La chitarra dalla voce umana di Sandro Cappelletto

La chitarra dalla voce umana Vita, arte e miracoli di Django Reinhard, io zigano di Parigi che ha ispirato Woody Alien La chitarra dalla voce umana Sandro Cappelletto PRIMA o poi, dicevano gli invidiosi, gli converrà im�parare a scrivere, almeno per firmare autografi e conI tratti. Tempo per studiare, ne aveva avuto poco: era uno di quei geni vagabondi che non chiedo�no maestri e fuggono le scuole. Ascoltava e ricordava tutto, poi lo risuonava, inventando. Jean-Baptiste, detto Django, Reinhardt, nume�ro uno della chitarra jazz Anni Trenta e Quaranta, presente come l'ossessione di un ideale inarrivabi�le nella mente di Ray Emmet,.il chitarrista mai esistito protagoni�sta di Accordi e disaccordi ISweet and Lowdown), il film di Woody Alien appena uscito in Italia. A differenza di Emmet, Django è vissuto davvero, ma la sua vita ha fatto di tutto per trasformarsi in leggenda e la sua chitarra, la prima che si ricordi nella storia del jazz, la nutriva. Django era un «Manouche», imo zingaro zigano dell'Europa dell'est. Nato nel 1910 in un campo sosta della sua larga famiglia nei prati vicino a Charleroi, in Belgio; a dieci anni suonava violino, banjo, chitar�ra e si guadagnava da vivere come ancora fanno molti Rom nelle stra�de delle nostre città. A Roma, il tram a lungo percorso ed aria condi�zionata numero 8 e la meno confrotevole linea B della Metropolitana sono attualmente i palcoscenici ita�liani più ambiti, più paganti e dove la qualità delle esecuzioni vale am�piamente il prezzo dql biglietto. Popolo i creativo Quest'estate, quando dal Ravenna Festival a Settembre Musica di Torino la musica di origine Rom sarà protagonista, scopriremo che non esistono solo le trombe e la chitarra di Goran Bregovic, che la creatività di quel popolo, che incan�tò Brahms, Liszt e De Falla, conti�nua a produrre talenti, a mantenere un suo stile inimitabile. Ma atten�zione a imbalsamare gli interpreti su un palcoscenico davanti ad un pubblico seduto: troppo fuori conte�sto. Francia, Corsica, Spagna, Nord Africa: la famiglia di Django gira al largo dalla Grande Guerra; quando finisce, scelgono la periferia di Pari�gi per fermarsi un po'. Il ragazzino suona nei bistrot, qualche orchestri�na gli offre i primi contatti, ha diciott'anni quando arriva l'occasio�ne: andare in Inghilterra con ibandleader Jack Hylton. Sarà che quella notte era stanco, o che quando suoni per ore, anche se non canti, li vien sete e bevi; sarà stata una stufa difettosa, un mozzicone di Gitane, il freddo di un novembre parigino del 1938, ma la roulotte dove Django toma a dormire, quella notte si incenerisce. Lui si brucia orrendamente, ma dopo mesi dospedale il viso strafottente di dolcezza, il lungo sopracciglio a vincola, il capello brillantinato alTindletro, la sigaretta pendula tenuta all'estremità delle labbra, può tor�nare a esibirli. Peggio se la cava la mano sinistra; tre dita perdono la sensibilità, ma lui fa di necessità virtù e con l'indice e il medio superstiti riesce, velocissimo, a scendere e salire le scale. Con i tre altri tizzoni tiene gli accordi. Edith Piaf non ci voleva credere e quando le capiterà di conoscerlo, prende tra le sue quella mano e la scruta cercando di capire come Django potesse riuscirci. Suona all'Hotel Claridge di Pari�gi, al Coq Hardi di Tolone, al Lido e al Palm Beach di Cannes; l'Europa si sta innamorando del jazz. In Italia, la passione per il Swing di Vittorio Mussolini riesce ad aggira�re l'embargo decretato dal regime paterno verso quella musica negra, scomposta e nemica: è il 1933 quando a Torino scrive Gian Carlo Roncaglia si apre il primo Hot Club nostrano. Perduto Hylton, Django ha trova�to altri Pigmalioni: il pittore Emiie Savitry, che gli fa ascoltare Arm�strong e Ellington; poi, nelle cavos di Saint-Germain-des-Prés, Mistinguett, Jean Sablon, Jean Cocteau. Nascono le prime chitarre elettri�che e negli Stati Uniti Charlie Cliristian, sei anni soltanto meno di Django, subito le preferisce. Lui no, insiste sullo strumento acustico; però piazza un magnete sulla cassa armonica, all'altezza della buca, e lo collega ad un amplificatore. Un fuoco di assoli Si permette cosi delle leggerezze di tocco che esaltano l'enetto «bending»: la corda vibra a lungo senza generare i riverberi pesantisimi ine�vitabili nelle elettriche e mantenen�do tquel suono più da strada, meno per bene, dove subito riconosci il suo istinto zigano», racconta Stefa�no Cardi, uno dei nostri chitarristi più versatili, più personali. Django inventa assoli che sono un fuoco di colori, di guizzi, di tremoli, di strappate, mentre la sua chitarra continua a suonare più secca, simile a un banjo. Come i jazzisti americani, figli di derive musicali africane, anche lui sfrutta le risorse della microtonalita e con i due ditoni rimasti sani se ne va a passeggio lungo fraseggi stupendi, imprevedibili, rapsodici: si fossero incontrati con Domenico Scarlatti che invece della chitarra «toccava» un clavicembalo, lo zigano di Parigi e il napoletano emigrato nel Sette�cento in terra gitana avrebbero messo su un duo. Globalizzato, contaminato, cross-over, multi-einico, con tutte le carte in regola rispetto alle banalità di marketing oggi prevalenti: ma geniale. Django invece incontra Stépha�ne Grappelli, che è il suo opiwsto. Figlio di un impiegato, ha studiato col babbo presuntuosetto pianofor�te e violino classico, ascoltando Ravel e Debussy. Poi, conosce il violinista Eddie South in tournée europea con la sua band e subito dopo incontra Django: con due altre chitarre e un contrabbasso forma�no il c^uintetto Hot Club de France, che diventa la prima formazione jazz europea in grado di competere con i padri neri. Arrivano i dischi, la fama di Django cresce al punto che Gunther Schuller, nella Storia del jazz (pubblicata in Italia dalla EDT), definisce le sue incisioni pari�gine del 1939 con un gruppo statuni�tense «tra le gemme più impagabili di tutto il jazz da camera». L'ombra del tango Nel 1940, crea Nuages, il capolavo�ro, l'ombra inafferrabile di un tan�go attraversala da arpeggi che sem�pre divagano, da una triste, ma quanto sensuale melodia del violi�no. Arriva un'alti ^guerra, Grappel�li va a Londra, Django resta in Francia fino a cjuando è possibile resistere alle persecuzioni naziste contro gli zingari, poi riprende la vita da roulotte. Nel 1946 Inizia una tournée ame�ricana, voluta da Duke Ellington. Insaziabile di curiosità, interpreta 77ie Man I Love di Gershwin, Night and Dav di Porter. Septetnher Sono di Weill, Frasi/ di Barroso. Vita eli fatica, totalmente senza risparmi, anche quando i segnali clicmanda il corpo cominciano a essere preci�si. Muore nel 1953, per emorragia cerebrale. Ha quarantatre anni. In Swing 48 la sua musica si era allerta ad un dinamismo bruciante, tiralo allo spasimo, ma capace di specchiarsi in abissali malinconie, come Melodia al crepuscolo. Que�sta fantasiosa tristezza rapsodica è il carattere della sua musica che più ha sedotto Woody Alien e prima di lui Jean Cocteau, quando battezzò il Manouche che aveva suonalo all'Ecole Nonnaie de Musique di Parigi «la chitarra dalla voce uma�na». Analfabeta, treditaspente dalfuoco, aveva il jazz nel sangue. Mor�a 45 ami di emorragia cerebrale Il chitarrista Django Reinhard e, sotto, il regista Woody Alien sul set del film Accordi e disaccordi mentre dirige il protagonista Sean Pcnn chitarristi gitani hanno occupato con diversa caratura la scena del Novecento. A parte i notissimi Glpsy King, che però hanno dato alla loro musica una facile vena commerciale, ben più rigorosi appaiono i Glpsy Swing, gruppo naturalizzato olandese che ama esibirsi con i grandi solisti del jazz, per esemplo col violinista italo-francese Stéphane Grappelti. Notevole valore artistico ha Tomas de tos Reyes, il più gitano di tutti, ultimo discendente della famiglia zingara de los Reyes. Da ricordare, poi. Raphael Fais. Manita de Piata, ossia Manina d'argento. Paco Pena e Vicente Amigo. Quest'ultimo gruppo è specializzato in musica flamenca, genere amatissimo dagli artisti gitani