Nella fabbrica del tondino che uccide
Nella fabbrica del tondino che uccide UNA DELLE CAPITALI DEGLI INFORTUNI Nella fabbrica del tondino che uccide A Brescia, storie di operai traditi dalla scarsa sicurezza inchiesta Brunella Giovani inviata a BRESCIA CON gli occhi spalancati («era come sorpreso»), ha cercato persino di rialzarsi («un mezzo passo»), e di parlare («ha balbettalo qualcosa ma nes�suno ha capito»). Poi è andato giù. Raccolto dai compagni, soc�corso («ma cosa si poteva fare? Niente»). Portato in ospedale. Morto. Si chiamava Roberto Marcarmi. Aveva 44 anni, da venlisei dipendente della Alfa Acciai di San Polo, periferia di Brescia. Sfiorato al torace da un lingot�to di acciaio da 95 ouintali che dondolava appeso ad una gru, lo ha toccato appena, con dolcez�za, e sbattuto contro un muro. Incidente successo alle 8,45, decesso registrato alle 9,40 di gioved�4 maggio 2000. Nella classifica dei morti del Bresciano, Marcarini e la sua breve agonia occupano il nume�ro 10. Classifica provvisoria, naturalmente. I dati dell'lnail raccontano che da quel giorno almeno altre quattro persone sono decedute in orario di lavo�ro: tradite da una macchina che di colpo impazzisce, da un pon�teggio che cede e ti fa volare giù come un angelo, da un lingotto che «dondolava piano piano». Dino Greco, segretario della Cgil di Brescia, dice che qui da anni gli infortuni superano quo�ta 25 mila. E i decessi aumenta�no: «L'anno scorso diciassette. Quest'anno quattordici, e siamo solo a luglio. Senza contare le persone che riportano gravi le�sioni permanenti, dalla perdita di una falange al braccio intero. Almeno cinquecento». «Marcarini era il mio mae�stro. Lui mi ha insegnato il mestiere». Mauro Lumini è il delegato Rls-Rsu della Alfa Ac�ciai e il suo maestro di fonderia vuole ricordarlo da vivo, anzi�ché steso con le braccia spalan�cate e con gli occhi sbarrati cho guardano niente. «Io avevo 18 anni, lui mi ha spiegato tutto della colata continua: 'So succe�de cos�e cosà, allora tu devi schiacciare il bottone e scappa�re via*». Una delle prime lezioni era stala quella sui temporali: «Mauro, ricordatelo sempre be�ne: se viene il temporale c'è il rischio che salti la corrente. Se la corrente va via, le pompe dell'acoua si fermano, 1 acqua del raftreddamento non arriva più, e tu sei nei guai fino al | collo'». Perciò, «ferma tutto e scappa il più lontano possibile». Sante parole. Infatti Marcari�ni non è morto alla colata conti�nua. Da qualche tempo l'aveva�no spostato, «aveva gli occhi rovinati dal calore, e problemi cronici di cataratta. Adesso face�va il carrellista». Il 4 maggio aveva appena scaricato la barra al collega che l'avrebbe aggan�ciata al a gru, e stava andando a prendere qualcosa le sigarette, una pinza, nessuno lo sa negli armadietti che stanno dove non dovrebbero stare: sotto i carichi sospesi. «L'azienda ha ammesso le sue responsabilità spiega Lumi�ni Perché più volte abbiamo chiesto di spostare quei vecchi armadietti che sono l�da quarant'anni, e nessuno l'ha mai fatto. E poi il carro ponte non funzionava bene. Anche questo, detto e ripetuto più volte». Per Roberto Marcarini la fab�brica si è fermata due ore. Per Salvatore Graci invece no. Cadu�to sul lavoro il 15 maggio nella sua fabbrica di Rezzato (la Pa�nia, prefabbricati), travolto da un pannello di 8 quintali che stava sistemando sui rulli. Mor�to sotto gli occhi di tutti gli altri. Ma la produzione non è stata sospesa, nessuno ha pensalo di fermarsi in segno di protesta. E anche un cugino di Graci, quello che lo aveva accompagnato in ospedale, è tornato di corsa in fabbrica, «non so neanche io se devo scioperare o se devo tomare al mio posto. Voi cosa dite?». Romano Rebuschi, funziona�rio della Fillea Cjgil di Brescia, spiega che quel giorno «tutto è andato avanti come se niente fosse. Il giorno dopo abbiamo fatto un picchettaggio, ma l'azienda ci ha anticipato: ha chiuso per lutto. Gli impiegati comunque sono andati a lavora�re, dicendo che non avevano ricevuto disposizioni diverse». Va così, nella ricca Brescia della ricca Lombardia. Sauda Pierino invece è morto alle Fonderie di Torbole. e di lui morto si sono accorti per via di un allarme che segnalava un motore surriscaldato. Da che? Da lui. Incastrato in qualità di «corpo estraneo» in un nastro trasportatore di terra. Sauda era d solo sorvegliante di quel nastro, in un'area dove non ci dovrebbero essere persone, ma solo macchine. Il suo compito era di cambiare le cartucce di grasso, e quando l'ha fallo l'in�granaggio l'ha tirato dentro, tra H nastro e il cilindro. Non fosse scattato l'allarme per quel molore che forzava, l'avrebbero tro�vato a fine turno. Cinque anni fa lo slesso inci�dente era capitato ad un «capo»: finito nella macchina con un braccio, salvalo dall'intervento di un operaio che aveva fermato la macchina, incidente risolto con qualche frattura. Sauda in�vece era solo. E il nastro non era Protetto dal «carter», che separa operaio dall'ingranaggio.. Per tutti questi motivi, la famiglia ha respinto l'offerta dell'azien�da: copertura delle spese fune�bri, cioè bara e trasporto pagati. «Noi vogliamo fare tutto ciò cbe può essere utile, affinché questi incidenti non si ripetano mai più», dicono i parenti. Un fratello si costituirà parte civile al processo, assieme alla Fiom. Non succede spesso: di solito accettano un risarcimento e pen�sano al futuro dei figlipiccoli. Qualcosa sta cambiando, pe�rò. Il 6 giugno il giudice Lana Tosi ha firmato tre condanne per i morti della Sei di Ghedi (22 agosto '96), e soprailutta ha riconosciuto il risarcimento dan�ni alla Cgil, per la prima volta ammessa tra le parti civili. «Una battaglia importante, vinta in solitudinen. fu il com�mento del sindacalo ad una sentenza storica, che rendeva giustizia al caporeparto Senti�menti, al caposquadra Bignotti e all'operaio Gattina, morti in un'esplosione nella fabbrica che produce bombe d'aereo. E ades�so «capita spesso che i pubblici ministeri ci citino come 'parti interessate'', spiegano alla Came�ra del Lavoro. Ma se davvero c'è un nuovo corso giudiziario, questo non influisce granché sul numero degli incidenti e sulla prevenzio�ne. La Fonderie di Torbole. ad esempio, sta probabilmente fa�cendo tutto uuanto impone la legge 626 sul a sicurezza degli impianti e dei lavoratori. Gli infortuni però continuano, e il rischio non è solo per chi segue le lavorazioni pericolose. Quat�tro operai hanno rischiato di morire in un box saturo di monossido di carbonio. Si sono salvati perché uno di loro, nella caduta, ha sfondato una porta. E poi c'è Paolo. Sfiorato da uno schizzo di ghisa incande�scente, si ò rivoltato contro il suo «capo» che aveva fatto una manovra poi definita dall'azien�da come «inopportuna». Lo ba malmenato, «potevi ammazzar�mi», e giù parolacce e bestem�mie. «Allora il capo mi ba preso a pedate nel culo, a me cbe avevo appena visto la morte passare a mezzo metro». E' fini�ta con un'ammonizione scritta. Per Paolo. Roberto Mai'carini aveva 44 anni è stato urtato al torace da una sbarra di acciaio pesante novantacinque quintali Salvatore Graci è stato travolto da un pannello pesante ottocento chili che stava sistemando sui rulli della linea di montaggio Secondo la Cgil gli Incidenti sul lavoro nel Bresciano sono 25 mila. In aumento II numero del decessi e delle persone che subiscono lesioni permanenti
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