La macchia sgjja Città Santa di Igor Man

La macchia sgjja Città Santa DIETRO LA RABBIA CHE INFIAMMA LA NUOVA RIVOLTA La macchia sulla Città Santa Unita dalla fede, troppo divisa dalla storia analisi Igor Man TRENT'ANNI fa a Gerusa�lemme conobbi un vecchio mercante palestinese. Diven�tammo amici: non volle vender�mi le solite «patacche», insistette perché accettassi un medaghoncino dov'era inciso in splendidi caratteri arabi «Allah ti pro�tegga». Portalo sempre con te, disse. Ma io non sono mu�sulmano, dissi. Con un sorriso di compatimen�to affettuoso: guarda che Dio è uno solo, cam�bia il modo di chiamarlo. Uno solo è il clemente e il misericor�dioso, il Dio che castiga ma perdona e che infine ti salva. Quel vecchio mercante è morto. Nel settempre del 1995 incontrai suo figlio, Ibrahim, cioè Abramo. Bevendo un tè alla menta, su di una terrazzina che apriva alla vista le pietre antiche di Gerusa�lemme, sotto il suo cielo casto prossimo a un tramonto dramma�tico, ci interrogammo sul destino di questa città: tanto amata, tanto desiderata, disperatamen�te contesa, finché Ibrahim: «Qui si giuoca il futuro dei nostri figli, qui si gettano i dadi con due sole facce: su una è scritto pace, sull'altra guerra. Finché non sa�rà risolta la questione di Gerusa�lemme non ci sarà pace quaggiù, ci ammazzeremo fra fratelli (mu�sulmani, ebrei); voi cristiani sta�rete a guardare e Dio sarà immen�samente triste», disse. Come pu�lirlo della tristezza?, dissi. Facen�do di Gerusalemme una città di Dio aperta a tutti, senza compar�timenti stagni, senza discrimina�zioni, senza armati in giro, disse Ibrahim. Il vescovo monsignor Vincen�zo Paglia citò questa parabola tabnudica: «Il Signore Iddio pre�se la bellezza e la divise in dieci parti: ne diede nove a Gerusa�lemme e una al resto del mondo. Poi il Signore Iddio prese il dolo�re e divise anch'esso in dieci parti. E di nuovo ne assegnò nove a Gerusalemme e una al resto del mondo». Come ha scrit�to Arrigo Levi, citando Rav Rosen, la parabola descrive la storia di Gerusalemme forse meglio di come la rappresentino i Salmi che esaltano la luce unica della «città della pace». Certamente Gerusalemme ha bisogno di Dio, del Dio della Pace. Se Dio non poserà la sua mano sulla città, essa sarà alternativamente un sogno metafisico un luogo di scontro. Stempre nell'occasione di quel dialogo interreligioso del '95, il cardinale Roger Etchegaray disse parole che voglio citare affinché ci aiutino a capire per�ché la città della pace ha mura intrise di sangue e vede, spesso, i figli del Dio unico ammazzarsi nel segno dell'odio più funesto. Disse Etchegaray: «Questa città porta i segni di lotte secolari. Le ferite di epoche diverse non si sono ancora cicatrizzate. Dobbia�mo purificare e riconciliare le nostre memorie, straziate da una Storia costellata di rivalità, di conquiste, di vendette. Dobbia�mo provare che siamo capaci di santificare Gerusalemme con la pace tra le sue mura». Insomma, tocca a chi crede dire alto e forte, senza stancarsi di ripeterlo, che è semphcemente mostruoso, blasfemo, giustifica�re atti di guerra con la fede. Non si deve uccidere, comunque, tan�to meno in nome di Dio, come le SS che per motto avevano Gott mit uns. Loro, atei dichiarati, aguzzini sterminatori, tristi ma�novali della Shoa, presumevano d'essere nel giusto, bestemmian�do la vita dell'Altro, del Diverso. Epperò cos�come non si può, non si deve uccidere in nome della fede, non si può, non si deve oltraggiare ciò che per l'Altro è sacro. Gli ultimi, recentissimi ac�cadimenti che rischiano di trasfor�mare la Terra Santa in un inferno incendiato dalla fiamma trista ma possente dell'odio, provocano ama�rezza, suscitano interrogativi. Sha�ron ha compiuto una provocazio�ne bella e buona lo han detto tutti, per primi gli israeliani, lo han scritto tutti, per primi i giorna�li liberi di Israele, paese democrati�co nonostante la crisi di identità che l'angustia. Ma perché, ci do�mandano i lettori, non pochi in verità, i palestinesi musidmani (e persino gli arabi di nazionalità israeliana, da sempre pacifici e molti di loro cristiani) si son sentiti offesi, umiliati dalla passeggiata di Sharon sulla Spianata delle Mo�schee. Il fatto è, come afferma Yehuda Aichai, il poeta nazionale di Israele, che Gerusalemme ha prodotto in tutta la sua travagliata esistenza «il Questo e il Quello, l'Insieme, il Confuso e il loro esat�to contrario». Sicché sulla Pietra della Creazione (l'attuale Spianata delle Moschee), là dove Iddio creò Adamo, Abramo sacrificava e si incensava Baal idolatrato in Sama�ria; e David danzò, Salomone co�stru�(il primo Tempio distrutto da Nabucodònosor), Erode puntellò (le mura del secondo Tempio incen�diato dai romani), Pompeo entrò (al galoppo). Gesù giunse (a cavallo di un'asina) per imboccare l'Usci�ta. Maometto si involò (in groppa al destriero Burak). (...) E fu reggia e stalla, Gerusalemme, quando la tennero i cristiani. Oggi è Stella Polare ma anche incubo. Un po' per tutti. Abraham Stem, uno dei capi storici dell'Irgun Zvai Leumi, in una sua poesia cantò Gerusa�lemme «città di profeti e di terrori�sti ir nevi'im vebiryonim». Per cercar di spiegare l'ira di fronte all'oltraggio di Sharon ai musulmani (non solo quelli di Ge�rusalemme, attenzione: un po' tut�to il mondo musulmano è in fer�mento) per cercar di capire il gesto dello spocchioso generale che la madre educò all'odio verso i pale�stinesi, per tentar di capire giove�rà ricordare come al tempo della Medina, nel 622, quando Maomet�to godeva del conforto degli ebrei, i musulmani pregassero orientan�dosi verso Gerusalemme, al Quds, la Santa. E' solo dopo la frattura con gli ebrei che Maometto prega e con lui tutti i musulmani, ideal�mente rivolti alla Mecca. Di più: un grande laico arabo, Yassir Ara�fat, mi spiegò un giorno che nel mondo musulmano anche chi non è praticante, chi non prega o non va se non di rado in moschea, non fa scandalo. Infatti «quello che conta nel nostro mondo è il senso dell'appartenenza». Dio, i luoghi santi, l'haram che è luogo riserva�to ai figli del Dio unico, ad Aliali clemente e misericordioso, fan par-te, importante, della cultura arabamusulmana. L'islam non è soltan�to una rehgione è altres�una cultu�ra. Ancora: nel mondo islamico il religioso, il nazionale, il sociale, il politico sono un tutt'uno poiché Maometto ha distribuito, sotto det�tatura di Dio, immortali precetti etico-religiosi. Uno Sharon che sprezzantemente deambula, sotto forte scorta annata, sulla Spianata delle Moschee, per affermare ch'essa è una invenzione bugiar�da: macché Spianata delle Mo�schee, questo è il Monte del Tem�pio e mi appartiene perché sono ebreo e per eh più israeliano, vinci�tore, e dunque Gerusalemme è tutta mia; ebbene, per i musulma�ni uno Sharon cos�è l'offesa fatta persona, è il sacrilegio di Satana fattosi giustappunto Sharon. Ho un amico palestinese che piange un figliuolo morto ammaz�zato in queste ultime ore fosche, sataniche. Con brutale linguaggio spiega cos�la reazione (prevista) alla (annunciata) provocazione di Sharon: «Se mi cialtrone ateo en�tra in una chiesa cristiana e orina sull'altare, commette o non un sacrilegio? A questo ipotetico fat�to, la provocazione di Sharon ade�risce perfettamente». Anche per�ché, non dimentichiamolo, la fru�strazione dei palestinesi è' madre dell'odio. A sua volta figlio della disperazione. L'idea di dover con�tinuare a vivere da miserabili, se non da schiavi, in una serie di bandustan senza luoghi umani, fa letteralmente impazzire di rab�bia, di dolore i palestinesi. Questo Barak sembra averlo compreso e con lui non pochi israeliani di buona volontà. Sennonché Barak è solo in un Parlamento nemico, senza nessuno che l'aiuti seria�mente nell'impresa di donare la pace ai figli di Israele. America can, diceva il povero Sadat. Gli Stati Uniti possono (risolvere que�sta terribile crisi) ma non sembra�no disposti a pestare i piedi a Israele sotto elezioni presidenziali. Clinton tira la volata a Gore, sicché ha bisogno dei voti della potente comunità ebraica. La pa�ce può attendere. I Forse, i palesti�nesi no.