Vamos a ballar

Vamos a ballar Vamos a ballar Tico tico, bossa nova, cha cha cha, rumba, disco, ma anche salsa e rap GIUSEPPE CULICCHIA TICO tico bossa nova rumba disco cha cha cha, ma anche salsa, cocktail, rap, una sera�ta qui e un'altra là: ballano, gli italiani, con l'estate ormai al culmine e l'orchestra di bordo che, è un classico, non smette d�suonare. Niente più o'sole mio con chitarre e mandolini in sotto�fondo, però, come ancora si aspet�tano certi americani in braghette kaki che vagane caldo trjy^Micgg^ald e un monumento da Boma a Venezia. Al loro posto, un megamix di suoni esotici, talvolta rubati di�rettamente dalla collezione d�45 giri dkpapà, coma racconta Fran�cesco Adinolfi in «Mondo Exotìca» (Einaudi, pàgg.551, lire 25.000). Coso rarissimo di libro che mantiene quanto promesso in quarta di copertina, il volume è davvero «il Triangolo delle Ber�muda» della cosiddetta Genera�zione Cocktail, nel senso che tuf�fandosi tra le sue pagine a caccia d�reperti musicali (e non) da tempo dati per scomparsi si pe�scano tesori a volontà. Adinolfi è un erede diretto di D'Alembert e Diderot, ma tra i suoi avi deve esserci anche Rudolf Diesel: per�ché se da un lato il suo immane sforze enciclopedico riesce a non lasciarsi sfuggire nulla del corren�te recupero «di suoni e stili che si ritenevano definitivamente se�polti negli Anni Cinquanta e Ses�santa», dall'altro le sue pagine si comportano benissimo suda lun�ga distanza, esaltandosi anzi capi�tolo dopo capitolo. Così, mentre «Mondo Exotica» macina dischi, musicisti, dj. pin-up, night-club, B-movie, e perfino barman e scapoli per vocazione, si scopre che a dare i natali a John Barry, autore nel 1962 del classico «Ja�mes Bond Theme», furono guar�da caso una pianista e il proprie�tario di una catena d�sole dnematografiche; e che a celebrare la nascita della «cocktail culture» fin dai proibizionisti Anni Venti pensò un tale Cole Porter, autore tra gli altri di un brano intitolato «Drink drink drin». La furia cala legatrice d�Adinolfi spazia dall' arredamento al desimi all'archi�tettura al costume alla moda (i giovanotti che noi '45 tornarono interi da Okinawa con la camìcia hawaiana sopra i pantaloni dell' uniforme, di li a poco iniziarono ad aprire locali in stile esotico: dove al suono d�Les Baxter i bachelor invitavano le bacbelorette per poi ubriacarle a forza di Mai Tal cocktail importato in Italia nel 1966 da Mauro Lotti, re del bancone al Grand Motel di Roma per oltre trent'anni); e se di fronte al revival «lounge» qualcu�no ha storto il naso, bollandolo come modernariato modaiolo di seconda mano, l'autore preferi�sce avanzare altre e più suggesti�ve ipotesi. Anche perché il primo a recuperare le «musiche dm geni�tori» lu il Sex Pistol Sid Vicious con la sua «My Way», e la dance elettronica dei contemporanei Fa�ve Ulegali ha a sua volta tratto da esse «nuova linfa e ispirazione»: le note da cocktail dunque come «grado zero de'Ja ribellione». «provocatoria riabiUtazìone di suoni parentali a cui negli anni tante subculture (dal rock'n'roll al punk alla techno) si erano ribellate»? Chissà. Di musica ribelle, pur prenden�do più volte le distanze dal punk, discettano amabilmente anche David Poster Wallace (ultimo scrittore «d�culto» secondo i fab�bricanti d�etichette) e il suo amico Mark Costello: due bian�chi innamorati del rap e perciò autori del propedeutico «Il rap spiegato ai bianchì» (minimum fax, pagg. 188, lire 22.000, trad. d�Christian Raimo e Martina Testa), testo del '90 appena uscito qui da noi con un'autorevole prefazione di Frankìe bLiug. me. Il nostro rileva subito come l'opera dei due visi pallidi risulti por certi ver�si inevitabilmente piutto�sto datata, e però anche come per altri conservi inalterata una sua indub�bia utilità. Se infatti è vero che dieci anni sono un periodo abnorme rapportato alla febbri�le iperattività dei figli dei ghetti americani, e che innumerevoli co�se sono nel frattempo mutate sulla scena hipbop (termine che oltre al rap comprende altre tre discipline: b-boying o ballo, writing o pittu�ra e tumtablìsm o musica ottenu�ta attraverso la manipolazione del giradischi, e coniato verso la fine degli Anni Settanta dal pio�niere del genere Kool Herc «per descrìvere il ballabilissimo seat giamaicano» usato cos�da «inter�vallare i dischi durante le colossa�li feste di quartiere del South Bronx» tenute da tipi come Afrika Bambaataa, che riusciva�no a trasformarle in accessi col�lettivi di breakdance), è altrettan�to vero che �bianchi dellìiip-hop continuano a non sapere pratica�mente niente, salvo giudicarlo in blocco come una roba da vandali o ascoltarlo quando finisce nelle classifiche, cosa che spesso com�porta il consumo d�autentiche «aberrazioni commerciali». Per vincere la diffidenza di molti rapper nei confronti d�due gior�nalisti bianchi, Wallace e C. non�no un'intuizione geniale: bussare alle porto degli studi di registra�zione vestiti da giornalisti bian�chi. con tanto di giacche di vellu to a coste e toppe sui gomiti, di modo da non passare per «infil�trati». Quindi, i due si lanciano nell'esplorazione di un universo che ha saputo riciclare l'orrore Quotidiano della vita ai maraini del sogno americano in una for�ma di espressione artìstica: in alcuni casi, come quello del «gangsta-ntp», polìticamente molto scorretta e pericolosa, ma anche assai redditizia. E i risultati sono spesso brillanti Una delle cause all'origine del feno�meno hìp-hop fu senza dubbio l'insof�ferenza dei ragazzi dei quartieri degra�dati newyorkesi nei confronti della discomusic allora in auge: og�getto invece di passione e venerazione da porte dell'ingle�se Alan Jones e del finlandese Jussi Kantonen, autori di «Love Train» (Arcana, pagg. 271, lire 22.000), libro che si propone fin dal sottotitolo di raccontare la disco «titolo per titolo, notte per notte», e che tutto sommato ci riesce. «In principio», si viene a sapere, «c'ora un piccolo bar pari�gino chiamato La Discothèoue in rue Achettc dove insieme al Pernod potevi ordinare il tuo 45 giri preferito di iazz». Da l�prende il vìa quello che nel breve volgere di qualche anno diventa «un nuo�vo stile d�vita, completamente improntato all'edonismo», forse non a caso oggetto anch'esso di un recente revival. In discoteca presto la gente inizia ad andare per vedere e farsi vedere, la «lei» d�turno in stivali di vinile e cap�attillati, il «lui» con un completo italiano e tacchi alla cubana. Nel 1977, anno della morte di Maria Callas, l'uscita del film «La febbre del sabato sera» trasforma ia disco in tuia mania di massa: i passi di ballo eseguiti da John Travolta (lo «hustle» nelle sue varianti «New York», «Latin», «California» o «Tango») vengono imitati dappertutto; la Food and Drug Admmistration molte in guardia i frequentatori di discote�che «contro il rischio di possibili bruciature della pelle e danni alla vista causati dal a costante espo�sizione ai raggi laser», e «I will survive» di Gloria Gaynor diven�ta il pezzo preferito m assoluto dal Principe Carlo. Ma da dove arriva, in fondo, la discomonia dello Studio 54? Be', è ovvio: dal Palladium. Tem�pio dove durante gh Anni Cin�quanta a New York ai esibivano i grandi del Caribe, da Tito Puente a Celia Cruz. E da Cuba balte forte il «Corazon» di Bcsito de Coco alias Roberta Begnoni (mi nimim fax, pass. 267, Un 16.000), romana cyuinamoratas�in tenera età dei ritmi latinoamericanL Grazie a questo suo «atlante» profumato dai color�dell'Ha va nu e farcito di salsa e di merengue, scrìtto con impeto da fanatica e però anche con cura da filologa (e pieno d�suggeri�menti utili nel caso vi recaste nelle Antille a caccia di musica), scoprirete che, al contrario di quanto vorrebbero farvi credere certi servìzi «estivi» dei Tg dedi�cati agli italiani cho ballano, Ricky Martin NON E' l'inventore della rumba. Un bel passo avan�ti: di danza, naturalmontr. In cinque saggi il mondo dell'estate musicale di giovani e meno giovani amos ballar a, cha cha cha, nche salsa e rap azìone di negli anni rock'n'roll si erano r prenden�e dal punk, nte anche ce (ultimo ondo i fab� e il suo due bian�p e perciò co «Il rap (minimum .000, trad. e Martina pena uscito utorevole bLiug. ubito visi ver�tto�che rvi ub� è no e �e �po hip al rap discipline: ing o pittu�sica ottenu�nipolazione ato verso la nta dal pio�l Herc «per issimo seat s�da «inter�e le colossa� del South tipi come he riusciva�accessi col� è altrettan�dellìiip-hop ere pratica�iudicarlo in a da vandali finisce nelle spesso com� autentiche rciali». Per a di molti d�due gior�ce e C. non�ale: bussare di registra�nalisti bian�che di vellu ui gomiti, di re per «infil� si lanciano un universo are l'orrore a ai maraini in una for�artìstica: in llo del «ganente molto , ma anche risultati ei co: og�sione e dell'ingle�l finlandese In cinque saggi il mondo dell'estate musicale di giovani e meno giovani Jussi Kantonen, autori di «LovTrain» (Arcana, pagg. 271, li22.000), libro che si propone fidal sottotitolo di raccontare disco «titolo per titolo, notte pnotte», e che tutto sommato riesce. «In principio», si vienesapere, «c'ora un piccolo bar parigino chiamato La Discothèoue rue Achettc dove insieme al Penod potevi ordinare il tuo 45 gpreferito di iazz». Da l�prendevìa quello che nel breve volgedi qualche anno diventa «un nuvo stile d�vita, completamenimprontato all'edonismo», fornon a caso oggetto anch'esso un recente revival. In discotepresto la gente inizia ad andaper vedere e farsi vedere, la «led�turno in stivali di vinile e caattillati, il «lui» con un compleitaliano e tacchi alla cubana. N1977, anno della morte di MariCallas, l'uscita del film «La febbdel sabato sera» trasforma disco in tuia mania di massapassi di ballo eseguiti da JohTravolta (lo «hustle» nelle svarianti «New York», «Latin«California» o «Tango») vengoimitati dappertutto; la Food aDrug Admmistration molte guardia i frequentatori di discotche «contro il rischio di possibbruciature della pelle e danni avista causati dal a costante espsizione ai raggi laser», e «I wsurvive» di Gloria Gaynor diveta il pezzo preferito m assoludal Principe Carlo. Ma da dove arriva, in fondla discomonia dello Studio 5Be', è ovvio: dal Palladium. Tepio dove durante gh Anni Cquanta a New York ai esibivangrandi del Caribe, da Tito Puena Celia Cruz. E da Cuba baforte il «Corazon» di Bcsito Coco alias Roberta Begnoni (mnimim fax, pass. 267, U16.000), romana cyuinamoratin tenera età dei ritmi latinamericanL Grazie a questo s«atlante» profumato dai coldell'Ha va nu e farcito di salsa emerengue, scrìtto con impetofanatica e però anche con cuda filologa (e pieno d�suggementi utili nel caso vi recanelle Antille a caccia di musicscoprirete che, al contrarioquanto vorrebbero farvi credcerti servìzi «estivi» dei Tg decati agli italiani cho ballaRicky Martin NON E' l'inventdella rumba. Un bel passo avti: di danza, naturalmontr.