Cosa nostra propone un patto allo Stato di Francesco La Licata

Cosa nostra propone un patto allo Stato Cosa nostra propone un patto allo Stato «Zo resa in cambio di un regime carcerario meno duro» Francesco La Licata ROMA Una parte importante di Cosa no�stra s�avvia verso la resa e propo�ne un patto allo Stalo: una disso�ciazione dolce con tanto di abiura del passato in cambio di un carce�re duro (il famigerato «41 bis») attenualo e l'abolizione dell'ei^gastolo. Alcuni boss tra i più noti sono già entrati nella logica di chi ha perso una guerra insensata, a suo tempo dichiarala da capi che non hanno saputo prevedere le catastrofiche conseguenze di una strategìa (lo stragismo del '92 e '93 che portò alla morte di Falcone e Borsellino e alle stragi di Roma, Firenze e Milano) che s�è ritorta come un boomerang contro l'oi^ganizzazione. Si tratta di segnali sono tanti e, a della di chi conosce la materia, inequivocabili che Drovengono prevalentemente dale carceri, dove numerosi capi hanno dichiarato la loro estranei�tà alla scelta stragista (entrando quindi, sia pure a modo loro, nella condizione di «dissociali»). Di con-seguenza, sarebbero disponibili ad una assunzione di responsabili�tà delle loro «effettive colpe», ma rifiutano la prassi di essere acco�munali lout-courl alla linea dura di Totò Riina e Leoluca Bagarella. Da qualche mese, dunque, è nata ima sorta d�consultazione, resa difficile dai regolamenti carce�rari e dall'impossibilità di far circo�lare le notizie all'interno del circui�to penitenziario. Da un lato un gruppo di mafiosi che hanno fatto parie della «cupola» d�Cosa no�stra, dall'altro un pugno di magi�strali che si muovono in condizio�ni di grande difficoltà, essendo in qualche modo obbligati ad una condotta che tenga conto dei «limi�ti» entro cui scegliere gli argomen�ti da offrire. Nessuno, ovviamen�te, confermerà nomi e personaggi di questa vicenda, ma il tam-tam dice che a trattare sia da un lato Pietro Aglieri, il leader delle «co�lombe» di Cosa nostra, dall'altro il procuratore nazionale antimafia, Piero Luigi Vigna, direttamente o attraverso un tramite fidato. La strada per arrivare a questa sorta di «colloqui di pace» è stala impervia. All'inizio si trattava d�vincere le naturali ritrosie di gente poco abituata al dialogo e preoccu�pata degli inevitabili fraintendi�menti che si potevano offrire al�l'esterno. E poi, nessuno voleva essere il primo ad incontrare gli eventuali emissari dello Stato. Pur essendo «ideologicamente» convin�ti della «scelta di parlare», nessu�no dei boss si trovava a proprio agio come pioniere della scelta dissociativa. Per questo, attraver�so gli avvocati, ci fu un primo tentativo e la richiesta di poter far incontrare in un unico ambiente i boss per permettere loro di consul�tarsi. La richiesta non potè essere accolla perché un'assemblea di mafiosi sottoposti al regime del 41 bis era contro la legge. Le consulta�zioni, perciò, cominciarono una per volta. I boss che, sin da subito, hanno dimostrato piena disponib�lilà sono: Pietro Aglieri (leader del gruppo che s�dichiara estraneo alle stragi), Nilto Sanlapaola (che è pure ammalalo), Pippo Calò, da tempo impegnalo nel tentativo d�intavolare un dialogo con lo Stato, Giuseppe Farinella e Piddu Madonìa di Vallelunga, un capomafia capace di ironia e gesti d�laicità rispetto al bigottismo mafioso. Da questa scelta rimangono fuori i protagonisti della linea dura e cioè Totò Riina, Leoluca Bagarella e �fratelli Graviano. troppo impelaga�li questi ultimi nei processi in svolgimento sulle stragi del 1993. Rimane nell'ombra Bernardo «Binnu» Provenzano, unanimenle indicalo come il «gran tessitore» della nuova linea politica di Cosa nostra, caratterizzala dall'abban�dono della violenza in favore del ritonno alla perenne mediazione. Provenzano è latitante da più di irenl'annì, negli ultimi mesi è slato più d'una volta sul punto di essere catturalo e, in questa ipote�si, certo gli farebbe comodo trova�re aperto uno spiraglio per non morire in carcere. Cosa chiedono i boss? Sostan�zialmente benefìci carcerari: un 41 bis più morbido che possa consentire loro un rapporto più facile coi familiari. Ma la parte più difficile riguarda l'ergastolo. 1 boss chiederebbero la possibilità di usufruire della legge Gozzini, oggi negala ai mafiosi condannati a carcere a vita. E' chiaro che questa ipotesi sottintende l'aboli�zione della «pena senza uscita». Condizione che rappresenta per i mafiosi detenuti pralicamenle la morte civile. E cosa sarebbero in grado di offrire? L'hanno chiamata «disso�ciazione dolce», cioè una ammis�sione d�responsabilità che non coinvolga altri correi e una sorta di appello al popolo di Cosa nostra a deporre le armi, dichiarando la fine di quella che fu Cosa nostra. Ovviamente nessuno è in grado di escludere che l'ala degli oltranzi�sti possa ignorare il tutto e conti�nuare nella loro strategia dura. La trattativa non è certo facile. Ad alcuni sembra poca cosa quan�to offrono i boss e, in più, appare una soluzione pericolosa. Si potrebbu, infalli, innescare involontariaraenle una reazione violenta alimentata da eventuali «cani sciolti» o da chi non ha intenzione d�trattare. Sono giunti, in proposi�to, più allarmi che segnalano da parte di Cosa nostra isolata politi�camente la por-sibiliià d�un delitto eccellente l«iin altro omici�dio Lima»). In sostanza, la «dissociazione dolce» potrebbe servire soltanto a quei mafiosi che intendono cosi separare il loro destino giudiziario dai responsabili della scella stragi�sta. Il che non sarebbe un gran guadagno per lo Slato e si rivele�rebbe ricella indigesta per �fami�liari delle vittime, già im'i-.nati per l'eccessivo sconto di pena a suo tempo offerto ai collaboratori di giustizia. Eppure c'è chi, dentro Cosa nostra, spinge per una soluzione mediata. Anche dopo l'allarme che i pm di Palermo hanno lancialo sul rito abbrevialo che «d�fatto annul�la l'ergastolo». Temono, i boss, che questo che i magislrali chiamano «un regalo alla mafia» possa in qualche modo trovare correzione legislativa e allora resterebbe ìnsostìtiiibile proprio un «patto» preci�so. Ci sono scadenze che ai mafiosi non fanno dormire sonni tranquil�li: i processi sulle stragi di Capaci e via D'Amelio hanno superalo la boa dell'appello e si avviano verso il responso della Cassazione, (ina eventuale conferma degli ergasto�li sarebbe come una pietra lomba�le per lutti i boss; quelli che le stragi le hanno volute e gli altri che le hanno subile. Ecco perché per lo «colombe» di Cosa nostra c'è la necessità d�un (chiarimento ufficiale». Vorrebbero poter usufruire anche della legge Gozzini oggi negata ai mafiosi che sono detenuti a vita I boss offrirebbero una «dissociazione dolce» e lancerebbero un appello ai clan per deporre subito le armi DA PALERMO ALLE BOMBE DI ROMA E FIRENZE CAPACI Nel tardo pomeriggio del 4 maggio 1992, sulla A29 Palermo-Trapani, una carica di esplosivo circa mille chili di tritolo -jfece saltare in aria la macchina su cui viaggiava il giudice Giovanni Falcone. Con lui morirono la moglie Francesca Morvillo e tre uomini della scorta. VIA D'AMELIO Era il luglio del 1992, quando una bomba uccise Paolo Borsellino, un altro giudice simbolo della lotta alla mafia, compagno di studi e amico d'infanzia di Falcone. Il giudice stava andando a far vìsita alla madre; nell'attentato morirono cinque poliziotti della scorta. ! ATTENTATI DEL'93 mTre luoghi per le autobombe del 1993: Roma ( San Giovanni e San Giorgio al Velabro), Milano (via Palestre) e Firenze (via dei Georgofili). Gli ordigni causarono 10 morti, 93 feriti e danni di centinaia di miliardi. A maggio, una bomba era esplosa, vicino al Teatro Parioli di Roma, al passaggio di Maurizio Costanzo m IL FALCO. Totò Runa, il capo dei capi di Cosa nostra, non ha alcuna intenzione di dissociarsi dalla mafia