi creano qualche preoccupazione. Ma se de�vo parlare con il Primo ministro italiano, mi creda, mi sento rilassa�to come alla vigilia dell'incontro con un amico». " «Consegnare Milosevic ai giudici dell'Aia non è certo la mia priorità Qualsiasi Paese abbia a cuore la nostra rinascita non dovrebbe chiederci una cosa del genere» «Non possiamo dimenticare la nostra storia L'inviato americano Holbrooke ci disse che avremmo dovuto scordarci il passato e poco dopo si trovò alle prese con la guerra in Kosovo» «Sono sempre preoccupato quando devo parlare con un leader straniero ma quando oggi vedrò il premier italiano Amato insieme col ministro Dini, sarò rilassato come tra amici» A Belgrado s�vende un ed coi tìtolo «Milosevic è finito». A destra, KostuniCa