«Siamo grandi, basta parlare di Italietta»

«Siamo grandi, basta parlare di Italietta» «Siamo grandi, basta parlare di Italietta» Amato insiste: al G8 del 2001 ci voglio essere io Aldo Camillo ROMA Giuliano Amato ma già preparando il prossima G-8, quello italiano dol 2001. Lo dice con chiarezza, alla Farnesina, concludendo la terza Conferenza degli ambasdatori italiani noi mondo: «E' giusto che chi si e assunto determinate respoasabililà a Okinawa lo possa esercita�re a Genova». Tra qui e il G-8 di Genova ci sono la designazione dol candidato premier del conlrosinìslra e le elezioni, ma Amalo spiega agli ambasciatori di cssorsi impegnato «con gli altri capi di Stato e di governo» dello maggiori potenze mondiali ad inviare loro un elenco d�argomenti, «in modo da fare una precemita ed evitare un ordine del giorno troppo denso». Un impegno tanto più importante, sottolinea Amato, pcrdiri assunto dal pre�mier di un Paese dalla «visibilitii politica crescente» (aggettivo ripetuto tre volto). Purtroppo, denuncia il premier, «noi ci siamo spedalizzati nel parlare di 'Itnlioltn". Uno doformaziono italica, un rito sadomaso�chista. Taluni ci vedono ancora cosi. Ma molli, si sono accorti dell'accresciuta statura dell'Italia, Siamo noi dio dobbiamo liberarci dell'immagine dell'ItaliettaV Amato cita le tappe della crescita (le stesse indicate anche dal ministro degli Esteri Lamberto Dini), in particolare «la sorpresa dell'ingresso nella moneta uni�ca» o il molo-chiave svolto nei Balcani. Stigmatizza un'altra «deformazione italica»: «Noi siamo bravi a prendercela l'uno con l'altro, anche in risposta al bisogno di visibilità di ciascuno. Ma la visione italiana dell'Euro�pa è una sola: irrobustimento della dimensiono sovrannazionalc dell'Europa, esclusione di posizioni di privilegio precòstituito». Racconta della richiesta di un invito a Roma, formulatagli dal presidente sudafricano Mbokl «prova che anche per l'Africa rappresentiamo un punto di riferimento». Depreca «la scarsa rappresentanza» riservata all'Italia «negli organismi sovraraiazionali». Parla di integrazione europea (senza mai nominare Romano Prodi). Motte in guardia dalle incognite che ci attendono por l'autunno, nel Medio Oriento «dopo il fallimento di Camp David» e nei Balcani, E individua alcuni segni dolio «crisi della politica»: ad esempio il logoramonto della formula del G-8, paragonato a «un sovraccarica carro di Tespi, dgolonto sotto il peso crescente dogli argomonli» da affrontare, troppi in rapporto al «tempo esiguo». Un po' come accado con le risoluzioni dei dpef, «che all'inizio sono died, e al momento del voto sono diventate cento». Più volte Amato fa ricorso all'ironia. Quando parago�na la (superata) crisi di identità del corpo diplomatico in tempi di globalizzazione alla «perdita del monopolio di Eni e Telecom, con la differenza che gli ambasciatori non hanno le risorse con cui Eni e Telecom hanno trasforma�to il monopolio in una posizione a lungo dominante». Quando evoca la sconfitta della Nazionale agli Europei con la Francia («siamo stati capaci di perdere proprio quando avevamo già vinto»). E quando si congeda dagli ambasciatori, usciti da due giomate di tavole rotonde con died ministri (marted�è toccaM a Letta, Fassino, Melandri, Veronesi o Pecoraro Scanio, ieri a Bianco, Visco, Matlarollo, Zecchino e Bassanini), parafrasando Luigi XV: «Dopo di mo, la doccia». Prima della quale, però, è inlervonuto Dini a evidenziare il limite posto alla crescita dell'Ilalìa dal «cammino tuttora incompiuto» sulla vìo delle riforme ìstituzìonoli: «In politica intema�zionale occorre ha dotto il ministro degli Esteri essere in grado, credibilmente, di promettere e di punire. La continuità di governo, pur noli'alternanza di un sistema, sarà sempre più condizione di forza della politica estdra».

Luoghi citati: Africa, Europa, Francia, Genova, Italia, Roma