Ho Bach nel cuore
Ho Bach nel cuore 250 ANNI DALLA MORTE Ho Bach nel cuore Mina QUALCO�SA, di Bacn, fa subito presagire un miracolo: la sua armoniosa geometria. Una logica sernuaedinesausi frastagliano attorno a nuclei tematici, fino all'esaurimento e al riposo finale. Una densità concettuale inimmaginabile ca�la sulla mente, prima ancora che sull'orecchio che ascolta, lasciando una lenta eco che si sospende sopra le nostre teste. Sono duecentocinquanta gli an�ni che ci separano dalla sua morte. Era la sera del 28 luglio 1750 e negli ultimi giorni aveva appena finito di dettare al gene�ro il suo ultimo corale, «Vor deinem Thron tret ich hiennit» (Davanti al tuo trono io mi avvicino). C'era qualcosa di medievale nella sua fede reli�giosa, robusta come il portale di una chiesa gotica, mai scher�mata da ombre, neppure nel momento supremo do passag�gio. Mai l'incertezza di un dubbio, ma sempre una sicurez�za radicata, dentro la coscien�za di una vita operosa e dedita al senso del dovere. Tutti i giorni, alle sei del mattino faceva saltar giù dal letto i dieci figli sopravvissuti, dei venti che ebbe. Li radunava vicino al clavicembalo e insie�me cantavano un inno di lode al Signore. F poi si metteva a lavorare con puntigliosa meto�dicità. La sua immane produ�zione musicale fu costruita con un lavoro assiduo, eseguito con la cura scrupolosa dfi un artigiano ed inteso come servi�zio di Dio. Senza posa, cosic�ché, come è slato detto, se Bach fosse stato calzolaio, avrebbe fatto «ad maiorem Dei gloriam» un numero stenninato di scarpe, tutte accurata�mente lavorate e rifinite. Sen�za questa coscienza puntiglio�sa, sarebbe stato impossibile scrivere in sei anni 265 cantate per le chiese di Lipsia. Ogni settimana ne doveva comporre una, da insegnare poi al coro e ai musicisti per l'esecuzione domenicale. Un'impresa disu�mana, che avrebbe tolto il fiato anche al lavoratore più indefes�so. Ma il suo genio impediva che le sue forze venissero logo�rate. Di anno in unno Boch elevò sempre più una muraglia sen�za crepe intorno al proprio bosco sacro: le tempesto della vita non potevano scuoterne la sommità. Riascoltiamo, per esempio, le «Suites per violon�cello», eseguite da Pablo Casais, magari quelle che suonò nel 196C per festeggiare il suo novantesimo compleanno, Casals reinventa Bach con un archetto usato come un telesco�pio per sondare l'universo se�greto di questa musica. In tan�ta perfezione ci lasciamo nau�fragare, con l'archetto che rad�drizza improvviso, violento, dolcissimo, la barra della navi�gazione. Ogni passaggio risuo�na aurorale, vivo. Casals restituisce a noi tutto lo stupore della musica di Ba�ch, che nella geometrica archi�tettura sembra voler disegnare la forma concreta dello spirito. Sembrano vere, allora, le paro�le di Émile Cioran, che sostene�va che è inutile che i teologi si arrabattino sull'esistenza di Dio, dal momento che c'è Bach a rendercene certi. Lui non percorse altre strade se non quelle della musica. Senza mai muoversi dalla Turingia e dal�la Sassonia, ha travalicato i confini dello spazio e del tem�po. I grandi musicisti hanno mani lunghe che ci raggiungo�no e ci accarezzano e, anche se non conosciamo direttamente la loro musica, sono arrivati fino a noi attraverso tutti gli altri musicisti che li hanno seguili, influenzati dal loro genio. Insomma, hanno lanciato una corda che avvolge un pez�zetto del nostro cuore. Meglio esserne consapevoli.
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