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Gutenberg Gutenberg ULAKt: MORRISON ragazzi cho incontravo a scuola erano figli d�conciatori, fabbri, faliìgnamì, ciabattini, cordai, tessitori, muratori. In confron�to a me erano rozzi di lìngua e senza testa per lo studio. Però quando parlavano dei padri li ascol�tavo con invidia. Uno d�loro, Mar�lin, fece amicizia con1 me, a coai credevo. Suo padre ora falegnamQ e durante In proghìoro, mentre oravamo inginocchiati, gli sussur�ravo domande sulla sua arte: quali attrezzi erano necessari, quali le�gni cedevano più facilmente alla lama e cos�via. Lui non aveva nessuna risposta da danni, e mi guardava confuso, ma un giomo, (ui|Ki le lezioni, mi invitò a osserva�re suo [ladri: ul lavoro. Usciti da scuola, svoltammo a destra verso il quartieri! degli artigiani. Seguim�mo una via larga l'indiò Martin mi trascinò in un vicolo, quindi in un altro, jxii in un altro ancora, ciascu�no più stretto del precedente. La mia emoziono cresceva a ogni svol�ta. Dietro, come un Grual o un altare, c'era il banco da lavoro dol jadre di Martin, la cui gloria il uccichio dol suo scalpello! lo splon doro dui trucioli! ero impaziente d�osservare. In un vìcolo più buio di tulli pli altri, un gruppo di ragazzi ci sbarrava il passo, e fra loro c'ora ii fratello d�Martin, Mallhìiis Formavano una sorta di nodo destinato a stringerei attorno a noi, o piuttosto attorno a me, perché Martin, die partecipava al complotto, scivolò dal mìo fianco o si un�a loro. 'Dove stai andando, (ìonsfloineh?" disse Matlhìiis, facondo un passo avanti e colpendomi fra lo costole. Questo Mallhias ora un corpu�lento poi d�carola duo anni muggìnre d�me. Anchu so a scuola ora un somaro, governava il conilo corno un tiranno, Fino a quol momonlo oro sfuggito allo suo attenzioni, Ma Martin tlovova avergli raccontalo di ino. Adesso io suo mani orano conio remi cho mi spingevano in�dietro, "Cosa ci fai qui?' mi chioso. "Dulia strai a poesono passare tulli. Tu no" disse affomindomi un braccio. "La tuo pelli* è troppo bianca. Guardatelo un po', ragazzi. Guardalo il Gonsfleisch.,' Ormai mi aveva strappato una manica, e pizzicava il mio braccio lentigginoso come se strappasse vìa le penne. Gli altri ragazzi ride�vano. In mezzo a loro ce n'era uno piccolo e grosso, con la faccia arrossala, che ripeteva ad alla voce: "Pelle d'oca, pelle d'oca, pelle d'oca". Abbassai gli occhi sul braccio: i peli erano ritti per la paura, li i p» ìli: chiazzata. Alzai lo testo e guardai dritto negli «celli Matthioa, in attesa di conoscere il mio destino. Il ciccione dalla faccia arrossala lo incalzava; "Picchiolo, Motti". Ma forse Matthios provò pietà per me: ero troppo piccolo per meritare 1» torturo che avevano preparato. "Staitene col tuo branco di oche, Gemfleisch" disse, e mi lasciò anda�re. Mi voltai e presi a correre, via dalle suo mani, via da Martin il traditore o dal ciccione dalla fàccia arrossata. Mi persi nel labirinto d�vicoli o alla fine riuscii a sbucare sul fiume, e da II sapevo navigare fino a casa. Mi faceva male il braccio por la stretta di Mallhias, ma le mani erano inlallo. Il giorno dopo non parlai con Manin né lu�con mo. Ma c'era una tregua fra noi. E Mallhias non mi tormentò più. L'unica ferita era al mìo orgo�glio. Polle d'oca, e quol ciccione dalla faccia arrossala cho io ripete�va sempre più forte. Ai ragazzi della Zocca piaceva abbassare lu sguardo su t i me. I ragazzi delle gilde odiavano alzare gli occhi. Bono, allora: dovevo vive�re in un limbo, in mozzo u loro. Scuola Prima di conlinuaro, devo cita�re in breve, dato che b arrivala proprio stamattina, una lotterà di Herr Doklor Konrad Humory, uno di quelli che a Magonza mi vogliono ancora bene. Scrìvo che la mia casa in città ò tornala lìbera, perché gli studenti ai qua�li ora stata dula in affitto sono siali coslretti ad andarsene. Spo�ra che io consideri ancora la possibilità di tornare: cos�po�tremmo vederci più spesso, cosa che la mia permanenza a Eltvìlle ora impedisce. "Molti d�noi che oravamo stati banditi siamo già tornati. Non farai lo slesso, Johann?" Be', forse gli furò una visita in segreto. Ma non abiterò più a Magonza. Sono troppo ama�reggiato. Quest'amnistia arriva troppo lardi. Perché non sono stato sincoro sul mìo soggiorno qui, Ho lascia�to intenderò che sìa una sorta d�riposo, di ritiro. Esilio sarebbe una parola più vicina al vero. Duo anni fa sono stalo bandito, non dalla terra natia ma destino peggioro dalla mìa città. Una convocazione al Diolmarki. Ottocento di noi, chiusi in un recinto come pecore. Siamo giunti li sicuri d�ossero coslrotli a giurare fodollà al nostro nemi�co, il nuovo arcivescovo. Invoco ci viene dotto che dobbiamo an�darcene, cho caso e boni ci vorran�no confiscali, che siamo banditi. Soldati alla destra e soldati alla sinistra, gli svizzoi�con lo bale�stro, ^l�altri con lo spade. Cammi�nare in mezzo a loro o udire i loro insulti: "eretico", "traditore". Camminare in mezzo a loro e sontiro gli sputi sulla pollo. Non servo a nionle porgere l'altra guancia, se sono entrambe bagna�to. Lacrimo, catarro, rabbia, ver�gogna. Sono troppo vecchio por tulio questo. S�sono prosi i mioi aitrozzì. �mioi carElleri, o mi hanno caccialo vìa. Hanno dato la mìa casa a un lacchè dell'arci�vescovo, poi l'hanno affiliala a studenti di logge. Altri hanno subilo di poggio, non lo nego. E un unno fa, il nostro esìlio ò sluto revocalo, cosi cho molti, come il dottor Humory, sono tornali. Adesso vogliono che torniamo tulli. Hanno bisogno delle nostre arti perché la citta possa prospe�rare. Sono sicuro che il dottor Humory è stato costrotlo a scri�vermi. In ogni caso, ho deciso di non assecondarli. Se in casa mia ci sono stali gli sludonli, in che slato sarà ormai ridotta? Avran�no pisciato negli angoli, aperto bue ii noi muri, rotto piatti e Mintole di terracotta, E anche se osse linda come il paradiso, non ci ritornerei. Per il momento forse, fino ella mone resterò qui. m m m Lo mio prima scuola era vicino a casa, a Sankt Christoph. Ho ricordi telici, a porte la circostan�za dell'agguato di cui ho parlato. Imparavamo a cantore e a scrive�re. Mandavamo a memoria i Sal�mi. Tracciavamo mappe di stelle lontane. Ripetevamo le gramma�tico ni ritmo della conno del maestro. "Quante sono le porti del di�scorso?" "Otto. Nome, pronome, verbo, oggettivo, avverbio, congiunzio�ne, preposizione, interiezione.'' Vedete, le so ancoro o memo�ria, grazio al potere della ripeti�zione. Confosso cho da ragazzo queste procedure meccaniche mi opprimevano. Ma non si può lasciare che i bambini apprenda�no per conto loro: non s�arrivereboe mai alla conoscenza. Conti�nuare a ricopiare è la fonte della sapienza. È una regola che ho applicalo ancho alla slampa. In quella scuola si insegnava l'aritmetica con le cifro arabe. Fu solo ( uando le gambe mi crebbe�ro abbastanza da consentirmi di frequentare la mia seconda scuo�la, i! convento d�Sankt Viklor, a tre miglia da casa, che scoprii quale terribile eresìa fossero quei sìmboli. Quando, il primo giorno, mi fu chiesto d�scrivere da uno a novo, elencai �numeri come mi aveva insognato il vecchio mae�stro l, 2,3,4, 5, G, 7, B, 9 ed ero orgoglioso d�averli tracciati con cura, con tanto ordine e precisio�ne. Ma fratello Benedikt, il vec�chio frale nominalo mìo nuovo maestro, che per unici peli su lesta e faccia aveva quelli che spuntavano da un grosso neo marrone sulla guancia sinistra, fremette di rabbia non appena vide la mia opera. "Che linguaggio da infedele è mai questo?" gridò. "Sono numeri, padre." "Sono opera di Satana." Non era possibile che fosse la prima volta che incontrava i numeri del diavolo: molti ragazzi prima di me (per esempio mio fratello Frìele) erano giunti a Sankt Viklor dalla mia vecchia scuola. Eppure si comportava colile se io fossi Lucifero e lui fosse stato incaricato da Dìo di bloccare la mia caduta. Con le mani ancora tremanti, condannò il mio errore e disse che se lo avessi mai ripetuto, lui in perso�na mi avrebbe battuto e frustalo, e osservando il suo volto rosso di rabbia e quegli occhi d�basalto, non mi sognavo nemmeno di mettere in dubbio le sue minac�ce. Vedendo quanto tremavo, pre�se a parlarmi in maniera più delicata, e dopo aver barrato con irati trotti di penna il mio delitto (quasi volesse frustare i numeri con l'inchiostro) vergò tenera�mente la sua casta replica: I, lì, III, IV, V, VI, VII, Vili, IX. "Osserva" disse, "la pura e meravigliosa semplicità. Con i numeri romani, ti busta possede�re solo tre segni per scrivere nove numeri." Poiché non volevo irritare fra�tello Benedikt fin dal principio, tenni per me il pensiero che alcu�ni numeri romani richiedono vari tratti, quattro per esempio nel caso di Vili. Cosa c'era mai di semplice in questo? E perché IV e IX? Dov'era la logica? E anche un'altra questione mi lasciava perplesso: "Posso fare una domanda, pa�dre? Come si scrive lo zero?" "Non c'è un segno del genere" disse lui, di nuovo irritato. "Da cristiano, devi dimenticare l'idea di zero. Nell'universo di Dio, tutto è. vivo e abitato, perfino l'inferno. Non c'è mai il nulla." "Ma come faccio con le somme, senza lo zero?" "Ripeto: un numero del genere non esiste. Il punto più prossimo al nulla a cui Dio ci concede di arrivare è il purgatorio. Ma anche il purgatorio, benché sia una via di mezzo, è sempre un luogo abitato, non uno zero." "E allora come si scrìve dieci?" "Dieci si scrìve così: X." "E se si vuole moltiplicare un numero per dieci, si segue la slessa regola? Quando tre diventa trenta, è IIIX?" "No, trenta è XXX." "Cosi ottanta sono otto croci invece di otto e uno zero?" "No, ottanta è LXXX: L sta per cinquanta." "E cento, che io scrivo con un uno e due zeri?" "Cento è C, e per ricordarlo Puoi considerare, se vuoi, che è iniziale di Cristo nostro Signore, mentre lo zero è il segno del diavolo. Cosa potrebbe esserci di più chiaro? Abbiamo parlato abba�stanza." Secondo fratello Benedikt, i ragazzi non dovevano parlare, ma solo ascoltare. E per lui non stava�mo ascoltando se non eravamo irrigiditi dalla paura. Ci instillò la paura: avevamo paura di lui ma anche di Dio, che credevamo aves�se gli occhi di basalto e il tempera�mento tempestoso di fratello Be�nedikt, se non i suoi nei sulla guancia. Sparavamo che compor�tandoci bene avremmo indotto fratello Benedikt a rivolgersi a noi in maniera più gentile, e Dio a sua volta ad amarci. Mo ioli sparanze vennero subi�to infrante. Dio, diceva fratello Benedikt. ero del tutto disgustato dalle sue creature. Il destino di uomini e donne, giovani e vecchi, nobili e gente comune era segna�to. Il Giudizio era imminente, la luce dell'Apocalissi ero o portolo di mono. "E il maro s�leverà cento piedi sopra le montagne, come un muro possente. E gU alberi suderanno , una rugiada di sangue. E terremo�ti prostreranno gli uomini, e i palazzi crolleranno. E 1; monta�gne diventeranno polvere. E ca�dranno le stelle. E i cieli e la terra bruceranno fino od annientarsi. E questi saranno i segni." Cosi, fratello Benedikt d riem�pivo del terrore della fine. Il suo neo vibrava mentre lui parlava, felice della prospettiva dell'Apoca�lissi. Non parlavo mai di resurre�zione, e nessuno di noi osava chiedergli perché. Ogni giorno mi svegliavo con lo paura dell'Apocalissi. Ogni notte mi oddormontovo nel terrore del Giudizio. Traduzione dt Massimo Btnattari «-continua; Abbassai gli occhi sul braccio: i peli erano ritti per la paura, la pelle chiazzata. Alzai la testa e guardai dritto negli occhi Matthias, in attesa di conoscere il mio destino. Il ciccione dalla faccia arrossata 10 incalzava: «Picchialo, picchialo!» Fratello Benedikt ci riempiva del terrore della fine. 11 suo neo vibrava mentre lui parlava, felice della prospettiva dell'Apocalissi. Non parlava mai di resurrezione, e nessuno di noi osava chiedergli perché. La notte mi addormentavo nel terrore del Giudizio. Ed io scrissi i numeri del diavolo al vecchio rate, mastro Benedikt...

Persone citate: Cammi, Diol, Fratello Benedikt, Gutenberg Ulakt, Herr, Manin, Sankt Christoph, Sankt Viklor, Zocca

Luoghi citati: Magonza