Gutenberg

Gutenberg Gutenberg Nella Magonza del 1400, tra culla e cucina acri me e trottole e una profetica caccia al topo SONO nato a Magon�za il... Ma permettetemi d�abbandonare i solilo cammino. Benché mi sia Impegnato a essere since�ro, di certo posso prendermi la libertà di un'omissione, se ixjr vanita o (icr via di una memoria che svapora toccherà a voi decidere. Per umore dell'urmonia potrei proporro come anno il NOO, cosi da assodare la mia nascila n quella del secolo. A mo' di svolazzo potrei indicare la festa di un santo, quella di Min Giovanni Battista, il venti�quattro di giugno, ilo superato il triplo di venti ma ho meno di seiianl'anni Avete un abaco jier fare; i vostri conti, Non sarò più preciso di cosi. Trascorsi gli anni dell'infanzia... l'osso saltare anche questo? Dato i:liei)ossii;ilop(M:lii! impressioni del�l'infanzia, e meglio che anche (fliesla pagina della mia vita resti bian�ca. Ilo un unico ricordo lontano. E' il crepuscolo, e giaccio soddisfatto nella culla, in cucina Sopra di me, ci sono panni slesi ad asciugare. Accanto al luoco, mìa madre sta spiegando alla cameriera comi! s�cuciono i calzoni corti, e intanto sgrida la cuoca |x'r lai le aggiungere pepe allo stufato, Davanti alla por la passa un cavallo che riporta a casa dal mercato un barbuto mer�cantidi tessuti Puoi i il ritmo degli zoccoli, dentro il frastuono di padel�lo di ferro, il fumo che si leva verso lo travi, il mormorio di donne assor�ta nelle raccendo domestiche,,. Mi senio in pace, come so l'ossi ancora nel grembo di mia madre, All'iroirowiso, su un lato della culla, si èva una luna e la faccia pallida di mìo fratello Prìelo die mi sorride Felice di godei e poi una volta della sua attenzione, ricambio il sorriso. Subito dopo il mio siiu i:.o si allarga ani ora, perché dall'altro parto della culla e sorto un altro pianeta, il rosso s ileiidenle di mia sorella Else. So e 0 luna, sorella e lialelln come sono lortunato a vivere tra le loro allegre orbile! Presto la culla, che ora sempre slata sliorala congentilezza, coni" da una brezzaprende a dondolare come una barcaormeggiata sul Reno E mentre iorido perché i miei lialelli mi lamio ondeggiare in quel modo, i Ionocchi che splendono sopra di memandano un bagliore appena più violento, e il dondolio diventa un'oscillazione più decisa, e l'oscillazione divt.'iita uno scuotimento, e lo scuotiinentu un sobbalzo, e isobbalzo un vento di burnisca, e laburrasca una tempestai e la tempe-sia un fortunale, finché il vascello di le^no in cui sono racchiuso vieno lanctnto selvaggiamente su e giùAdesso lu mia felicitil s�e irasformni.i in panico, e il riso in pauraTroppo sconvolto |)er rilrovure In voce, sono dapprima un silenzioso ululato di rabbia, finché lo urta saprono uno strada o strap|Mino pianoli dal ciulo. Costrutta a mtervoniro, mio madre arriva di corsa, msalva dalle onde u ini accoglie neporto del suo putto: "Oh, Monnepovero piccolo Henne" cantilenaTra i singhiozzi o le lacrime, aprincipio non riesco a irovaro icapezzolo, mu presto mi ritrovo succhiare, nuovamoiilo soddisfai to: il mio piccolo viaggio si è felice�mente concluso in un "V" golfo di tenerezze, O co�s�dovrebbe essere. Ma il ricordo non finisce qui. La came�riera si punge un dito con un ago. La cuoca rovescia una pentola e si scolta una mano. Mia madre corre ad aiutarle e mi struppa dal petto, gettandomi a metà del pasto nella culla, dove mi niello a sospirare e piangere disperato per essere stato spinto via cosi rudemente. Quando i miei Occhi tornano a vedere qual�cosa fra le lacrime, ciò che mi sembra di scorgere sono Friele ed Else, tornali non a stuzzicare me, ma a prendere posto al petto di miu madre, uno per ciascun seno, e lei (mentre rimprovera la cameriera e lienda la cuocal lascia fare. E cosi la notte avvolge la cucino. Con quale chiarezza questo episodio si ó slampulo nella miu memoria! Ancora oggi, ogni volta che osservo un cielo stellalo quell'impressione toma a me non cercala, come se lu pulussia fosse lo spruzzo dissipato di tutto il latte destinalo a me e invece finito ai miei fratelli. Eppure, in luna onestà, non posso prestar fede a quel ricordo. Nessuno può rivedere ciò die gli è capitato quando era nella culla. Friele ed Elsa dovevano essere ben oltre l'età dello svezza�mento, e di sicuro mia madre, per quanto distratta, non avrebbe per�messo loro di maltrattarmi in quel modo né li avrebbe pardonatl tanto facilmenle. No, il fatto che questa sia l'unica immagine recuperalu dai miei primi cinque unni sulla terra suggerisco, quando lu studio a mente fredda, che non fosse un evento reale ma un sentimento che contaminò la mia infanzia: l'impres�sione di essere, come terzogenito, ull'ultimo posto nel cuore d�mia madre. Meglio chiamarlo non ricor�do ma sogno, anche se sognalo per una buona ragione, dato che noi sogni abiluno i dolori dell'anima. Oualo che fosse la verità dell'episo�dio, do qui si fonnò una ferma risoluzione: dato dio oro l'ultimo della famiglia, sarei stato il primo in qualcosa d'altro. Quanto al resto dell'infanzia, è unu rapida lantemu magica di fa�sce, gengive infiammale, sonagli d�legno, trottole, corchi, verghe, sfer�ze, lacrime, scalti di rabbia, biandieria sporca, capelli tirati, ginoc�chia sbucciate, denti lasciati sotto il cuscino, candele che si sciolgono, pietre da lastrico, topi campagnoli, vecchio zie baffute, risate senza ragione e dolori sfrenuli. Non pian?;o la pcidiln dei particolari che àrebbero rivivere questi fantasmi in tutto il loro vigore. Una volta che l'inizio della vita ò slato escluso dalla mente, l'uomo è libero di dedicarsi a meditazioni più profitte�voli. Ricordare l'infanzia vorrebbe dire vivere in perpetuo nella sua fetida prigione. Dato che è la mia infanzia ad aver scelto di dimenticarei, ho deciso di fare lo stesso. Che cosa ho ricavato dal petto di mia madre? Sarei tentato di dire nulla di sostanzioso, ma sarebbe ingiusto. Lettore e numeri: ecco cosa mi ha insegnato. E a scrìvere. Aveva�mo una penna d'oca in casa, e un calamaio a cui attingere, e lei mi introdusse all'arte: a quale angolo tenere la penna alVmche l'inchio�stro fluisca liberamente dalla pun�ta; come piegare e sollevare il polso cosi da non far sbavare la scrittura; quale pressione esercitare per non bucare la carta. Mi insegnò anche a scrivere chi ero. Questo mi lasciava confuso. Casa nostra era Hof zum Gutenberg, e lo era da generazioni, cosi Gutenberg (secondo l'uso) avrebbe dovuto essere il mìo nome. Ma ixiiché la casa non era legalmen�te ili proprietà della nostra fami�glia, venivo chiamalo col nome de^l�anlenati di mìo padre, Gensfleisch: carne d'oca. Anche il mìo nome di battesimo era ben poco chiaro ai miei occhi. Sullo carta, scrivevo Johann, Mu i mini genitori mi chiamuvuno Johannes, Johnnn, Hengin, Henchen, Henne, Hans e Hen, a seconda del loro capriccio o del mio comportamento. Più breve era il nome, più lo pronunciavano con afTello. Ma non poU;vo prevede�re, ogni volta, chi sarei stalo. Clio un nome possa fare molla differenza lo appresi un pomeriggio d'inverno, tornando a casa col far�setto macchialo di sangue. In quei giorni il noslro gioco preferito era calciare, tirare, trascinare, attacca�re e tormentare ogni carogna d�topo che scovavamo, cosa che acca�deva pìullosto spesso (�magistrali della città, du mollo temilo appesta�la dui topi, avevano fallo distribui�re il veleno nelle cunline e nei cortili), I curili più vecchi e irrigiditi scivoluvano secchi sui ciottoli, co�me un sasso sul ghiaccio. Quelli più freschi e molli, gonfi di sangue appena arrestatosi, erano meno compiacenti, ma avevano il vantag�gio, se pungolati con un bastone apuzzo, di produrre generose emis�sioni di sangue. Quel giorno, ero per strada a giocare da solo quando nella neve trovai un grosso topo morto. Dopo avergli aperto il ven�tre, afferrai la coda tra pollice e indico e irascìnui il cadavere lungo la via, osservando incantato il flus�so regolare di sangue rosso su una fila di ciottoli biunch�di neve, unu traccia dritta quasi fosse tracciata con un righello. Sull'ultimo ciottolo presi coraggio e feci roteare il topo, in modo da depositare una chiazza rossa decorativa, una voluta, come una lettera miniata in testa a una pagina. Il mio primo esperimento d�slampa? Se proprio volete leggerlo cosi. Ma per me l'episodio aveva un altro significato. Era tardi. 1 miei calzoni corti erano laceri. Nel crepu�scolo avevo perso da qualche parte il berretto. Sospettavo di essere nei guai, e mentre mi avvicinavo a casa, la voce d�mio padre (nella sua tonalità più severa) che gridava "Johannes" confermava la sensazio�ne. Svoltai nella nostra vìa. Lui era in piedi accanto alla porta aperta. Vedendo le mie mani e �vestiti imbranati, s�piegò per entrare in casa e riemerse impugnando una sferza. Abbassai la testa e mentre raggiungevo la soglia assunsi l'aria più umile, come un borsaiolo che supplica in silenzio che gli sia risparmiata la vita. Mìo padre era fenno dov'era, provando d frustino sul palmo delia mano, e io mi rassegnai alla sferzata. Ma poi sot�to il suo braccio levato apparve mia madre, vide la mia espressione, strillò alla vista del sangue e mi strappò dalle fauci del castigo: "Hen, Hen, chi ti ha ridotto cosi?" gridò. Che il sangue sparso sui miei vestili e sulle mani non fosse mio, anzi non fosse nemmeno umano, mìa madre non poteva saperlo. Aggrappandomi a questa convinzio�ne con a stessa forza con cui avevo slretio la coda del topo, spinsi un singhiozzo fuori della gola, e le lasciai immaginare che fossi stato aggredito da una banda di ragazzi più grandi e dolorosamente ferito, queste essendo le conclusioni a cui mìa madre era stala condotta dal suo sioeso balbettio spaventato: "Caro, caro... A litigare con gli altri ragazzi... Povero pìccolo Hen, cosi piccolo per fare la lotta... Vieni dalla Multi", Dato che mi ero azzuf�falo con altri ragazzi, mìo padre avrebbe potuto ugualmente frustar�mi. Ma non sapendo come replicare a mia madre, posò la sferza e ci lasciò in pace. Avevo creduto che sarei andato a letto col sedere gonfio e senza cena. Invece, quando alla fine smi�se di tubare, mìa madre mi fece il bagno, mi diede una pesca (premio non piccolo) e mi cullò e cantò ninnenanne fino a farmi addormen�tare. Qh, che esito fortunato! A questo episodio atiribuìsco la sco�perta del potere delle moine. E anche di come mentire: non propa�gando attivamente menzogne ma lasciando che gli altri si convincano d�qualcosa d�falso. Menzogne e moine le avrei usale in seguito nelle mie transazioni commerciali. E questo ho appreso al petto di mia madre. • •« Mìo padre era rìgido ma anche sereno. Alto, con la faccia sottile, non si affrettava mai per nulla, né si lasciava mai travolgere dalle passioni. Aveva il distacco di un personaggio del Calvario raffigura�to sulla vetrata di una chiesa, uno di quelh che stanno in disparte e non si lasciano commuovere. An�che se noi bambini lo vedevamo ben poco, e quel poco di sera, tuttavia ci pareva di capire che fosse una persona in pace con se stesso, con ciò che era e con il modo in cui vìveva: contrarìamenle a mìa madre, che assomigUava piuttosto a una Maria Maddalena e indossa�va la sua infelicità come un suda�rio. La sua sfortuna fu di essere nata in una famiglia d�bottegai. Per la precisione, suo padre Werner possedeva la bottega di pietra", cosi chiamata, immaginavo (dato che nonno Werner era morto da un bel pezzo), per darsi delle arie, dato che le botteghe attorno erano umili baracche di legno. Mia madre era molto suscettibile sulla stia ascen�denza. Se per caso si sfiorava l'argo�mento, cosa che lei faceva di tutto perché avvenisse molto di rado, stringeva gli occhi, si ergeva in lutti i suoi cinque piedi scarsi, faceva sporgere il petto, e si vantava che sua madre si era sposata dapprima con un Furstenberg, 'praticamente nobiltà'. Troàxtzxane di Massimo Birattari 12 continua) Dato che ero l'ultimo della famiglia, sarei stato il primo in qualcosa d'altro. Quanto al resto dell'infanzia, è una rapida lanterna magica di fasce, gengive infiammate, ginocchia sbucciate, denti lasciati sotto il cuscino Mio padre era rigido ma anche sereno. Alto, con la faccia sottile, non si affrettava mai per nulla, né si lasciava mai travolgere dalle passioni. Aveva il distacco di un personaggio del Calvario... hé nce�mi la se ixjr oria che ecidere. trei pro cosi da uella del o potrei o, quella il venti�perato il meno di baco jier sarò più nfanzia... to? Dato sioni del�che (flieto: il mio piccolo viaggio si è felice�mente concluso in un "V" golfo di tenerezze, O co�s�dovrebbe essere. Ma il ricordo non finisce qui. La came�riera si punge un dito con un ago. La cuoca rovescia una pentola e si scolta una mano. Mia madre corre ad aiutarle e mi struppa dal petto, gettandomi a metà del pasto nella culla, dove mi niello a sospirare e piangere disperato per essere stato spinto via cosi rudemente. Quando i miei Occhi tornano a vedere qual�cosa fra le lacrime, ciò che mi sembra di scorgere sono Friele ed Else, tornali non a stuzzicare me, ma a prendere posto al petto di miu madre, uno per ciascun seno, e lei (mentre rimprovera la cameriera e lienda la cuocal lascia fare. E cosi la notte avvolge la cucino. Con quale chiarezza questo episodio si ó slampulo nella miu memoria! Ancora oggi, ogni volta che osservo un cielo stellalo quell'impressione toma a me non cercala, come se lu pulussia fosse lo spruzzo dissipato di tutto il cosi da non far sbavare la scrittura; quale pressione esercitare per non bucare la carta. Mi insegnò anche a scrivere chi ero. Questo mi lasciava confuso. Casa nostra era Hof zum Gutenberg, e lo era da generazioni, cosi Gutenberg (secondo l'uso) avrebbe dovuto essere il mìo nome. Ma ixiiché la casa non era legalmen�te ili proprietà della nostra fami�glia, venivo chiamalo col nome de^l�anlenati di mìo padre, Gensfleisch: carne d'oca. Anche il mìo nome di battesimo era ben poco chiaro ai miei occhi. Sullo carta, scrivevo Johann, Mu i mini genitori mi chiamuvuno Johannes, Johnnn, Hengin, Henchen, Henne, Hans e Hen, a seconda del loro capriccio o del mio comportamento. Più breve era il nome, più lo pronunciavano con afTello. Ma non poU;vo prevede�re, ogni volta, chi sarei stalo. Clio un nome possa fare molla differenza lo appresi un pomeriggio d'inverno, tornando a casa col far¬JWvtiMm