« Pronto soccorso d'affetto »

« Pronto soccorso d'affetto » ". VIAGGIO NELL'ISTITUTO ALLE PORTE DI MONZA « Pronto soccorso d'affetto » Fra i bambini ospiti di Mamma Rita la storia Marco Nelroitl inviato a MONZA IL bambino nigeriano dor�me mentre la madre piega gli abiti e li sistema in un borsone. Quello della scorsa notte è l'ultimo suo sonno qui, nel Centro Mamma Rita: domani andranno a vivere in un appartamento a Milano, lei manterrà entrambi con il lavoro che le hanno trovato. Erano arrivati alla casa di accoglienza alle porte di Mon�za quando lui aveva cinque giorni: una pattuglia della polizia li aveva scovati infred�doliti e malandati su un'auto. La storia di questo bambi�no è un simbolo delle prospet�tive che l'istituto religioso si pone. Come simbolo al contra�rio è il giovane uomo, ormai maggiorenne, che entra nei saloni e innaffia le piante: è rimasto qui tutta la vita, da ospite si e trasformato in un dipendente a libro paga. Ha 26 anni e il suo futuro non va oltre il giardino e il grande portone. Senza un viaggio e un cosciente ritomo come nel film «Le regole della casa del sidro» di Lasse Hallstrom con Michael Calne, tratto dal romanzo di John Irving. Mentre a Roma il parla�mento lavora intorno alle adozioni e all'abolizione de�gli istituti per sostituirli con affido familiare o case fami�glia una giornata vissuta qui offre lo spaccato sul pre�sente, sulle urgenze, sulle risposte possibili. La Comuni�tà Mamma Rita ha 160 posti, gli ospiti sono ora un centina�io, per metà stranieri. Ma non sono �famosi «bambini dimenticati negli istituti»: non sono dichiarati adottabi�li, non sono recisi i legami con la famiglia di origine, né per lutti né per sentenze. Sono quelli delle famiglie di�sastrate sì, ma dove si spera di recuperare, di sostenere, di far rinascere. Sono quelli che hanno subito violenze, ma che hanno ancora un genitore che li aspetta. Sono quelli nelle cui case è passato troppo alcol, oppure si è insi�nuata la malattia mentale, alcol e malattie che hanno stralunato padri e madri che, forse, potrebbero ancora far�cela. Oppure ancora sono del�l'Africa o dell'Est e qui in Italia si sono ritrovati in strada, talora soli, talora con madri dagli occhi sperduti, atterriti. Molti li portano qui poliziotti e carabinieri, quan�do li scovano sui marcpiedi. L'istituto è un pronto soccor�so per affetti violali, per di�gnità umiliate. Sono cento ragazzi e alcu�ne madri sparsi in apparta�menti, gruppi di sei, sette, dieci, gestiti da una delle quaranta suore-educatrici. La gentile signora Rita Tonoli, cui è intitolato l'istituto, sognava ancora, nel 1947 quando è morta, un villaggio, tante casette. Nella prima metà del secolo, questa inse�gnante figlia di un medico di origine bresciana, annichili�ta di fronte alla scoperta che una sua allieva veniva violen�tata dal padre, allontanò da lui la piccola e concep�un rifugio per quelle e quelli come lei: aveva già in mente il concetto di casa-famiglia. Nel 1964 la sua struttura è nata, condominio con giardi�no anziché villette, con un centro clinico che è un gioiel�lo di ospedalino. Ha visto passare orfani del terremoto del Friuli, figli della povertà e dello sbando sociale, poi im�migrati. La direttrice, Giuseppina Sala, sostiene: «Questo è un porto della vita quando la vita riserva guai grossi». Ec�co, infatti, i piccoli del sisma, poi quelli di Bosnia, poi i rumeni. Alcuni sono tornati a casa, altri hanno trovato una famiglia nuova, qualcuno è rimasto, come la ragazza bo�sniaca che si è appena iscrit�ta all'università. Qui c'è la scuola materna. Ci sono anche le elementari, ma sono una scuola privata per estemi. I bimbi dell'istitu�to, invece, vanno fuori, alle elementari, alle medie, alle superiori. Tranne qualcuno, come la giovane trapianta di reni: non è il caso di sobbalza�re su un pullman due volte al giorno. Vanno a scuola ma non dicono di abitare qua. E non è vergogna, è riserbo, è essere gelosi della propria vita. Vite in attesa. Il sogno delle operatrici è quello di non esserci, di non essere più necessarie. Ma le vile in atte�sa continuano n nascere e l'attesa la vedi negli occhi dei proadolescenti che sono parti�ti e poi tornati da affidamenti andati male. Il problema dei ventimila ragazzi in istituto è tutto lì: chi li accoglie temporaneamente? Allora, a volte, piuttosto che andare e tornare, con il senso di falli�mento, preferiscono questi muri e queste finestre, questi salotti, questi apparlamonli fuori Monza. Per evitare viaggi dell'illu�sione e della delusione, nuo�ve famiglie della speranza che non ce l'hanno fatta, che addirittura si sono frantuma�te. Come nella storia di que�sto ragazzino di undici anni: è andata in tilt la coppia, si è spaccata tra una mamma che proteggeva «troppo» lui, il più fragile, e un papà che sentiva trascurati i figli biolo�gici. La direttrice di mamma Rita è andata a riprenderlo in una casa affranta e dolente, «per portarlo a fare una va�canza». Lui non ha detto nulla, ha chiesto.soltanto un po' di tempo per fare una piccola cosa. Ha aporto l'ar�madio del padre trovato e perduto, ha baciato una cra�vatta ed è tornato qui. Cento «vite in attesa» di una famiglia, arrivate da Bosnia o Romania Il piccolo rispedito indietro bacia le cravatte del papà che non lo vuole più

Persone citate: Giuseppina Sala, John Irving, Lasse Hallstrom, Mamma Rita, Michael Calne, Rita Tono