Dante nell'inferno di Baffone di Paolo Mieli

Dante nell'inferno di Baffone Le terribili peripezie del comunista Comeli, il «redivivo tiburtino» recluso per ventanni nei gulag sovietici Dante nell'inferno di Baffone Paolo Mieli EL 1970 U «redivi�vo tiburtino» Dan�te Comeli, a con�clusione di una ter�rìbile odissea in Russia durata qua�si cinquanl'anni di cui oltre venti trascorsi nell'infer�no bianco dei gu�lag tomo in Ita�lia. L'Italia l'aveva lasciata nel 1922 quando da giovane comuni�sta aveva, mollo probabilmente, ucciso un fascista. Si era rifugiato in Unione Sovietica, la sua nuova patria, per essere presto inghiotti�to nel gorgo staliniano. Prigione, confino, fame, destini non dissimi�li da quelli che avrebbe potuto conoscere nell'Italia mUssoliniana. Finché a settant'anni era nato nel 1900 con l'aiuto di Umberto Terracini potè tomare a «rivivere» nella sua città, Tivoli, Di qui quel titolo [l�redivivo tiburtino. appun�to) che Comeli volle dare al primo di una lunga serie di libri, purtrop�po setniclandestini, nei quali avreb�be ripercorso le pe�ripezie sue e di altri comunisti ita�liani nei camp�di prigionia sovietici. La testimonianza era più che prezio�sa, fondamentale. Anche sotto il profi�lo storiografico. Ma gli editori a cui si rivolse non vollero sapeme di quell'autore scomodo. Sicché an�che quando un coraggioso si fece carico di darli alle stampe, la diffu�sione di quei testi fu assai limitata. Si deve esser grati perciò alle edi�zioni di «liberal» che ora ci ripro�pongono quel volumetto. E ancor più dobbiamo essere riconoscenti per la pubblicazione di un lungo saggio introduttivo di Antonio Carioti che precede lo scritto di Come li nell'intento di guidare il lettore che voglia conoscere alcuni interes�santi risvolti della vicenda. Ci noti è ormai diventato uno dei più acuti specialisti di que�sto genere di storio�grafia applicata agli aspetti più con�troversi della stafcrra in Urssejuprofilo di Eugenio fl^^trovò iEspatriòforse aveunfascistReale, L'uomo die sfidò Togliatti, pro�babilmente il più importante tra i di�rigenti del Pei che negli Anni '50 ab�bandonarono pole�micamente il parti�to; nonché due interessantissinu li�bri intervista: il primo con mio tra i più validi intellettuali che lasciarono l'Urss molti anni prima della caduta del comunismo, Victor Zaslavsky ILa Russia senza Soviet); l'altro con una grande figura della dissidenza cecoslovacca, J iri Pelikan {lo, esule indigesto). Tre libri «d'autore» che hanno lasciato traccia nel dibattito politico-culturale sulla storia demovimento comunista intemazio�nale. Ai quali va ad aggiungersi adesso il saggio su Cornell dal l'inferno al limbo destinato a imporsi all'attenzione di chi è interessato a che resti traccia anche (si badi: anche) di questodel Pei edegli un incubo. ^jfl^ fastidio nel 1922: va ucciso a. Si rifugiò genere di memoria. Carioti parte da una constatazio�ne d�fatto: Dante Comeli è il militante comunista italiano che nel Novecento ha totalizzato il più alto numero di giorni trascorsi in detenzione e al confino per motivi politici. In assoluto, dunque, non c'è comunista italiano che abbia conosciuto una prigionia più lunga della sua: oltre vent'anni di pene, come abbiamo detto all'inizio. Pe�ne inflitte non già da un regime fascista, bensì, come sottolinea Ca�rioti, «da chi professava, almeno a parole, i suoi stessi ideali nella 'patria del socialismo' in cui si era rifugiato proprio per sottrarsi alla vendetta delle camicie nere». Di più. Il suo caso va collocato in un contesto mai chiarito a sufficienza. I comunisti italiani che, mono for�tunati di Comeli, conobbero la morte nel gulag staliniano furono almeno 43. Si può sospettare che ne siano stati fatti fuori molti di più. Qualche centinaio; ma di quei 43 abbiamo oggi un'assoluta certez�za. In quegli stessi anni, tra il 1926 e il 1943, in Italia �condannati a morte dal Tribunale speciale fasci�sta furono 42, uno d�meno dei comunisti italiani uccisi in Unione Sovietica. Molti d�meno, in realtà, dal momento che di queste condan�ne, poi, ne furono eseguite solo 31, la grande maggioranza delle quali riguardarono irredentisti e parti�giani slavi mandati a morte nel corso della seconda guerra mondia�le perché sospettati di aver preso parte alla guerriglia anli-ìtaliana nelle zone annesse al confine orien�tale. E ancora: si può calcolare che dei comunisti finiti nei lager del�l'Unione Sovietica ne tomo indie�tro il 15",., La stessa percentuale, approssimativamente, degli ebrei italiani sopravvissuti ai lager nazi�sti. In proporzione, dunque, si può dire che i comunisti italiani finiti nelle spire della macchina repressi�va sovietica ebbero una sorte non dissimile da quella che avrebbe riservato alle proprie vittime l'enti�tà nazifascista. A questo va aggiunta una rifles�sione sulla «follia surreale del cru�dele paradosso» da cui questi di�sgraziati comuni�sti furono travolti. «Gli antifascisti im�prigionati e confi�nati dal regime mussoliniano an�nota giustamente Carioti erano av�versari attivi del potere che l�repri�meva, formabnentecolpevoli dei rea�ti loro ascritti, sia pure sulla base di una legislazione li�berticida. Condan�nandoli, il Tribuna�le speciale ricono�sceva la loro peri�colosità di combat�tenti politici, della quale i più agguer�riti potevano legittimamente anda�re orgogliosi. Almeno dal punto di vista psicologico, era induboiamente un vantaggio». «Del tutto diver�sa era prosegue Carioti la condizione dei militanti rivoluzio�nari arrestati in Una, che nella grande maggioranza non avevano mosso un clito contro il regime sovietico, tranne magari manifesta�re un certo dissenso politico o esprimere qualche lamentela, e venivano posti sotto accusa come spie, nemici del popolo, agenti della reazione. Si pretendeva che confessassero di aver tradito gli ideali in cui si riconoscevano da sempre, in nome dei quali si erano il rifiuto editori sacrificati e avevano affrontato l'esìlio. Ancora prima di infliggere loro pene abnormi o di sopprimerli fisicamente, l'apparato repressivo staliniano mirava a distruggere la loro identità polìtica e umana di appartenenti al movimento opera�io». Dante Comeli fu uno di quei poveretti. Anche se è importante ricordare che lu�non consenti a nessuno di «distruggere la sua iden�tità politica e umana di appartenen�te al movimento operaio». Nemme�no al Pei. Già, perché i pochi comunisti italiani sopravvissuti al�l'orrore dei gulag, una volta t ornai i nel loro Paese ebbero l'amara sor�presa di essere accolti proprio dai loro compagni senza alcuna forma di solidarietà. Anzi, con fastidio. Il vignaiolo Nazareno Scarioli, rien�trato a Genzano dopo essere mira�colosamente sopravvissuto ad una detenzione nella Kolyma, fu tratta�to dai compagni di un tempo come un «vecchio malto». Il mantovano Andrea Bertazzoni che si salvò per un soffio dalle purghe staUnìane. poco dopo che era giunto a casa fu espulso dal partito comunista dal ouale pretendeva soltanto che s�aesse ascolto ai suoi racconti. Pia Piccioni, vedova di Vincenzo Bacca�là, il segretario della Federazione Comunista Romana fucilalo a Odessa nel 1937, tomaia in patria fu allontanata dal Pei e ricevette ospitalità editoriale (nel senso che accettarono di pubblicare il suo diario) solo da un piccolo gruppo bordighiano. E potremmo conti�nuare a lungo nell'elencazione. Si dirà: conseguenze tragiche dello stalinismo. Ma il nostro caso ha una particolarità: Comeli tomo in Italia non già nell'immediato dopo�guerra bens�negli Anni 70 quando li Pd aveva cominciato ad ammet�tere, sia pure a fatica, «erroru e «degenerazioni» del sistema sovie�tico; è in quel clima che il nostro cercava qualcuno disposto a pub�blicare il libro in cui raccontava la sua storia: il momento in cui vole�va far conoscere le sue traversie era non già quello del cupo domi�nio staliniano o quello immediata�mente successivo, bens�un venten�nio più in là, in anni successivi non solo a quel venlesimo congresso del Pois in cui erano stati condan�nali i crimini staliniani, ma anche ad eventi quali la condanna da parte del Pei dell'invasione della Cecoslovacchia (19681 e l'intervista di Berlinguer sulla Nato (1976). Vale a dire nell'epoca in cui, a detta della pubblicistica amica, il partito che era stalo di Togliatti aveva già attraversato definitivamente quel�lo che allora veniva chiamato «il guado» ed era approdato su sponde socialdemocratiche. Grande perciò fu la sorpresa di Comeli nel vedersi respingere il testo sia dai suoi compagni che dalla cosiddetta edi�toria borghese (il libro fu rimanda�to indietro da Rizzoli, Mondadori e perfino da Rusconi) refrattaria ad entrare in uno con il partito di Berlinguer. Nel clima di unità na�zionale, mentre nasceva il primo govemo che poteva conlare sul�l'astensione de! Pei, quando già tutto il mondo aveva potuto legge�re i libri di Solzenicyn, gli unici comunisti che diedero ascolto a Comeli furono Umberto Terracini e Alfonso Leonetti, un dirigente e un intellettuale, che in momenti diversi del passato avevano avuto il coraggio di rompere con il partito staliniano. Nessun altro. E, ancora un paradosso, i soli che si mostraro�no disponibili a pubblicare nel 1977 R redivivo tiburtino furono quelli della casa editrice La Pietra guidata da Enzo Nizza, un ex comandante partigiano che era sta�to vicino alle posizioni politiche di Pietro Secchia, Cioè un editore considerato, all'epoca, stalinista. La verità è che editori come La Pietra e Teli per il solo fatto di essere in conflitto con l'establish�ment del Pei erano assai meno ottusi e ben più liberali di quanto si dicesse. E il fatto che Nizza pubbli�cò quel libro ne è la dimostrazione. Ovviamente, però, quel parados�so ebbe un prezzo. Anzi, un doppio prezzo. Da una parte, mette in rilievo Carioti. Comeli dovette ac�cettare la soppressione «d�alcune pagine d�considerazioni polìtiche, spesso assai severe verso il regime sovietico, e il ridimensionamento dei brani in cui vengono descriu�gli aspetti meno edificanti della situazione in Urss: la miseria della popolazione, il dilagare di delinmienza e prostituzione, i privilegi aella nuova classe burocratica al potere, la nostalgia d�parecchie persone per l'epoca prerivoluziona�ria, l'assoluta irrilevanza dei So�viet nella gestione concreta del potere, gli effetti disastrosi della col�lettivizzazione del�le terre, il servili�smo degli intellet�tuali nei riguardi d�Stalin» Dall'al�tra l'autore dovet�te consentire che il libro fosse presen�tato da una nota introduttiva collo�cata nella quarta pagina di coperti�na che doveva ser�vire da guida politi�camente corretta in chiave di orto�dossia comunista, ovviamente alla lettura del testo. Pur senza nien�te togliere ai meriti dell'editrice La Pietra alla quale dobbiamo la pri�ma pubblicazione del libro, va osservato che la nota del '77 con cui il testo veniva presentato ai lettori è un concentrato di manipo�lazioni. L'anonimo estensore so�stiene che Comeli durante la depor�tazione «ha potuto incidere nella realtà in cui si trovava, con l'ener�gia del vecchio organizzatore sinda�cale e la sua esperienza di fabbri�cai. Un falso bell'e buono. A cui si aggiunge un confronto fina il gulag in cui fu rinchiuso Cornell e i «campi del capitalismo hitleriano» (sic) che serve a far dire all'autore qualcosa che non ha mai detto e Restò fedla vita a Ma non vriprendered'impche si ridifareconia m �i g i » re e cioè che �secondi furono molto j peggiori dei primi. L'anonima nota lassa poi a contrapporre i! «comlattente proletario» Comeli al «pic�colo borghese» Aleksandr Solzeni�cyn in modo da indurre il lettore a credere che il libro del redivivo tiburtino possa costituire un con�traltare ai testi fondamentali che per primi hanno aperto uno spira�glio di luce su cosa fu l'arcipelago gulag. Per poter dire in conclusio�ne, con un evidentissima forzatu�ra, che il nostro era uscito dai camp�di concentramenlo stalinia�ni conservando «la stessa visione del mondo che nel 1921 lo fece diventare comunista». Come se si trattasse di Paolo Roboni, il cogna�to di Togliatti, sequestralo e sevi�ziato dall'Nkvd che scrisse un libro quasi a giustificare le torture subi�le. Un concentrato d�falsificazioni. Comeli, è vero, restò tutta la vita fedele a se stesso. Ma non volle mai riprendere la tessera del Pei e s�mostrò stupito del fatto che quel wrtiio. il quale s�presentava come òrtemente rinnovato e pronto ad assumere responsabilità di gover�no, non volesse fare i conti con la sua memoria. Questione molto complessa quella del velo sleso dai comunisti italiani (probabilmente anche per occultare le direue responsamlità d�Togliatti) sulle ne�fandezze del sistema sovietico. E' comunque un fatto che, per non trovarsi in urto con le Botteghe Oscure, anche fuori dal Pei, pochi avevano affrontato il problema dei comunisti italiani fatti sparire in Urss. Il primo, per la cronaca, era stalo Alberto Rohehey sulle colon�ne della Stampa il 10 novembre 1961. Poi, in un libro, Guelfo Zacca�ria. Quindi, dopo l'uscita del volu�metto di Comeli, Alfonso Leonetti. E in anni successivi Giancarlo Lehner, Marcello Braccini, Elena Dundovich e Romolo Caccavale. Da ultimo Antonio Areddu. Tra i gior�nalisti di provenienza comunista sono state due donne ad affrontare l'argomento con serietà e coraggio: Mìnam Mafai, già diciotlo anni fa. e Gabriella Mecucc�che. nel 1998, recensendo sull'Ignita il bellissimo libro della Dundovich {Tra esilio e castigo. Il Komìntem, il Pei e la repressione degli antifascisti italia�ni in Urss (1936-1938) pubblicato da Carocci) ammise senza ambigui�tà che Togliatti «partecipò attiva�mente» alla repressione e «segnalò alla polizìa segreta gli "scontenti', i 'frazionisti', i 'trotskisti', le "quinte colonne'». Ed è forse questo il punto nevralgico della questione. A tale proposilo Carioti in esplicita pò emica con Furio Colom�bo il qua e ha scritto di recente die solo �crimini fascisti (e non quelli comunisti) ci riguardano perché sono i soli ad aver coinvolto gli italiani in prima persona giunge a considerazioni molto nette. «Non vi furono italiani solo tra le vitti�me, ve ne furono andie tra i persecu�tori. Se vanno ese�crati coloro cho consegnavano gli ebrei alle SS, va giudicato con alirellanta severità chi denunciava �suoi stessi compa�gni all'Nkvd. Se è sacrosanto rende�re omaggio a Pri�mo Levi, sarebbe assurdo continua�re a trascurare Dante Comeli. E questo vale innan�zitutto per la sini�stra». Uomini co�me Comeli, a detta d�Carioti, «rappre�sentano uno dei momenti più alti e dignitosi della vicenda comunista italiana, perché si batterono per la libertà degli oppressi, nei limiti del possibile, tanto in Italia quanto in Urss». Sicché «il 'redivivo tiburti�no' dovrebbe occupare un posto di rilievo nel Pantheon del movimen�to operaio. Invece, a un secolo dalla nasata e a dieci anni dalla morte, resta una figura ignota ai più. Nessuno s�reca in visita alla sua tomba. Non c'è nemmeno una via intitolata al suo nome nella Tivoli da lui tanto amata». Non si poteva dir meglio. E forse sarebbe ora che qualcuno s�desse carico di porre rimedio a queste strane di�menticanze. dele tutta a se stesso. volle mai e la tessera partito rifiutava ei conti memoria n Ursseju un incubofl^^jfl^trovò il fastidio Espatriò nel 1922: forse aveva ucciso unfascista. Si rifugiò del Pei e il rifiuto degli editori Restò fedele tutta la vita a se stesso. Ma non volle mai riprendere la tessera d'impartito che si rifiutava difarei conti conia memoria Un disegno di Matteo Pericoli. In basso Paolo Mieli