I ragazzi che hanno scacciato Slobo di Giuseppe Zaccaria

I ragazzi che hanno scacciato Slobo PROTAGONISTI DEL GIORNO PIÙ' LUNGO DELL'EX JUGOSLAVIA I ragazzi che hanno scacciato Slobo Dalla Serbia profonda fino alla capitale per voltare pagina Giuseppe Zaccaria ODESTA notte sulla capita�le appare il gigantesco palcoscenico di una sfre�nata sequenza di Emir Kusturica, dove la colonna sonora è cambiata. Nel sottofondo non ci sono le ammiccanti musiche di Goran Bregovic ma i canti e le marce del Paese antico, quel�le degli Obrenovic o dell'epica nazionale. In queste ore si chiude un capitolo storico e se ne apre un altro, smuove equilibri più im�portanti dei palazzi che ardono o della persona di Milosevic, dell'aggrapparsi al potere di un tiranno a metà, che stanotte potrebbe decidere di diventarlo del tutto. Tutti gli analisti dico�no che gli restano due o tre ore per reagire. O questa notte, o mai più. Belgrado esplode, e con la sola vera capitale dei Balcani esplodono compromessi impo�sti da anni. Questi ragazzi non sono né filoamericani né filorus�si, ma filosestessi. Oggi la città è invasa dai provinciali, i «seljazi», il ventre della nazione. Le colonne di oppositori par�tite da Sud hanno travolto i cordoni di polizia, mandando avanti i Caterpillar acquistati con regalie del regime, le ambu�lanze attraversano a fatica gru�mi di folla, ci sono agenti che sparano lacrimogeni, altri che manganellano, reparti che ten�tano di calmare gli animi e gruppi in divisa pronti a fraternizzare con la gente. Una radio fuori controllo sta dicendo alla gente: «Tutta Novi Sad è in marcia su Belgrado». Tutto appare fuori controllo. Ma ancora una volta, pur sem�pre, ancora, fino a un millime�tro prima del baratro. «Buonasera, Serbia libera�ta», ha detto Voijslav Kostunica all'imbrunire, quando è salito a calmare la folla di fronte a un Parlamento da cui ancora si levavano volute di fumo nero. «Dinanzi al questo storico edifi�cio giuro che costituirò la muo�va assemblea democratica della nostra gente». I simboli del potere di Slobo�dan (non quelli dell'identità nazionale) fumano ancora co�me castelli di carta. Li hanno presi d'assalto tutti, uno dopo l'altro. Tutti, tranne il Castello Bianco, quel Beli Dvor dove il Capo s'è asserragliato almeno fino a quando non deciderà di volare via. A tarda sera, una notizia parla di tre «Antonov», aeroplani russi, misteriosamen�te decollati dall'aeroporto di Batajinica. Non è ancora rivoluzione, ma quanto di più vicino a tale evento si possa immaginare. L'incendio appiccato alla «Savezna Skupstina», il Parlamen�to Federale, quello che ha di�strutto due piani della Tv di Stato, gli assalti alle stazioni di polizia sono soltanto la pallida avvisaglia di ciò che potrebbe accadere se Slobodan decidesse di reagire mandando in campo ciò che resta dei suoi fedelissi�mi. «Slobo, jebise», dicono i ra�gazzi che invadono Belgrado. Alcuni portano pistole infilate nella cintura dei pantaloni, in una versione tutta balcanica del senso dell'onore. Slobodan, ti fottiamo. La loro non è una protesta di democratici, non la posizione nobile degli studenti o dei ceti metropolitani. E' la ribellione di chi si è sentito finalmente offeso, indignato. Di chi ha impiegato sessant'anni a scrollarsi di dosso l'epica comu�nista, e poi pseudosocialista, e quindi della resistenza, della sovranità da difendere, delle «budalastine», che qui si tradu�ce: puttanate. Questa gente può essere an�che preoccupata per quanto un depresso cronico come Slobo�dan Milosevic potrà architetta�re nel suo isolamento. Eppure non è questo il bilancio che la Serbia tema: in termini di san�gue, a simili cose il Paese è abituato da secoli. Qui si tratta di capire se la svolta sarà auten�tica e definitiva. C'è soltanto una cosa che nessun serbo può sopportare, l'offesa alla propria dignità. Adesso perfino Slobo il Volpone è caduto nella trappola, ha fatto un passo di troppo. I ragazzi che in questi mo�menti stanno sconvolgendo Bel�grado mettono a fuoco castelli di carta ma lo fanno con motiva�zioni diverse. In parte lo sanno. in parte no, per le strade si vede di tutto. Poliziotti abbracciali a ragaz�ze vestite come un tempo le «figlie dei fiori», o come oggi le pronipoti del socialismo. Gente che esce dal Parlamento in fiamme portando fuori tappeti e arazzi. Democratici che since�ramente gridano dai megafoni: «Per favore, amici, calmate�vi...». Poliziotti che un po' mena�no e un po' vorrebbero abbrac�ciare dimostrami (si può dire dimostrantesse?) di straordina�ria bellezza. A Maice Jevrosime, piccola strada del centro, ieri si sono visti dimostranti attaccare fu�riosi un drappello di giovani poliziotti e altri dimostranti accorrere in aiuto dei «piavi», quasi a salvare dalle l'uria popo�lare gente che non c'entra. Intorno alla tv di Stato che bruciava ci sono state persone che aiutavano gli impiegati a salvarsi, a saltare fuori dalle finestre, quasi a ricordare anco�ra una volta chi sono i veri responsabili della tragedia che s'è abbattuta sul Paese. Su tut�to, intorno a tutto, nelle piazze come nell'usta degli incendi o nell'acre sentore dei lacrimoge�ni, gravava il sentore di una povertà, di una marginalità che si è stancata di essere tale. Questa è la Belgrado di oggi. Una capitale fuori dagli schemi, il catalizzatore, il luogo deputa�to di una posizione che molto prima della guerra del Kosovo suonava come «neither East nor the West, Belgrade is the best», e forse in queste ore riuscirà a riproporsi. Le possibilità, il tentativo, forse la presun�zione di poter rappresentare un'altra cosa. A dire se è possibile non saranno soltanto le prossime ore, ma nel frattempo c'è soltan�to una cosa da dire. Auguri, Belgrado. Sulle piazze bombardate dalla Nato, i figli dei fiori del Duemila cantano: «Libertà» Dopo un primo assalto respinto dalla polizìa i manifestanti •j**6 prendono possesso 17 del palazzo del Parlamento. Il cordone dei gendarmi si scioglie e molti di loro si sfilano il casco e si uniscono ai dimostranti i RESIDENZA DI MILOSEVIC m Stadio JNA immediatamente dopo la presa del Parlamento, la folla che non è riuscita a entrare nel palazzo si dirige verso la televisione di Stato. Qui, il confronto con la polizia è più duro ma alla fine, dopo alcuni scontri, anche il palazzo della tv viene espugnato. parlamento) ©La folla si sposta nuovamente sulla piazza del municipio dove . c'è anche la sede del Ji Parlamento. E' l'ora del comizio 19 di Kostunica che saluta la «Serbia libera». A chi reclama a gran voce di puntare verso la residenza di Milosevic nel quartiere di Dedinje, il leader dell'opposizione democratica risponde però fermamente di «No». «Noi resteremo qui dove sono le istituzioni democratiche, il Parlamento, il Municipio, la Presidenza».