Dov'è finito l'ultimo degli australiani?

Dov'è finito l'ultimo degli australiani? DUE ANTOLOGIE DOCUMENTANO LA TORMENTATA TRADIZIONE LETTERARIA DEL PAESE OLIMPICO Dov'è finito l'ultimo degli australiani? Silvia Greco «L' AUSTRALIA ha un enorme fascino. Se non sentissi di dover lottare con il mondo fino all'ulti�mo respiro rimarrei qui, a perder�mi nel bush, nell'ignoto». Cos�scriveva D. H. Lawrence a un amico inglese, nel 1922. Lawren�ce rimase in Australia tre mesi per scrivere Kangaroo e fu uno dei pochi scrittori che capirono questa strana terra. Ne compre�se, detestandola, l'essenza demo�cratica, e fino all'ultimo giorno si meravigliò degli australiani, che spiava incessantemente da die�tro le tendine di casa, schivando ogni possibile contatto. Ottant'anni dopo, l'anima di un continente grande quanto gli Stati Uniti, con 19 milioni di abitanti (poco più di Piemonte e Lombardia insieme), si specchia in due antologie italiane: Cieli Australi (Oscar Mondadori), che racconta i giorni della colonia penale e della vita di frontiera, e Nuovi Argomenti, trimestrale Mondadori che all'Australia ha dedicato l'ultima copertina e ne fa un ritratto con interviste a scrittori, saggi e racconti. E ci provano anche gli inglesi, attra�verso un numero speciale della rivista letteraria Granta, intera�mente dedicato alla scrittura "down under". In The New New World il direttore lan Jack ha ingaggiato sedici scrittori per dare un qua�dro del paese. Agli interessati il ritratto non è piaciuto: «Austra�lia in gelatina», era il titolo d'una velenosa recensione su un quoti�diano di Sydney. Jack che non ha incluso scrittori aborigeni o asiatici è stato accusato di non aver saputo o voluto dare voce a ciò che l'ex colonia è diventata: un luogo nudticulturale, cittadi�no, aperto al futuro. I giochi olimpici di settembre hanno ri�messo questo bizzarro continen�te sulla carta geografica, ma qual'è la vera Australia? Quella ancorata al passato, che ha vota�to per manterere a capo dello Stato la regina d'Inghilterra, o quella che lotta per una nuova identità? Dalle antologie italiane si rica�va l'immagine di un paese tor�mentato, che si è affaticato a cercare un'identità e non è affat�to sicura di averla trovata. Cieli Australi raccogho testimonianze dei giorni più bui della colonia: i rigori della vita di frontiera, le lotte tra immigrati, la corsa all' oro. Henry Lawson, con La mo�glie del mandriano racconta be�ne la crudezza del bush, la vita stracciona e cocciuta dei primi coloni, che la domenica indossa�vano il vestito migliore per pas�seggiare attorno alla propria ba�racca nel deserto. Altri, come Jessie Couvreur e William Astley, riportano alle asprezze della vita dei condannati; Katharine Susannah Prichard sceglie inve�ce un tema fino ad allora inedito: i rapimenti dei bambini aborige�ni mezzosangue, strappati alle madri per essere allevati in lonta�ni orfanotrofi. Bimbi che sarebbe�ro diventati la "generazione ruba�ta", una brutta storia che lo scorso maggio ha fatto scendere in piazza 250mila simpatizzanti. Sono i primi e incerti passi di una nazione. E' mancato un libro che abbia plasmato negli austra�liani il senso di sé, come è stato per l'America nel caso dell'epico romanzo di Cooper L'ultimo dei Mohicani. A differenza degli Sta�ti Uniti l'Australia ha faticato a scrollarsi di dosso i giorni delle colonie. Lo spiegano gli scrittori. Con racconti come quello del bambino che si smarrisce nel bosco e viene divorato dai co-vi (Marcus Clarice): specchio del ter�rore di un popolo abbandonato in una terra ostile. Un luogo detestato a tal punto che i coloni insegnavano ai pro�pri figli e chiamare "casa" l'Inghil�terra, nonostante non l'avessero mai vista né, probabilmente, vi sarebbero mai andati. E sempre si mantenevano le abitudini in�glesi, anche contro ogni buon senso, come durante i pranzi di Natale: intere famigUe raccolte intomo a un fumante tacchino al fomo, nonostante i 40 gradi dell' estate australe. Melanconie interrotte solo dal�le fucilate di Gallipoli, quando gli inglesi mandarono gh eserciti australiani e neozelandesi al mas�sacro contro i turchi. Eppure da Gallipoli l'Australia e è uscita pesta ma valorosa, con un raffor�zato senso di sofidarietà, il "mateship", uno dei grandi valori au�straliani di cui parla anche Ri�chard Flanagan su Nuovi Argo�menti. E' stato anche il punto di partenza verso il paese multicul�turale di oggi. A metà del secolo scorso piroscafi carichi di italia�ni, greci, ed est-europei gettava�no l'ancora nei porti di Melbourne e Sydney. Una nuova era. L'Australia vista dai "maccaroni", dagli italiani, è un paese spinoso, eppure un "paese fortu�nato", come scrisse Rosa Cappiello parodiando il classico sociolo�gico di David Home sull'Austra�lia, The lucky country. Fortunato per la vita dolce, per le possibilità che offre, eppure denso di con�traddizioni e insicurezze, come suggeriscono suNuovi Argomen�ti gli interventi di Robert Desaix e di Peter Robb, scrittore che ha vissuto a lungo in Italia. Nella seconda metà degli anni Novanta l'Australia ha comincia�to a cullare sogni di grandezza per il millennio successivo: sareb�be diventata una repubblica, avrebbe chiesto scusa agli abori�geni per l'occupazionme della loro terra; avrebbe riparato i danni causati dalla poUtica impe�rialista del secolo precedente. Avrebbe persino fatto parte dell' Asia e sarebbe magari diventata la nuova America. Che nulla di tutto questo sia accaduto non è importante. In fondo ha ragione Peter Robb a ricordarci che «l'uni�ca identità australiana che conta è quella aborigena. Per loro è una questione di sopravvivenza. Per noialtri, sono solo chiacchiere da salotto». Sydney in festa per le ultime Olimpiadi