Occhi d'alabastro e vesti di velluto, la regina di Saba

Occhi d'alabastro e vesti di velluto, la regina di Saba SI APRE OGGI ATORINO LA GRANDE MOSTRA CHE AFFIANCA ALL'ARCHEOLOGIA YEMENITA I QUADRI PEL SEICENTO 1 — Occhi d'alabastro e vesti di velluto, la regina di Saba Rocco Moliterni TORINO A vederla con accanto un barboncino, nel quadro di Mattia Preti, all'inizio della mostra a lei dedi�cata a Palazzo Bricherasio, la Regina di Saba non ha molto di esotico. Con la sua faccia paffuta e il suo abito di velluto seicentesco sembra distante anni luce dalla sovrana di un regno leggendario arrivato allo splendore gra�zie alle carovane che attraversavano centinaia di anni prima di Cristo la polvere e i deserti dello Yemen con i loro carichi di mirra, incenso e spezie. Ma in fondo questa «occidentalizzazio�ne» della Regina, che ritoma anche nei quadri di Tintoretto (solo Juan de La Corte la dipinge nera) ha un fondamen�to. «La cultura dei Sabei spiega Vittorio Sgarbi, che della mostra torine�se è consulente non aveva nulla da invidiare a quella dei greci o dei roma�ni ed era una cultura 'occidentale", lo Yemen allora era Occidente, era per l'epcca quello che per noi è l'America». La civiltà dei Sabei, fin�con il crollo della grande diga di Marib, l'antica Saba, alcuni secoli dopo di Cristo. «Solo più tardi dice ancora Sgarbi anivò l'Islam e con gli islamici Vorientalizzazione" dello Yemen». La capitale era già diventata Sana, una «Venezia di sabbia» secondo la definizione di Paso�lini, che rimase affascinato da quei grattacieli di fango, con le finestre di alabastro. Di quello che fosse l'antico splendo�re del mondo yemenita Palazzo Briche�rasio offre un ampia testimonianza. Ci sono teste di alabastro e gioielli, le statue bronzee di Fokas e gli altari di un religione che non era antropomor�fa. «La spiritualità per i Sabei spiega Sgarbi era interiore, non avevano bisogno di rappresentare divinità setto forma di animali come gli egizi o di uomini come greci o latini». La mostra, realizzata dalla Fonda�zione Memmo, ha già girato vane sedi europee ed è stata anche a Roma, ma a Torino si arricchisce di un'ampia sezio�ne pittorica che mostra come il mito della Regina di Saba sia stato racconta�to tra il '500 e l'BOO. Ci sono, tra gli altri, un Tintoretto mai esposto in Italia e un arazzo di Maitre Philippe, conservato a Bucarest. La sezione avrebbe dovuto essere curata da Sgar�bi («ma io non ci ho messo mano» spiega lui), l'ha seguita Daniela Magnetti, direttrice di Palazzo Brichera�sio. Sgarbi si è preso il ruolo di difenso�re delle bellezze yemenite, «oggi in pericolo, come l'Italia negli Anni '50. Pasolini trovava nello Yemen quell'au�tentico che da noi si stava perdendo, oggi laggiù lastricano le strade un tempo di tenra, gettano sacchetti e bottiglie di plastica dappertutto, fanno poco o nulla per salvare il loro patrimo�nio». A dargli in parte ragione è il responsabile delle antichità yemenite Yusuf Abdullah, che racconta le diffi�coltà di conciliare in uno dei paesi più poveri del mondo i tentativi di salva�guardia delle ricchezze archeologiche con la sopravvivenza quotidiana. Ac�compagna la mostra che rimarra aper�ta da oggi al 7 gennaio 2001 una serie di sculture con'emporanee, in parte ispirate alla Regina di Saba, dell'arti�sta greca Sophia Vari. Due teste di alabastro del I sec. a. C.

Persone citate: Mattia Preti, Memmo, Pasolini, Saba Rocco Moliterni, Sgarbi, Sophia Vari, Vittorio Sgarbi, Yusuf Abdullah