Sartre

Sartre Sartre L'amore assoluto per il Castoro, Simone de Beauvoir, architetto della sua creatività. Il debito con Gide e Celine, rapporto con Spinoza e Stendhal, l'ossessione per Flaubert, idiota di famiglia SEGUE DA PAGINA I che mescolano critica, racconto d�viaggio, polemica politica e crìtica letteraria alla Baudelaire o alla Flaubert. E' questo giornali�smo nobile che, alla maniera di llazlìti, definisce lo spirito dol tempo. Spinoza? il problema del po�sto di Sartre nella storia della filosofia occidentale rimani! con�troverso. Lóvy non die»; nulla di nuovo quando racconta corno il giovano Sartre si sia abilmente appropriato di Husserl e Heideg�ger. Ammette poi che, dopo il 1943, Sartre ha prodotto pochi scrìtti filosofici di prima (inalila. La crìtica (lolla «'ragione dialetti�ca» oggi è pressoché Illeggibile e troppi dogli ampi frammenti filo�sofici pubblicati da allora, o posiunii, sembrano essere, per usa�re lo aspro parolo di Sartre, «un cantiere in rovina». Ma il freneti�co «pointillisme» della cura Lóvy non può rendere giustizia alla ricchezza e complessità dei temi. Qui ó meglio guardare a «Le problème inorai et la pensée de Sartre» (1965) di F. Jeanson, al lucido o scrupoloso «Sartre, le dernler phllosophe» pubblicato du Alain Honaul nel 1903, e al saggio classico di Aloxiti l'hilononko KLiberté et thauvàise foi chi.'/ Sartre» dol 1981. Il dialogo o con Heidegger, del cui «L'essereo il tempo», «L'ossero e il nulla» di Sartre fi un conciso allegato. L' con lo sprezzante rigetto che dell'umanesimo esistenzialista foco Heidegger che Sartre affron�ta i ben argomentati «Cahicrs pour une morale», scritti nel 1947-8, ma pubblicali solo mollo tempo dopo. Lo slancio por gran parti; del lavoro di Sartre arriva però da Husserl. L'ontologia hei�deggeriana e l'esistenzialismo sartrìano sono le duo correnti antagoniste che originano da Husserl. Nella sua (|uas�dispera�ta ricorca di un'etica fenomenolo�gica, d�una soluzioneal dilemma della comunicazione interperso�nale, o Sartre il più vicino agli idouli profondamente umanistici di Husserl, Ma la radice essenzia�le si trova a miri profondità anco�ra maggioro, domo dimostra Oli�vier Wickors nel suo «Trois Aventures oxtraordinaires de JeanPaul Sartre» (Gallimard, pp, ^45, Ir. 1251, ò il programma aell'intenzionalità di Husserl e dogli inestricabili legami tra la consa�pevolezza umana e la fonomenologin del mondo, a rivelarsi fbndamentalo in Sauro. E' stato attraverso Husserl che Sartre il romanziere, l'epistemologo, rattoro sulla sciina sociale e politica, ha sposalo «lo spessore del mon�do», la cogente densità dolio coso nelle quali il nostro essere dove irovaro la sua collocazione cogni�tiva o morale. Nulla in tutta la produzione di Sartre è più elo�quente della pagina di "Situazio�ni» in cui spiega comò Husserl «ho ricollocato I'oitoio o il l'asci�no nello coso. Ci lui restituito il mondo degli art isti e dei profeti: agghiacciante, ostilo, pericoloso, con qualche porto di grazia e di amore. Ha fallo piazza pulita por un nuovo trattato dolio passioni che potrebbe ispirarsi a questa voritii cosi semplice e cosi profon�damente disconosciuta dai no�stri raffinati; so noi amiamo una donna, è poiché ó umabilo. Ecco�ci sbarazzali di Proust». Una pagina assolutuinunte ti�pica di Sartre, por il suo alludere segreto a Cartesio («un nuovo trattato dolio passioni») come per lo sdegnoso rifiuto di Proust. E' nella penetrazione di Husserl in Sartre che abbiamo il più fedele esempio, nella letteratura moder�na, del paradigma filosofico, di un unisono di percezione tra i duo. Con la (ino (lolla guerra arrivò por Sartre la fama mondiale, il ■.un:.'.mi in tectro o nei media, l'impegno politico. Qui Lévy è sul suo terreno d'olozione; o si ineri�ta un tributo senza riserve. La letteratura minoro sul coinvolgi�mento di Sartre nel marxismostalinismo, noi maoismo, nell'ableziòhe del partito comunista francese, é sterminata. Ed è mar�chiala, sui duo fronti della dispu�ta, da malafede, falsità e cecità partigiana. Il giudizio sintetico di Lévy «dev'essere slato un tormunto per lui» è mollo probabilmente il più succinto e onesto. Mostra il più raro doi doni: la gonorosilù dell'intelligonza. I documenti sono, ancora una volta, devastanti: «la libertà di crìtica è totale in Urss»; «il marxi�smo ó l'orizzonte invalicabile del nostro tempo»; non ci sono cam�pi di concontramonto nella Rus�sia stalinista; (lualunque antico�munista, e comunquo argomenti la sua posizione, è «un cane»; il castrismo non ò altro che «la democrazia più dirotta»; i reso�conti dolio bestialità dolio Guar�die rosso durante la rivoluzione culturale orano bugie d il t'uso dal�l'imperialismo americano (ho in�contrato accademici cinesi azzop�pati dai loro torturatori che inva�no avevano tentalo di avere dalla loro la voce di Sartre). Noi 1961 Sartre lancia un appello all'omici�dio in risposta al colonialismo: «bisogna uccidere. Abbattere un europeo é prendere duo piedoni con una fava, si eliminano contemporaneamente un oppressole e un oppresso». Invitalo dagli studenti di Praga a darò lustro alla loro fugace libertà, Sartre predicò il materialismo dialetti�co. Sedotte vicino agli zelanti patroni della censura sovietica e si boòdelle loro unluoso acclama�zioni proprio quando gli scrittori e gli intellettuali russi venivano sistematicamente perseguitati. E cos�via fino «alla nausea». L'ap�poggio di Sartre alla disumanità totalitaria é stalo molto più conse�quenziale, mollo più ampio del nazismo di Heidegger, che rima�si! un fatto quasi privato. E per di più questo appoggio proveniva, a differenza di quello di Heidegger, da un filosofo della libertà, da uno scrittore e pensatore che aveva, in una complessa ma autentlca risonanza da Fichte, defi�nito il compito e l'idontità dell'uo�mo come quelli della libertà. Sar�tre aveva fatto della «liberto» la sua nota caratteristica. Che spie�gazione ci può ossero? Messi in campo i capi d'accu�sa, Lévy prova varie ipotesi, ac�cennando anche tu.a «schizofre�nia», l'orso troppo coinvolto in prima persona, non arriva a nes�suna risposta semplicistica: «Lo cose sono mischiate... Ci sono duo Sartre». Eppure certe chiarezze sono a portata di mano. Sartre aborriva qualsiasi tipo di razzi�smo. Identificava questa lebbra con il colonialismo europeo e con il nocciolo della politica estera degli Stali Uniti o della suscettibi�lità intema americana. Solo il comunismo e, più tardi, il maoi�smo agrario gli sembrarono una valida contro-forza. Como molti maestri dell'astrazione, da Plato�ne a Heidegger, Sartre era curio�samente attratto dalla violenza, dalla logica crudele del dispoti�smo. I suoi romanzi più brevi e lo pièces teatrali lo mostrano in modo chiarissimo. Soprattutto, però, la sua vita e le sue opere, imperniate sull'odio viscerale por la borghesia, per ciò che vedova come l'infinita ipocrisia e la banalità del colo medio (c'è più di un pizzico di Pascal noi gianse�nismo ateo di Sartre). Qualunque cosa gli sembrava preferibile ai valori artificiali del liberalismo capitalista, alla sua inevitabile volgarizzazione dello possibilità umano. Sapeva che in una vena sposso pervertila, magari anche parodistica, alcuni criteri doll'intellettualità, dell'intelletto mes�sianico, come in Hegel, come in Marx stesso, coniinuavano n pre�valere anche nel tunnel nero del�lo stalinismo. Bernard-Henri Lévy non rie�sco ad analizzare, nell'atteggiamentò di Sartre, il nocciola doll'odio verso d�sé. Sartre capiva benissimo che la sua carriera e il suo lavoro erano resemplificaziono quintessenziale degli idoah borghesi o mandarini contro i quali, indefessamente, lanciava i suoi strali. Ai giovani arrabbiati, ai maoisti, a^h operai di Billancourt che gli chiedevano «Non puoi scrivere un libro abbastanza semplice per la gente normale?», Sartre replicava pateticamente: «Si scrivo quello che si sa». Il disgusto per sé, che cresceva sem�pre di più con lo sterminato plauso «alto-culturale» e l'infor�mità fisica, è sotteso all'ossessionc por Flaubert. Lóvy, Wickors e Philippe Petit in «La cause de Sartre» (Prosses Univorsitairos, pp. 251, fr. 125) considerano cru�cialo «L'idiota di famiglia». La misura doU'autoidenlificazione di Sartre in Flaubert, dell'avversiono por il borghese condivisa da due uomini imprognati della con�dizione di ceto medio è palpabile. Il libro resta un ampio torso senza testa e i suoi tanti volumi, si sospetta, per lo più non sono stati lotti. Contiene però alcuno dello più acuto riflessioni di Sar�tre, sull'infanzia, il linguaggio, la sessualità e, sopra tutto, il «me�stiere di scrittore». Proprio nella sua onestà compulsiva, nella sua incapacità di raggiungere l'aria fresca, il mostro-Flaubert tradi�sco il solipsismo di Sartre, il suo isolamento dalle utopie collettivo e la battaglia di cui lece pubblica professione. Qui, come altrove, urge il pro�blema della prolissità. Gli assolu�tamente illeggibili «San Genet» e «L'idiota», i frammenti elico-filo�sofici, ammontano a migliaia di pagine. Sartre scriveva giorno e notte, «in silu» e in movimento. Con stupenda ironia, cita Chate�aubriand: «So benissimo di non ossero altro che una macchina da libri». In un altro punto, identifi�ca la sua vita con una macchina per scrivere. Si sono fatte interes�santi congetture, e Lévy vi allu�de, come il ruolo dei narcotici nella straordinaria produttività di Sartre. E ci sono offettivamente pagine, specialmente no! «gi�gantismo» eli Gonot e Flaubert, che suggeriscono una sorta di loquacità automatica, indotta dal�le droghe. «Le parole» erano miboni. Ma quell'onda di marea era più caratlerizzante dello stesso stile e dello tecniche generative di Sartre. Il «consumo massiccio» (categoria di Vobion) prevaleva nell'uso che Sartre faceva dello donne, del denaro, dello case, ma si accompagnava anche a una stravaganza spondacciona e a ge�nerosità private, molte ancora ignoto. Il marxismo, il bizzarro «maoismo talmudico» dell'ultimo periodo piTidonlemente Ix'vy si muovo con tallo su quell'epilogo forse patologico quando Sartre collaborò con Benny Lévy guar�dava alla storicità, alle comunità della dimensione umana. Loro, come Sartre stesso, erano fuori norma. Questo punto è implicito nell'astuta proposta di BernardHenri Lévy di non paragonare Sartre a Voltaire, ma a Rousseau. Il vulcanismo, la confessionalità, la drammatizzazione di ciò che è ideologico vanno nella direziono di un'affinità. Ma l'analogia crol�la quando si arriva al rapporto fusionale con la natura. Sartre sembra pressoché indifferente al Daesaggio. Guardava le città dale finestre degli alberghi. La sua Arcadia erano i caffè. Neppure un bilancio di eserci�zio imparziale come quello di Bernard-Henri Lévy può essere altro che prowisono. Forse non ci sarà mai un consenso o una collocazione definitiva. Sartre è stato, come sostiene Renaut, «l'ultimo filosofo», cioè l'ultimo grande pensatore a cercare un abbozzo e una diagnosi coerenti e e globali del nostro mondo. La sua fenomenologia umani�stica e l'anatomia della consape�volezza sono state l'ultima ver�sione di quei propositi filosofici sistematici che derivano da Ari�stotele, Cartesio e Kant? In modo più esplicito, Sartre è l'esempio culminante del «moralista» qua�si classico, che pungola i suoi lettori e la società per un'econo�mia più razionale, più equa del�l'essere e dell'autocomprendersi? Dopo di lui non c'è stato in effetti che frammentazione, dis�seminazione e il frivolo gioco del «tutto va». In questa prospettiva, la monumentalità dello opere di Sartre e il suo fallimento nell'elaborare un'etica al tempo slesso libertaria e socialista, individuali�sta e comunitaria, rappresente�rebbe una finalità formale ma anche storica. «Ultimo filosofo di uno stile oggi scomparso». O sarebbe più accurato ricono�scere in «L'essere e il nulla», in «Verità e esistenza», un tentativo quasi pionieristico di arrivare a un'ontologia e a una moralità rigorosamente immanenti, che pongono fine senza compromes�si a qualunque idea di Dio? Que�sto sforzo è, innegabilmente, allo stalo nascente in Nietzsche e operativo in Freud. E' implicito, in modi molto complicati, negli ideali scientifici dell'epistemologia di Husserl. Con Sartre, l'atei�smo diventa in modo cosi eviden�te un equivalente della ragiono adulta da non richiedere nessu�na particolare dimostrazione (la debolezza di «Il diavolo e il buon Dio» nasce, precisamente, quan�do Sartre si allontana da questa strategia). Se questa normaUzzazione, questo addomesticamento dollVAssenza di Dio», è il tema dominante nell'avventura di Sar�tre, il suo contributo un giorno ixitrebbo essere percepito come un inizio piuttosto che un epilo�goQualunque lettura prevalga, lo decine eli migliaia di persone che quell'aprile 1980 cammina�vano dietro il feretro di Sartre sapevano che cosa volevano esprimere, quale testimonianza cercavano di portare. Appartene�vano a tutte le razze, le generazio�ni, le classi sociali. La morte di quell'uomo sembrava lasciare un vuoto nella consapevolezza sociale e politica. In qualche modo la miopia ideologica, la discontinuità delle conquiste letterarie, l'incomple�tezza, il collasso intemo, forse, del credo esistenzialista, non con�tavano. Qualcosa di molto più grande aveva, nell'arco di quat�tro decenni, messo il suo mar�chio su un'epoca omicida, turbo�lenta, spesso avvilente. Sartre aveva vissuto quell'epoca con un'attenzione e un impatto for�midabili, più vicino al suo spirito di qualunque intelletto rivale (Lukàcs, Bertrand Russell). La lingua francese ha l'espressione appropriata per definirlo: era, e continuerà a essere, «un acte de présence», un atto di presenza. Copyiight TLS. maggio. 19,2000. traduzione di Marina Verna Ultimo filosofo globale, sistematico come Aristotele, Cartesio e Kant o pioniere di una ontologia e di una morale senza alcun Dio? Più della sua miopia ideologica resterà la sua capacità di «esserci», di testimoniare i drammi dell'epoca Attraverso Husserl ha sposato «lo spessore del mondo», ha fatto piazza pulita per un nuovo trattato delle passioni che potrebbe ispirarsi a questa verità semplice e misconosciuta: «Se noi amiamo una donna, è perché è amabile. Eccoci sbarazzati di Proust» Sartre con la sua compagna Simone de Beauvoir. Per Bernard-Henri Lévy (in basso), autore del saggio «Il secolo di Sartre», edito in Francia da Grasset e qui commentato da George Steiner, il filosofo ebbe donne e ragazze «un giorno una, un giorno l'altra», ma il Castoro (l'appellativo amoroso della de Beauvoir) fu l'unica che condivise, assecondò e custodi il suo progetto esistenziale SABATO 10 GIUGNO 2000 LASTAMPA

Luoghi citati: Cartesio, Como, Francia, Grasset, Praga, Stali Uniti, Urss