«La mia America a Via Lungara»

«La mia America a Via Lungara» «La mia America a Via Lungara» Fernanda Pivano racconta la sua casa di Roma «Qui venivano a passare le vacanze i miei amici scrittori, da Alien GinsbergaHaroldBrodkey» personàggio Ffoirella Minervino VIA Lungara è una lunga stra¬ da stretta, sotto il Gianicolo, a Trastevere, con mille botte- gucce, minuscoli bar, chiese e chie- supole, un fabbrica di candele, giar¬ dini magnifici e occulti. Più che a Roma pare di trovarsi in un borgo, dove tulli si conoscono e si saluta¬ no. Al termine, vicino all'arco, si leva una curiosa costruzione, sei¬ centesca, a tre piani, lunghissima, con persiane verdi, geram, inferia¬ te al piano terra. Sembra un mona¬ stero, invece era in origine un mulino, poi trasformato in scude¬ rìa dei Torlonia, infìne dopo la Seconda guerra mondiale, in curio¬ so stabile dai molti appartemenli, diviso all'interno in duo ali, ciascu¬ na con delizioso giardino di rose,, alberi, palme, felci, capitelli, sta-' tue. Una decina d'appartamenti, eui tre piani, con scala a cbiocciola e terrazza in cima, offre un'incredi¬ bile varietà di portoncini sul giardi - no. Nell'altro lato si affacciano lo case più ricche, con terrazze spazio- no. E' un luogo un po' misterioso, magico, con qualcosa di mistico che induce a ponsaro a orazioni collettive o ad asceti votati al silen¬ zio. La Kasbah, cosi si chiama, è un intrico di alloggi e di persone svaria¬ te, registi famosi, attrici, psichiatri, gente di tofilro. Qui trascorra l'esta¬ te Fernanda Pivano, la famosa ame¬ ricanista che fin l'America ci invi¬ dia, scrittrice, saggista, giornalista raffinata, che con l'amico Cesare Pavese da Torino introdusse la letteratura americana in Italia, con¬ tinuò poi con tutti gli scrittori divenuti celebri, da Hemingway a Korouac o Ginsbetg, fino a Jay Mclnemoy e Paul Austor, L'appartamento 19, con portici¬ na verae, tettuccio, albero ui aran¬ ce davanti, ò quello della Pivano, All'interno un vano dall'arredo semplice, disertilo, divani, sedie, pianoforte, tavolo, la biblioteca un po' alla rinfusa, neppure l'ombra d'una cucina, come sempre nelle case di Nanda. Al primo piano la camera da letto gioiosa, con dise¬ gni, marionette, ricordini alle pare¬ li, una finestra che dà sul verde. All'ultimo, ecco ii suo studio dove scrive; libri ovunque, casse ri¬ colme di volumi come dovease par¬ tire ogni momento. Un tavolo bian¬ co è la sua scrivania, davanti al terrazzino di rose e caprifoglio. «Qui mi trovo benissimo - riflette -. Amo Roma, ci venivo da bambina con i miei genitori all'Hotel Has- serl, poi di nuovo fino al 1972, quanao un giovane intervistatore, ora regista e psichiatra, Ottavio Rosati, mi spiegò l'inutililit d'un albergo costoso, quando c'era un'in- credinile casa in via Lungara, Mi precipitai, il portiere giurò che c'ora una lunga lista d'attera. Allo¬ ra diedi l'indirizzo della mia banca e della mia agente letteraria. L'ap¬ partamento saltò subito fuori per jncanton. I primi anni, rievoca Nanda era la sua casa da weekend. Insegnava lettere al Conservatorio di Milano, con colleghi come Quasimodo che le raccontava i suoi amori, e allievi come Riccardo Muti e la moglie. «Non si insegnava quasi nulla, ci sì divertiva un mondo». Il sabato saliva su un aereo percorrere in via Lungara, finché andò in pensione da insegnante e a Roma trascorra parecchio tempo. Da pricipio co¬ minciò col dare splendide feste. «Rosali mi aiutava. Smontavamo la casa e per 4 anni feci trovare l'omino delle caldarroste, tanti mi¬ nuscoli alberi carichi di regalini per gli amici. Mi pareva di poter ricrea¬ re il salultu mlumaziunale che ave¬ vo avuto fino a poco prima. Era bello. Fra i primi invitali furono i registi Sbragia, Nani, la cognata di Orson VVeUas, poi cominciarono gli scrittori americani. Le vicine a tur¬ no venivano a curiosare per sapere citi oro, Poco a poco diventai amica degli inquilini. Mi stupivo perchè a ogni rientro a Roma vedevo un gran giro di lotti, le copie si faceva- no e disfacevano con velocità inau¬ dita nella Kasbak, tutti ne parlava¬ no». Davanti al terrazzino ha scritto il primo romanzo, «Cos'è più la virtù», per raccontare anche i suoi ' numerosi corteggiatori respinti. Il secondo, del 1988, stilato sempre a mano, perchè non usa neppure la macchina da scrivere, è per l'ap¬ punto «La mia Kasbah», un libro spiritoso, gradevolissimo, ricco di arguzia e sensibilità, che narra la storia della casa e dei suoi abitanti fra intrichi architettonici e amoro¬ si. «La sera era molto divertente - ricorda la Pivano -. Passavamo da un appartamento all'altro portan¬ doci dietro le nostre sedie in giardi¬ no e io leggevo a voce alla alcuni capitoli delromanzo, ognuno dice¬ va la sua, parevano entusiasti. Usci¬ to il libro, tornai. Nessuno mi salu¬ tò, tutti offesi, dai portieri che non volevano essere chiamali cosi, alle signore che si ritenevano più belle di comò le avevo descritte, agli incroci amorosi, che io ritenevo noti ed erano invece segi-eti. Un inferno. La Kasbah si ribellò ai miei racconti. Tuttora molti si girano dall'altra parte al mio arrivo». venne il momento del Festival intemazionale dei Poeti sulla spiag¬ gia di Castelporziano, gli ultimi tre giomi del giugno 1979. «Feci venire gli amici americani a leggere poe¬ sie. Vivevano tutti in questa casa. Gregory Corso, che non voleva dor¬ mire in una casa borghese, trascor¬ reva la notte sulle panchine nel giardino li fuori. Per Alien Ginsberg divenne l'albergo fisso per la vita. Dormiva sul divano ali entrata, si lamentava di continuo perchè ave¬ vo messo da poco l'impianto per irrigare le piante in terrazza. Natu¬ ralmente non funzionava, in com¬ penso veiso le 3 di notte c'era un incredibile afflusso d'acqua; lui era scandalizzato per tutta quell'ac¬ qua, diceva: "Ma cos'è questo im¬ broglio?" Anche Harold Brodkev; è vissuto qui a lungo. Oggi i miei amici sono quasi tutti scomparsi, tranne Gregory Corso che sta mali- sismo, PaulAusler, Don de Lillo e il geniale Jay Mclnemey », Nanda sussurra : «Ho una nostal¬ gia bruciante di Hemingway, an¬ che se questa casa non sarebbe il suo genera, troppa gente. Dalle 5 alle 11 del mattino restavo seduta al suo fianco mentre lui lavorava, a ?^tardarlo. Questo non si cancella acilmonte. Era ossessionalo dalla semplicità, su 10 pagine ne gettava 7. Un giorno tentò di cancellare una parola con la matita, fino a spuntarla, poi buttò via la pagina. Io dissi : "Ma per una parola, basta¬ va cancellarla". "Allora non hai capito niente, urlava, una parola rovina la pagina"». «Ho una nostalgia bruciante di Hemingway anche se questo posto non gli sarebbe piaciuto C'era troppa gente» L'americanista Fernanda Pivano e a sinistra, gli scrittori Alien Ginsberg e Harold Brodkey

Luoghi citati: America, Italia, Milano, Roma, Torino