Quando il Caf partecipò alla «guerra della rosa»

Quando il Caf partecipò alla «guerra della rosa» I LEADER POLITICI E LA BATTAGLIA PER LA CONQUISTA DEL GRUPPO EDITORIALE Quando il Caf partecipò alla «guerra della rosa» la storia Filippo Ceccaraiil BETTINO Craxi, come al solito, fu brusco: «Per ora è solo un affare fra privati. Aspettiamo cbe si diradino i fumi» disse il leader dol Psi prima di salire sul jet che lo avrebbe portato in America a ritirare l'ennesima laurea hono�ris causa. Fosse dipesa da lui, la guerra di Segrate per il controllo della Mondadori, s�sarebbe già bella e risolta attraverso quella che con linguaggio euromissilistico aveva definito «opzione zero»: chi possiede giornali, non può possedere tv. «Ma mi hanno detto che ero malto» aggiunse con sbuffante rassegnazione, co�me se la questione non lo riguar�dasse più che tanto. C'era Intini, d'altra parte, a sparare quotidia�namente sul «partilo irresponsa�bile», che era Repubblica. Anche al presidente del Consi�glio Giulio Andreoiti, da pochi mesi a Palazzo Chigi, parve giu�sto e forse perfino naturale di mostrarsi pressoché indifferen�te rispetto ai destini del più importante gruppo editoriale ita�liano: «E' una vicenda molto complessa nella quale interloqui�re è difficile anche perché vi sono delle posizioni che cambia�no a seconda dei pacchetti azio�nari che si muovono. Mi auguro che le part�trovino un accordo. Sinceramente» assicurava Andreotti senza rinunciare a una già più interessante appendice, sia pure velata di buonsenso: «Non vedo a chi giova affrontare un problema importante come que lo dell'informazione sul pia�no delle carte bollate, che è sempre leggerissimamente squallido». Più sintetico, seppur leggeris�simamente provocatorio, suonò tra il dicembre del 1989 e il gennaio del 1990 il giudizio di Arnaldo Forlani, che anche lui da poco aveva sostituito Ciriaco De Mita a piazza del Gesù (men�tre Andreotti l'aveva sostituito a Palazzo Chigìl. Disse dunque il nuovo segretario democristiano riguardo alla battaglia di Segra�te: «Mi sembra la batracomioma�chia» lasciando al cronista (che era Paolo RufTini, del Messagge�ro) l'onere d�tradurre dal greco classico «guerra di rane e di topi», che poi era il titolo di un poemetto burlesco attribuito ad Omero. Secondo Forlani che poi, se non si fosse ancora capi�to, ora l'ultima lettera del Caf «non c'era alcuna serietà, e tan�to meno un brìciolo di obiettivi�tà, quelli che oggi si stracciano le vesti contro l'uno, ieri si fregavano le mani quando era vincente l'altro...». Almeno in questo Forlani non aveva tutti i torti. Tra l'autunno del 1989e la primavera del 1991 tra questi limiti stagionali si può comprendere lo svolgimento del�le manovre mili�tari attorno alla Mondadori l'al�ternarsi dei ribal�toni fu comunque accompagna�to da lamenti e giubilo pressoché automatici, con equa e indimen�ticabile redìstrìbuzione d�sedu�zione e partigianeria. E scioperi sdegnati, articoli d�fondo infuo�cati, direttori che saltavano co�me tappi di champagne e nuovi, furbi proprietari che s�presenta�vano alle maestranze recando fior�per le signore... Però Forlani, come del resto Craxi e Andreotti, facevano un torto alla verità ne! fingersi indifferenti rispetto alla guerra che fu dotta anche sulla vicen�da c'è anche un libro di Piero Ottone; un altro, L'intrigo, l'ha scrìtto Giampaolo Pensa «la guerra della rosa». Essendo ap�punto la rosa il simbolo della vecchia Mondadori. Infatti Croxi, Andreotti e For�lani l�aveva evocali come ran�delli, nell'agosto del 1989, Fede�le Confalomerì, l'uomo cui Berlu�sconi demandava le scelte di polìtica odiiorialo. Per l'esattez�za: «La nostra informazione sa�rà omogenea al mondo che vede nei Craxi, nei Forlani e negli Andreotti l'accettazione della li�bertà». Con questa promessa, non esattamente rassicurante anche nella forma, il Biscione si preparò alla guerra. C'è da dire che il nemico, e cioè Carlo De Benedetti, non è che fosse famoso per il suo ingenuo distacco dagli affari po�litici italiani. Con qualche ragio�ne, il suo gruppo si riteneva alfiere e continuatore di una tradizione laica e progressista, cui di recente erano stati inclusi De Mita e Occhetto. Cosi, in spregio ad ogni cacofonia, al Caf fu contrapposto (dalla rivista fomirie) il Dosdo, impervio acro�nimo di De Benedelli-OcchettoScalfari-De Mita. C'era poi anche la famiglia Mondadori, entità ormai non solo superata dal gigantismo edi�toriale, ma pure divisa al suo intemo e anzi dominata da un groviglio di dolori, perdite (an�che umane), ambizioni e risenti�menti. Berlusconi e De Benedet�ti se ne resero conio subito. Quel che normalmente avviene «nelle migliori case» aveva qui la poten�za deflagrante di un colpo mici�diale, tale da impegnare i miglio�ri avvocali e i politici più tosi i A un ceno punto parve muo�versi anche Cossiga. allora in fase pre-picconatoria: o almeno sembrò che Bassanini volesse giocarsi una doppia uscita presi�denziale a favore dell'anti-trust Di quest'ultimo fantasmatico provvedimento si parla infatti da allora, senza grandi risultati. come tutti sanno. Perciò fu più semplice rag giungere un accordo semi-pub�blico o pseudo-privato che co�munque assomigliava mollo a una tregua. Lo guidò in poito nelle salette dell'hotel Palate di Milano, «e senza hocconìana esperienza» volle specificare lui. un personaggio favoloso: l'almirantian-andreottiano Peppino Ciarrapico. concessionario del�l'acqua di Fili!»;!. Portavoce del inondo politico, dissero, e di se stesso: mediatore e risolutore, in fondo, di uno scontro storico i cui rottami sono arrivali ai gior�ni nostri. A quel gruppo ftpeontrapposto il Dosdo: acronimo dfDe Benedetti, Occhetto, Scalfari e De Mita. Poi arrivò l'intesa di Ciarrapico Craxi: «E' un affare w tra privati, aspetto che si diradi il fumo» Andreotti: riii augurò trovino un accordo E Forlani evocò la batracomiomachia Qui accanto Carlo De Benedetti, a destra Silvio Berlusconi con Cesare Previti

Luoghi citati: America, Milano, Segrate