Tibet, la cultura dell'esilio

Tibet, la cultura dell'esilio Tibet, la cultura dell'esilio NEL monastero di Nechun^ aveva sede l«Oracolo di stato» che veniva consulta�to prima di ogni importante deci�sione. Nel 1959, quando nel Tibet già occupato militarmente le cose volgevano al peggio, da Nechunf» usc�una profezia che a tanti anni di distanza ancora impressiona per la sua lungimiranza: «Il sole dell'insegnamento buddista scom�parirà dal Paese delle nevi e si trasformerà in una miriade di stelle la cui luce risplenderà sul mondo». Riferisco questo commo�vente vaticinio poiché in esso si può cogliere il significato profon�do della presenza della civiltà tibetana nel mondo, anche a Tori�no dove il festival Settembre Musi�ca sta per presentare una vasta rassegna dedicata alle musiche e alle danze di quel martoriato pae�se. Il momento capitale della no�stra rassegna sarà dato, nelle sera�te di venerd�8 e sabaio 9 settem�bre, dalle danze sacre dei monaci del monastero di Schétchèn. Il monastero in questione si trova in Nepal dove gli esuli tibetani, gra�zie al sostegno della comunità nm-ni r/.ionalc, sono riusciti a rico�struire fedelmente il monastero di Schétchèn (Tibet orientale) distrut�to dai cinesi negli anni più brutali delia loro occupazione del Paese delle nevi. La ricostruzione di Schétchèn non è un caso isolato: in Nepal, in Bhutan e in altre regioni limìtrofe i monasteri ricostruiti sono tanti, senza contare il caso dell'India che ospita numerose co�munità tibetane e, a Dharamsala, la sede del governo in esilio del Dalai Lama. Tutte queste sedi sono l'espressione concreta di quel�la metaiora della «miriade di stelle la cui luce risplenderà sul mondo» contenuta nel vaticinio di Nechung. A questo punto si pone un problema di politica culturale che si può sintetizzare in questa alter�nativa: a rappresentare la civiltà tibetana è oggi più qualificata la cultura dell'esilio o quella in qual�che modo accudita nel territorio annesso alla Cina? E' chiaro che dal punto di vista monumentale i monasteri ricostruiti non possono competere con i grandi capolavori architettonici che ancora sussisto�no nella RAT (Regione Autonoma del Tibet) e che sono oggi oggetto di restauri piuttosto accurati come ho potuto constatare qualche setti�mana fa con i miei occhi Dal punto di vista delle musiche e delle danze rituali non è possibile invece abbozzare un confronto poiché il Tibet dell'esilio è diventa�to l'unico titolato cultore di quelle tradizioni. Non si deve dimentica�re che tra le prime iniziative del Dalai lama rifugiatosi in India figura l'istituzione di un Ministero per la cultura e la religione e d�quel Tibetan Institut of Performing An che è diventato la più solida garanzia di autenticità della manifestazioni spettacolari. Fra queste ultime le danze Tcham (quelle che vedremo a Torinol hanno da sempre una priorità assoluta. Anche in questo caso un recente viaggio in Tibet mi ha consentito un'interessante osser�vazione. In uno dei cortili del bellissimo monastero di Tashilumpo ho visto alcuni giovani monaci esercitarsi nella danza: si trattava di tentativi raen che modesti. Può darsi che i monaci di Tashilumpo, di Sera o di Drepung ritrovino col tempo i segreti di quelle coreogra�fìe ma il rischio più grave è che fìniscano con l'eseguire quelle dan�ze in cui si ricapitola la storia della loro religione, nella prospettiva turistico-professionale imposta dal governo cinese ormai consape�vole del fatto che il turismo in Tibet è un business di notevole rilevanza. Non è esagerato dinche tra il paese reale e quello dell'esilio sta cominciando a profi�larsi una sfida culturale. I numero�si restauri in corso nei principali monasteri indicano un precisio orientamento di ricostnizione cul�turale ma lo sviluppo altrettanto intenso di strutture turistiche e urbane che non temono di sfìgurare paesaggi e atmosfere sublimi, non lascia spazio ad alcuna illusio�ne: il Tibet ricostruito diventerà una gigantesca vetrina per milioni di turisti. La cultura dell'esilio non si è limitata a custodire le tradizio�ni religiose e artistiche del paese; ha fatto molto di più legando la causa di una civi tà esiliata ad alcune delle istanze più vive e sofferte dei tempi moderni. Il ri�spetto dell'ambiente, la non violen�za, la resistenza passiva, la disob�bedienza civile: da Thoreau a Tolstoj, da Rabindranath Tagore a Gandi, da Martin Luther King al Dalai Lama viene disegnanuosi uno scenario mondiale m cui si raccolgono i frammenti più cupi e spesso volutamente ignorati della storia. Accanto però a quelle scon�finate tristezze si levano sempre più numerose le voci degli utopi�sti, dei poeti folli e scomodi, dei geni capaci di affilare l'infelicità come un'arma, e da tutto quel travaglio si fa luce a poco a poco un'idea diversa del vivere, un po' più pacificala, un po' meno egoista e forse un po' meno rassegnata alla falsa ineluttabilità. Nel disegnare questo scenario il contributo offer�to dalla civiltà dell'Oriente è, a dire poco, determinante, ma quello che più conta è la somiglianza profon�da che lega e unisce personalità cos�lontane. Il successo mondiale della causa tibetana e della spiri�tualità buddista, ad unta delle mode e di qualsiasi superficialità di tipo turistico, la dicono lunga sul significalo profondo di cui lutto quellinteressamenlo e il sin�tomo. Enzo Restagno Comitato Artistico Setiembie Mosca

Persone citate: Dalai Lama, Enzo Restagno, Martin Luther King, Rabindranath Tagore, Sera, Tcham, Thoreau, Tolstoj