Ayers Rock, ombelico dell'Australia aborigena

Ayers Rock, ombelico dell'Australia aborigena AD ALICE SPRINGS, NELL'ANTICO CUORE DEL CONTINENTE OLIMPICO Ayers Rock, ombelico dell'Australia aborigena REPaRtAGE-; Marco Ansaldo NE hanno adottato il nome indigeno, Ulurù, ma agli australiani che non han�no neppure una seccia di sangue aborigeno nelle vene, non importa poi molto che quel gigantesco gianduiotto di roccia cangiante si chiami in un modo oppure con la definizione con la quale si trova negli opuscoli di tutto il mondo: Ayers Rock. Ad essere precisi Ulurù è la monta�gna, Ayers Rocks è quella spruz�zatina di cemento raggrumata in mezzo al deserto per accoglie�re confortevolmente il viaggiato�re: c'è l'aeroporto, ci sono quat�tro alberghi bassi e piatti, con le piscine e il centro commerciale. Il resto del paese non esiste. Dicono che Ayers Rock sia l'om�belico dell'AustraUa nativa. Ne è sicuramente uno dei luoghi sacri ma gli aborìgeni, quasi non si vedono, non si fanno vedere, quasi non ci sono. Negli Anni Cinquanta il gover�no decise d�fare di tutta questa immensa area che racchiude anche le Olgas-Kata Tjuta, stra�ne e basse colline d�roccia, simili a gobbe di molti cammel�li, un grande parco naturale per tutelare l'ambienti; (da chi?) e offrire al turista uno degli aspet�ti più affascinanti dell'outback, il territorio dei pionieri, il più duro, aspro e anche il più presen�te in Australia. Gli indìgeni che vivevano in tribù itineranti nel bush, gruppi di 30 o 40 persone, videro arriva�re i pullman, cunobboro U ruruore degli aerei e degli elicotteri, per fortuna rari, che sorvolano la zona per vederla dall'alto, come al Grand Canyon. Loro sono entrati nel businass da pochi anni, da quando alcune sentenze, in un'Australia dagli improvvisi rimorsi d�coscienza, riconobbero alle tribù i diritti su quelle terre. In realtà è cambia�to poco: la gestione è rimasta ai grandi tTour operalors di Adelai�de o Sydney o Melbourne o alle piccole agenzie di Alice Sprìngs, che scaricano 400 mila turisti all'anno con un servizio efficien�tissimo perché da quando parti per Ayers Rock a quando te ne vai non devi neppure preoccupani della valigia. Agli aborige�ni sono andati i soldi. Un afìfitlo delle terre, un bel gocciolone in quelle migliaia d�miliardi desti�nati all'integrazione dei 360 mi�la indìgeni d'Australia, ma i cui effetti non s�vedono nella gente lacera, sporca, malata, dispera�tamente isolala che ciondola nelle strade di Alice Sprìngs e nei pub dove finiscono le fette più abbondanti dei sussidi. Ora stanno nascendo circoli cultura�li e piccole società che cercano di valorizzare gli aborìgeni per le loro conoscenze, quella del territorio e dell'artigianato con la materia che offre il posto. Ma, l'impressione, seppure superficiale, del visitatore, è d�una spaccatura nettissima, più che negli Stati Uniti tra i bianchi e gli indiani. Il viaggio ad Ayers Rock si giustifica anche soltanto con il piccolo Visitors Centre, dove gli unici aboiigeni sono due donne che dipingono con la tecnica antica dei pezzi di legno model�lalo. LI si trova, riassunta, la storia delle tribù del deserto, se ne citano le leggende tramanda�te dai vecchi, il loro unico sape�re, che non è poco visto che tratta la creazione del mondo e l'assoluta obbedienza del'uomo alla terra, la madre d�tutto. Con una insensibilità pari ai loro profilli, i tour operalors inseri�scono la visita a la fine del giro, per gli ultimi acquisti d�boome�rang, magliette, pelouche e didgerìdoo, lo stumento a fiato dpgl�aborìgeni, primitivo ogget�to da cui si producono nenie che al secondo giorno incidono sui nervi. Per questo molti italiani ne acquistano uno da tenero in salotto, per mostrarlo agli ami�ci: rimportante è non saperlo usare. Ulurù e le Olgas-Kata Tjuia sono un must del turismo austra�liano. Chi, in ipiesti giorni, è a Sydney per �Giochi le può rag�giungere facilmente in aereo: sìa la. Ansett che la Quantas hanno almeno un collegamento quotidiano e il volo dura un paio cl'ore. Una notte d�permanenza è più che sufficiente, a meno che non si voglia includere Alice Sprìngs, come accade spesso: ma, salvo la serata al saloon Boojangle, non c'è una ragione che giustifichi la scelta, in com�penso ci sono quattrocento chi�lometri d�viaggio, in un deserto stopposo, alberato, poco aiTascinanle. Il fascino dell'Ulurù invece esiste. Nella giornata la roccia cambia colore per l'inclinazione del sole: in sé non è un fallo straordinario, succede pure alle pietre del Cervino o ili altre montagne, però la magia arriva da lontano, anche per chi. in fondo, sa pochissimo degli aborì�geni e delle loro storie. Le ore più suggestive sono il tramonto e l'alba. I pullman arrivano, scaricano la loro mercanzia inlomazìonale, offrono un hicchiere d�pessimo vino la sera, caffè bollente al mattino che è freddis�simo come può essere l'alba in un deserto. Ci sono poche cose al mondo per cui vale la pena mettoro. la sveglia alle cinque, l'Ulurù è una tra queste, nono�stante la folla e i giapponesi già piazzali nei posti migliori per fotografare. Regna il silenzio, non c'è neppure un ragazzino che lianga. E'un richiamo ancestra e che arriva e che s�coglie, forse per un'autosugeestione, forse perché è dawerola madre Terra che lo invia. Spesso è un flash, un attimo. Gli aborìgeni chiedono di non salirci sull Ulurù. Dicono che non è la cosa giusta da fare, anche so non hanno avuto la forza di impedire ai bianchi di piantare nella roccia una catena per facilitare i primi 300 metri di ascesa, che mozza il fiato e ha già spaccalo più d�un cuore impreparato. Lo sforzo è notevo�le. Dal basso si vede la linea ininterrotta di persone che sal�gono, fonnichine in fila verso la mollica d�un ponorama stupen�do. Ci siamo stali, tra le formi�chine, e poi oltre, su un percorso 3iù agevole, meno irto, che non ia sentiero ma sale e scende nelle fenditure fino alla cima piatta. Scivolare è difficile, qua�si impossibile su quella roccia che non tradisce l'appoggio, ep�pure c'è chi è riuscito a precipita�re. «Gli aborìgeni non sono con�trari alla scalata, solo si rattri�stano se qualcuno s�fa male», spiega la guida, un bianco. Die�tro quella spiegazione c'è il busi�ness dei trecentomila scalatori all'anno ma in quel momento ci va bene cosi. Dalla cima dell'Ulu�rù. lo sguardo spazia per centi�naia di chilometri senza un osta�colo: si sente di abbracciare la Terra. E gli aborigeni ci perdoninose non lo dovevamo fare. Cos�gli indigeni che vivevano in tribù di 30 o 40 persone itineranti nel bush videro arrivare i pullman ed impararono a riconoscere il rombo degli aerei che sorvolano la zona come se fossero al Grand Canyon NEGLI ANNI 50 QUESTA IMMENSA AREA CHE RACCHIUDE LE OLGAS-KATA TJUTA. COLLINE DI ROCCIA SIMILI A GOBBE DI CAMMELLO, DIVENNE UN GRANDE PARCO NATURALE Ayers Rock: al Visitors Centre è riassunta la storia delle tribù del deserto, le leggende tramandate dai vecchi. Il sapere che tratta la creazione del mondo e l'obbedienza dell'uomo alla terra, madre di tutto. LODGE E RÉSÌDENGE a L'Ayers Rock Resort ha vìnto il premio per il turismo australiano. In 300 metri ci sono un residence (l'Emù Walk) e 4 alberghi: dal lusso del Sails in the Descrt all'economico Spinifex Lodge. Pernottamenti dal 100 dollari. Vasta la scelta ad Alke Sprìngs: una cinquantina tra alberghi, motel, residence, bed ft breakfast e caravan parici.

Luoghi citati: Australia, Melbourne, Stati Uniti, Sydney